n. 241 SENTENZA 24 ottobre - 20 novembre 2017 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, come modificato dall'art. 38, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Corte d'appello di Torino nel procedimento vertente tra l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e M. L., nella qualita' di genitore del minore M. D. D. A., con ordinanza del 6 marzo 2015, iscritta al n. 203 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visti l'atto di costituzione dell'INPS, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 26 settembre 2017 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l'avvocato Luigi Caliulo per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 6 marzo 2015 la Corte d'appello di Torino, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'ultimo periodo dell'art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, come modificato dall'art. 38, comma 1, lettera b), n. 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, che, nei giudizi per prestazioni previdenziali, sanziona, con l'inammissibilita' del ricorso, l'omessa indicazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, il cui importo deve essere specificato nelle conclusioni dell'atto introduttivo. 2.- Il giudice rimettente premette che e' stato sottoposto al suo esame l'appello, proposto dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), avverso la decisione di primo grado con cui il Tribunale di Torino ha riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilita' dell'ascendente in favore del nipote, ancorche' i genitori non fossero totalmente privi di reddito. In particolare, il giudice a quo espone che la decisione e' stata assunta nell'ambito di un giudizio proposto dalla madre per la condanna dell'INPS al ripristino della reversibilita', in favore del figlio, del trattamento pensionistico spettante al nonno materno che, in vita, aveva provveduto al mantenimento del nipote con lui convivente, nonche' per la declaratoria di illegittimita' della contestuale richiesta di ripetizione di indebito, formulata dal medesimo ente, avente ad oggetto i ratei di pensione erogati dal 1° settembre 2009 al 30 giugno 2012, pari ad euro 31.232,77. 3.- Avverso tale decisione, prosegue il rimettente, ha proposto appello l'INPS, eccependo, in via preliminare, l'inammissibilita' del ricorso di primo grado per mancato rispetto della previsione di cui all'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., che, a pena di inammissibilita', prescrive di indicare nell'atto introduttivo del giudizio il valore della prestazione richiesta. Su tale eccezione si e' soffermato il Collegio rimettente che dubita della compatibilita' costituzionale dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ. per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), poiche' la sanzione dell'inammissibilita' del ricorso costituirebbe una reazione sproporzionata ed irragionevole, rispetto all'obiettivo avuto di mira dal legislatore, di evitare, nei giudizi per prestazioni previdenziali, le liquidazioni di spese processuali esorbitanti rispetto al valore della controversia. In particolare, la Corte d'appello osserva che l'art. 152 disp. att. cod. proc. civ., vincola il giudice ad una liquidazione delle spese di lite non superiore al valore del capitale ed e' a tale fine che si impone alla parte di rendere la dichiarazione relativa al valore della prestazione. La sanzione dell'inammissibilita', comminabile in caso di inadempimento a tale obbligo, determinerebbe il venir meno della potestas iudicandi del giudice, rilevabile, d'ufficio o su eccezione di parte, in ogni stato e grado del procedimento, tuttavia la gravita' della sanzione la renderebbe manifestamente irragionevole in relazione allo scopo perseguito. La manifesta irragionevolezza della previsione censurata, prosegue il rimettente, sarebbe resa ancor piu' evidente in casi, come quelli del giudizio a quo, in cui la liquidazione delle spese sia avvenuta correttamente. Tale correttezza sarebbe desumibile dall'assenza di uno specifico motivo di gravame relativo al capo della sentenza di liquidazione delle spese;

tuttavia, una volta verificata la...

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