n. 229 SENTENZA 7 novembre - 6 dicembre 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell'approvazione dell'art. 18, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Bari nei confronti del «Presidente del Consiglio dei ministri» con ricorso notificato il 18-22 gennaio 2018, depositato in cancelleria il 1° febbraio 2018, iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2018, fase di merito. Visto l'atto di costituzione del Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 2018 il Giudice relatore Nicolo' Zanon;

uditi gli avvocati Alfonso Celotto e Giorgio Costantino per il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Bari e l'avvocato dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Bari, con ricorso depositato il 25 luglio 2017 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2017, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - per violazione degli artt. 76, 109 e 112 della Costituzione - nei confronti del «Presidente del Consiglio dei ministri», in relazione all'art. 18, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». 1.1.- Il ricorrente ricorda che la disposizione asseritamente lesiva delle proprie attribuzioni testualmente prevede: «[...] al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorita' giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale». Tale disposizione, a suo giudizio, avrebbe «parzialmente abrogato, in parte qua, il segreto investigativo disposto dall'art. 329 cod. proc. pen.», la violazione del quale e' sanzionata dall'art. 326 del codice penale. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari in particolare rileva come «l'intervento normativo dell'Esecutivo abbia leso prerogative di rango costituzionale pertinenti all'Autorita' Giudiziaria requirente, con riferimento al principio di obbligatorieta' dell'azione penale, ex art. 112 Cost., cui il segreto investigativo strettamente inerisce, nonche' in relazione alla statuizione della diretta dipendenza della polizia giudiziaria dall'autorita' giudiziaria affermata dall'art. 109» Cost. 1.2.- Sulla scorta di queste premesse, il ricorrente chiede alla Corte costituzionale di dichiarare ammissibile il conflitto. 1.2.1.- Al fine di dimostrare, anzitutto, il proprio interesse a promuovere il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, evidenzia l'ambito applicativo «di estesa diffusione» della norma, «destinata a trovare indiscriminata applicazione nella totalita' dei casi di inoltro di notizie di reato (circa 50.000 nuove in totale ogni anno per questa Procura, in grandissima percentuale denunciate proprio dalla polizia giudiziaria!) ed informative successive». 1.2.2.- Ritenuta pacifica la legittimazione attiva del Procuratore della Repubblica e quella passiva del Presidente del Consiglio dei ministri «allorquando, come nella specie, si denunci il conflitto di potere con riferimento ad un atto del Governo (per tutte: Corte cost., sent. n. 420/1995)», il ricorrente - richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare, le sentenze n. 221 del 2002 e n. 457 del 1999) - sottolinea che il conflitto sarebbe ammissibile anche se promosso per l'annullamento di una fonte primaria, in quanto si tratterebbe dell'unico rimedio esperibile. A suo avviso, «la normativa impugnata, con la previsione della deroga in parte qua alle disposizioni del codice di rito penale che vincolano al segreto investigativo, non consente l'instaurazione di un giudizio, nell'ambito del quale sia possibile sollevare questione incidentale di costituzionalita'». In base alla giurisprudenza costituzionale (vengono richiamate le ordinanze n. 16 del 2013 e n. 343 del 2003), il conflitto di attribuzione in relazione ad una norma «recata da una legge o da un atto avente forza di legge» risulterebbe ammissibile tutte le volte in cui da essa «possono derivare lesioni dirette dell'ordine costituzionale delle competenze», ad eccezione dei casi in cui esista un giudizio nel quale la norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge. 1.3.- Il ricorrente espone, quindi, le ragioni per le quali ritiene che la disposizione impugnata sia lesiva delle proprie attribuzioni costituzionali, riportando ampi stralci della delibera adottata dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 14 giugno 2017 (recte: 15 giugno 2017), recante «Proposta ex art. 10, comma 2, legge n. 195 del 1958 al Ministro della giustizia finalizzata ad una modifica normativa dell'art. 18, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177». A tale delibera il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari ha dichiarato di aderire integralmente. 1.3.1.- Il ricorrente afferma anzitutto che la disposizione impugnata sarebbe viziata da eccesso di delega, non trovando adeguata copertura nella legge di delega e, in particolare, nell'art. 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale autorizzava il Governo a razionalizzare e potenziare l'«efficacia delle funzioni di polizia anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali [...]». Tale previsione - preordinata, in conformita' alla ratio ispiratrice dell'intera legge di delega, ad esigenze di semplificazione e razionalizzazione di uffici, servizi ed impiego del personale - non sarebbe stata sufficiente a giustificare l'introduzione della disposizione oggetto del conflitto. Il ricorrente evidenzia, inoltre, che non vi sarebbe alcun accenno, nei lavori parlamentari che hanno condotto all'approvazione della legge di delega, alla possibilita' di prevedere, a carico dei responsabili di ciascun presidio di polizia giudiziaria, una comunicazione in via gerarchica di notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorita' giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale. Tale disposizione trova, invece, origine dall'accoglimento, da parte del Governo, di una delle osservazioni avanzate in data 12 luglio 2016, in sede di parere sullo schema di decreto legislativo, dalle Commissioni I e IV della Camera dei deputati. Con decisione assunta a maggioranza, le suddette Commissioni riunite avevano infatti suggerito di estendere a tutte le Forze di polizia la previsione di cui all'art. 237 del d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246). 1.3.2.- In secondo luogo, il ricorrente lamenta la violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale di cui all'art. 112 Cost. A suo avviso, sussisterebbe un «nesso strumentale» tra tale principio e la direttiva della disponibilita' diretta della polizia giudiziaria in favore dell'autorita' giudiziaria. L'art. 112 Cost., infatti, garantirebbe l'indipendenza funzionale del pubblico ministero da ogni altro potere e, in particolare, dal potere esecutivo, ma il principio di obbligatorieta' dell'azione penale «potrebbe essere sostanzialmente eluso dalla concreta organizzazione della polizia giudiziaria»: a parere del ricorrente, infatti, «chi gestisce la polizia giudiziaria puo' condizionarne l'iniziativa determinando un rafforzamento della sua dipendenza dal potere esecutivo», in quanto gli organi di polizia giudiziaria, nelle loro diverse articolazioni, integrano strutture gerarchicamente dipendenti dal Governo. Altrettanto evidente sarebbe la stretta correlazione esistente tra azione penale obbligatoria e segretezza delle indagini, la deroga alla quale sarebbe «in concreto foriera di rischi per l'esito positivo delle investigazioni e, per cio' stesso, dell'effettivita' ed efficacia dell'esercizio dell'azione penale», a tutela delle quali sarebbero appunto posti, dal codice di procedura penale, «limiti e tempi precisi e rigorosi per la segretezza»: tali regole sarebbero «disinvoltamente» superate dalla disposizione oggetto del sollevato conflitto, «peraltro a beneficio di organi dell'Amministrazione neppure dotati della connotazione di appartenenti alla polizia giudiziaria», come tali privi di legittimazione all'accesso all'attivita' d'indagine. 1.3.3.- Il ricorrente prospetta, infine, la violazione delle prerogative costituzionali di cui all'art. 109 Cost. Richiamando alcune pronunce della Corte costituzionale (in particolare le...

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