n. 269 SENTENZA 7 novembre - 14 dicembre 2017 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita'), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con le ordinanze del 2 maggio e del 25 ottobre 2016, rispettivamente iscritte al n. 208 del registro ordinanze 2016 e al n. 51 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2016 e n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visti gli atti di costituzione di Ceramica Sant'Agostino spa e di Bertazzoni spa, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 7 novembre 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi gli avvocati Massimo Luciani e Massimo Coccia per la Ceramica Sant'Agostino spa e la Bertazzoni spa e gli avvocati dello Stato Agnese Soldani e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 2 maggio 2016 (r.o. n. 208 del 2016), la Commissione tributaria provinciale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53, primo e secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita'), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. 1.1.- La rimettente ha premesso di essere investita del giudizio di impugnazione del diniego opposto dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato (d'ora innanzi AGCM) a una istanza di rimborso dei contributi versati dalla parte privata in relazione agli anni 2013 e 2014. La Commissione tributaria ha altresi' precisato di ritenere sussistente la propria giurisdizione, nonostante opposti arresti dei giudici amministrativi, in quanto in base all'insegnamento della sentenza n. 256 del 2007 della Corte costituzionale ai contributi in esame si sarebbe dovuto riconoscere natura tributaria. Di qui la giurisdizione del giudice tributario che, in base alla giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione (vengono citate le sentenze 16 marzo 2009, n. 6315 e 7 maggio 2010, n. 11082), copre tutta la materia tributaria e ha carattere pieno ed esclusivo tanto in merito alla cognizione dell'atto impositivo, quanto alla verifica di legittimita' di tutti gli atti del procedimento. Ne' in senso contrario, ad avviso del rimettente, potrebbe invocarsi l'art. 133 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), d'ora innanzi Codice del processo amministrativo, che stabilisce la giurisdizione amministrativa sulle impugnazioni dei provvedimenti dell'AGCM: questa disposizione, infatti, si riferirebbe ai provvedimenti adottati dall'autorita' nella cura del pubblico interesse alla medesima attribuita, non agli atti compiuti come creditore-riscossore pubblico. Tale conclusione ermeneutica si imporrebbe in sede di interpretazione costituzionalmente orientata, al fine di escludere l'illegittimita' del citato art. 133, secondo le indicazioni che si possono trarre dalla sentenza n. 191 del 2006 della Corte costituzionale e in base alla considerazione che, opinando diversamente, la disposizione in esame dovrebbe ritenersi istitutiva di un nuovo giudice speciale, vietato dall'art. 102 Cost., in considerazione del nesso inscindibile che sussisterebbe tra giurisdizione e materia tributaria, come desumibile dalle ordinanze n. 395 del 2007, n. 427, n. 94, n. 35 e n. 34 del 2006 della Corte costituzionale. Il giudice a quo ha altresi' escluso che sussistessero vizi processuali relativi all'instaurazione del giudizio, poiche' la notifica del ricorso direttamente all'autorita' garante e non all'Avvocatura dello Stato sarebbe stata sanata dal raggiungimento dello scopo, consistente nell'attuazione del principio del contraddittorio realizzatosi con la costituzione in giudizio della medesima autorita'. Il rimettente, inoltre, ha ritenuto di invertire l'esame delle questioni proposte dal ricorrente - che in principalita' aveva chiesto di disapplicare (rectius: non applicare) le norme impositive del contributo per contrasto con la normativa comunitaria in materia - stimando «piu' aderente al sistema giuridico complessivo» scrutinare prima la conformita' della disciplina al diritto interno e la sua aderenza ai principi costituzionali. Infine, il fatto che la decisione sul ricorso non potrebbe prescindere dall'applicazione delle norme oggetto del dubbio di costituzionalita' dimostrerebbe la sicura rilevanza della questione nel giudizio a quo. 1.2.