n. 248 SENTENZA 21 ottobre - 3 dicembre 2015 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Viterbo, in funzione di giudice dell'esecuzione, nel procedimento vertente tra C.D. e P.L. con ordinanza del 17 settembre 2014, iscritta al n. 36 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi. Ritenuto in fatto 1.- Il Tribunale ordinario di Viterbo, in funzione di giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 17 settembre 2014, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 1, 2, 3, 4 e 36 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'impignorabilita' assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita, e, in via subordinata, nella parte in cui non prevede le medesime limitazioni in materia di pignoramento di crediti tributari introdotte dall'art. 3, comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, che ha introdotto l'art. 72-ter (Limiti di pignorabilita') nel d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito). 1.1.- Riferisce il giudice a quo che la questione e' sorta nell'ambito di una procedura esecutiva promossa dal C. D. ai danni della signora P. L., debitrice della somma complessiva di euro 10.513,13, oltre alle spese della procedura esecutiva. Premette il Tribunale ordinario di Viterbo che il terzo pignorato, Poliedra s.r.l., in data 21 maggio 2014 ha reso dichiarazione positiva del suo obbligo di corrispondere al debitore uno stipendio mensile di euro 474,00 (al netto delle ritenute previste dalla legge);

quindi, poiche' in base all'art. 545 cod. proc. civ. «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito», ne deduce il Tribunale rimettente che lo stipendio dell'esecutata sarebbe pignorabile fino ad un quinto, ammontante nel caso di specie ad euro 94,80, per cui resterebbero alla debitrice euro 379,20, non risultando agli atti che la medesima disponga di altre fonti di sostentamento. Al riguardo, osserva il Tribunale ordinario di Viterbo che se, invece, fosse applicabile alla fattispecie oggetto del presente giudizio il limite indicato dall'art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973, essendo la somma dovuta a titolo di stipendio inferiore ad euro 2.500,00 mensili, la stessa sarebbe pignorabile nel limite di un decimo e non di un quinto. Evidenzia quindi il giudice a quo che la questione e' rilevante nel giudizio in corso ai fini della decisione - adottabile anche ex officio - sulla impignorabilita' assoluta del credito o sulla quantificazione dell'importo che potra' essere assegnato alla creditrice (un quinto od un decimo). Secondo il rimettente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 506 del 2002 la giurisprudenza prevalente avrebbe individuato alcuni parametri di riferimento (quali quelli dell'"assegno sociale" o del trattamento minimo di cui all'art. 38, commi 1 e 5, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002» ed all'art. 39, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003»). Tali importi sarebbero entrambi superiori allo stipendio percepito dalla debitrice (lavoratrice "part time"), sicche' lo stipendio percepito sembrerebbe porsi ai limiti della mera sussistenza, tanto piu' che, - secondo il giudice a quo - il pensionato, a differenza del lavoratore, non dovrebbe sostenere le ulteriori spese di produzione del reddito. Pertanto, si prosegue, anche per il lavoratore dovrebbe essere individuato un minimo vitale indispensabile e non pignorabile, dato che, se la retribuzione venisse ridotta al di sotto di quel minimo, ne risulterebbe violato il precetto costituzionale di cui all'art. 36 Cost., il quale prevede che la retribuzione debba essere «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;

essa violerebbe inoltre gli artt. 1, 2, 3 e 4 Cost. Il Tribunale ordinario di Viterbo riferisce di essere consapevole che la Corte costituzionale ha sempre respinto la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. sollevata in riferimento all'art. 36 Cost., nella parte in cui non prevede l'impignorabilita' assoluta della quota di retribuzione necessaria al mantenimento del debitore e della famiglia (sono richiamate le sentenze n. 434 del 1997, n. 209 del 1975, n. 102 del 1974, n. 38 del 1970, n. 20 del 1968 e le ordinanze n. 491 del 1987, n. 260 del 1987 e n. 12 del 1977) ma, osserva il rimettente, tale orientamento sarebbe maturato in un contesto ben diverso da quello attuale, sia per quanto riguarda le modifiche normative introdotte sul regime delle pensioni e dei contratti di lavoro, sia per i mutamenti della giurisprudenza, piu' propensa a riconoscere identita' di funzioni allo stipendio ed alla pensione, sia, infine, in ragione della grave crisi economica attuale, che determinerebbe un generalizzato impoverimento dei lavoratori dovuto alla esiguita' degli stipendi, e dei salari minimi (per attivita' lavorative spesso precarie o svolte a tempo parziale), come sarebbe il caso dello stipendio percepito dalla debitrice. Per tali motivi, secondo il giudice a quo, la previsione contenuta nel quarto comma dell'art. 545 cod. proc. civ., laddove consente il pignoramento dello stipendio seppur nel limite del quinto, non apparirebbe piu' frutto di un razionale contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio, allorquando questo sia destinato in modo essenziale ed imprescindibile a garantire la sopravvivenza del lavoratore e la sua possibilita' di svolgere le sue prestazioni lavorative. Pertanto, il rimettente ritiene necessario un ripensamento, anche alla luce della nuova normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari dello Stato (art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973): secondo il Tribunale ordinario di Viterbo tale novella introdotta nella materia dei pignoramenti per crediti aventi natura tributaria mostrerebbe la considerazione del legislatore per l'attuale congiuntura economica ed il diverso contesto normativo. Per quanto sin qui esposto, il giudice a quo ritiene che la norma censurata contrasti con gli artt. 1, 2, 3, 4 e 36 Cost. in quanto al cittadino lavoratore deve essere garantito che il frutto del suo lavoro, cioe' il suo stipendio o salario, sia destinato, almeno nei limiti del minimo indispensabile, al soddisfacimento delle esigenze primarie di sopravvivenza proprie e della sua famiglia;

diversamente ne risulterebbe violata sia la dignita' del lavoro come fondamento stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare potrebbe diventare...

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