- Cio' precisato in punto di rilevanza, in relazione alla non manifesta infondatezza delle questioni, la rimettente ha osservato come i commi 7-ter e 7-quater, dell'art. 10 della legge n. 287 del 1990, aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, prevedano, al fine di assicurare il funzionamento dell'AGCM, l'applicazione di contributi a carico dei soli imprenditori con fatturato superiore a 50 milioni di euro e un limite massimo per tale contributo (non superiore a cento volte la misura minima). Ad avviso della rimettente, simile disciplina violerebbe sia il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., sia il generale obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacita' contributiva ex art. 53 Cost., in quanto escluderebbe dall'obbligo di contribuzione i consumatori e le pubbliche amministrazioni, che pure sono destinatari dell'attivita' regolatrice dell'Autorita'. Inoltre, sarebbe ingiustificata la restrizione dell'assoggettamento al contributo dei soli imprenditori con un determinato fatturato (superiore a 50 milioni di euro), parametro quest'ultimo che non sarebbe espressivo di capacita' contributiva, potendo il conto economico chiudersi in perdita nonostante l'elevato fatturato. Sotto altro profilo, secondo il rimettente, l'aver posto un limite massimo alla contribuzione (che non puo' essere superiore a cento volte la misura minima), determinerebbe per i soggetti dotati di maggiore capacita' contributiva oneri proporzionalmente meno gravosi di quelli gravanti sui contribuenti con minore capacita' contributiva, violando cosi' il principio di progressivita' dell'imposizione ex art. 53, secondo comma, Cost. Ha ricordato, infine, il giudice a quo che, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale (vengono citate le sentenze n. 10 del 2015 e n. 142 del 2014), la diversa modulazione dell'imposizione fiscale fra diverse aree economiche e tipologie di contribuenti deve essere supportata da adeguate giustificazioni, senza le quali (come si ritiene avvenire nella specie) la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione. 2.- Con atto depositato l'8 novembre 2016 e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate. 2.1.- In particolare, la difesa dell'interveniente ha evidenziato che, con ordinanza 3 ottobre 2016, n. 19678, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno riconosciuto che l'art. 133 del Codice del processo amministrativo devolve alla giurisdizione del giudice amministrativo tutti i provvedimenti delle autorita', con categorica esclusione dei soli provvedimenti inerenti ai rapporti di impiego privatizzati. Nella specie si verserebbe, dunque, in un caso macroscopico di difetto di giurisdizione, tale da comportare, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 1 del 2014, n. 116 e n. 106 del 2013, n. 41 del 2011, n. 81 del 2010 e n. 241 del 2008), l'inammissibilita' delle questioni. 2.2.- Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato le questioni sarebbero comunque infondate nel merito. 2.2.1. - In ordine al dedotto contrasto della disciplina censurata con gli artt. 3 e 53 Cost. si e' rilevato come le censure del rimettente si basino sull'apodittico assunto in base al quale il finanziamento di un'attivita' pubblica dovrebbe necessariamente gravare sui soggetti che ne beneficiano e, quindi, in questo caso, su tutti i cittadini in quanto consumatori, con l'ulteriore conseguenza che allo Stato sarebbe imposto di fare ricorso alla sola fiscalita' generale. Al contrario, deve ritenersi del tutto ragionevole far gravare l'onere contributivo sui soggetti la cui attivita' determina l'esigenza dell'attivita' pubblica, nella specie costituita dalla sorveglianza finalizzata alla garanzia del rispetto delle regole di mercato: tali soggetti sono, appunto, le imprese che, per struttura e dimensioni del volume d'affari (misurato attraverso il fatturato), possono incidere su tali regole e impegnare in modo significativo l'attivita' dell'Autorita'. Per questa stessa ragione i consumatori e le pubbliche amministrazioni, che non sono soggetti ne' alla vigilanza ne' ai poteri coercitivi dell'Autorita', sarebbero esclusi dall'obbligo di contribuzione. 2.2.2.- Quanto alla pretesa disparita' di trattamento derivante dall'esclusione dalla contribuzione delle imprese "sotto-soglia", l'Avvocatura generale dello Stato osserva che tali soggetti, in ragione del loro ridotto volume d'affari, non sono in grado di incidere in modo significativo sull'assetto del mercato e, quindi, di impegnare l'attivita' di vigilanza dell'AGCM...

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