n. 20 SENTENZA 7 dicembre 2016- 24 gennaio 2017 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 266 del codice di procedura penale e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), promosso dalla Corte di assise d'appello di Reggio Calabria, nel procedimento penale a carico di C.T., con ordinanza dell'8 febbraio 2016 iscritta al n. 67 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 dicembre 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza dell'8 febbraio 2016 (r.o. n. 67 del 2016), la Corte di assise d'appello di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 266 del codice di procedura penale e degli artt. 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'). 1.1.- La Corte rimettente ha premesso di essere investita del processo penale a carico di C.T., fondato su una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonche' di missive spedite e ricevute in carcere dall'imputato, dalle quali il giudice di primo grado ha inferito l'esistenza di un progetto criminoso volto a consolidare il potere della famiglia dello stesso imputato sul territorio di Siderno e a consumare una serie di specifici fatti delittuosi. La Corte di assise d'appello ha precisato che la corrispondenza non e' stata sequestrata ai sensi dell'art. 254 cod. proc. pen., ma solo copiata dalla polizia giudiziaria, previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, senza quindi che i destinatari potessero conoscere l'attivita' investigativa compiuta. La Corte rimettente ha riferito che, in un primo tempo, la Corte di cassazione (sentenza 18 ottobre 2007 - 23 gennaio 2008, n. 3579) ha ritenuto utilizzabili i risultati di tali indagini, in base alla considerazione che il provvedimento autorizzatorio del giudice sia in questi casi parificabile a quello, di cui agli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen., in materia di intercettazioni telefoniche. Successivamente, tuttavia, la questione relativa all'intercettabilita' della corrispondenza e' stata rimessa alle sezioni unite della medesima Corte di cassazione, le quali hanno ritenuto, con sentenza 19 aprile - 18 luglio 2012, n. 28997, inapplicabile in via analogica la disciplina prevista per le intercettazioni o comunicazioni di cui agli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen. alle operazioni di intercettazione della corrispondenza e ha, di conseguenza, affermato l'inutilizzabilita', ex art. 191 del codice di rito, delle missive illegittimamente intercettate. L'ordinanza di rimessione riferisce che il primo giudice di appello ha, peraltro, considerato utilizzabili le dichiarazioni degli imputati relative al contenuto di alcune lettere, di cui era stata data lettura dal pubblico ministero in sede di interrogatorio dibattimentale, e ha condannato gli imputati per i delitti di tentata estorsione aggravata, associazione mafiosa, associazione finalizzata al narcotraffico, omicidio volontario aggravato e connessi reati in materia di armi. La Corte di cassazione ha poi annullato la sentenza di condanna, limitatamente al delitto di omicidio volontario e ai reati in materia di armi, rinviando il giudizio dinanzi alla procedente Corte di assise d'appello di Reggio Calabria. 1.2.- Cio' premesso, il giudice a quo ha ritenuto non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 266 cod. proc. pen. e 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall'art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95 del 2004) e 18-ter della legge sull'ordinamento penitenziario, nella parte in cui non consentono la intercettazione della corrispondenza epistolare del detenuto, diversamente da quanto avviene per le comunicazioni telefoniche e le altre forme di telecomunicazione. L'esclusione della corrispondenza epistolare dalle intercettazioni, prosegue il rimettente, risulta dall'impossibilita' di applicare analogicamente alle missive postali le disposizioni dettate dal codice di rito in materia di intercettazioni telefoniche, cosi' come rilevato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con la citata sentenza, e come risulta inevitabile in materia presidiata da doppia riserva (di legge e di giurisdizione) ai sensi dell'art. 15 Cost. Prova ne sarebbe anche la circostanza che, per includere nella disciplina delle intercettazioni anche la corrispondenza, nel corso della XV legislatura e' stato presentato un apposito disegno di legge, mai approvato dal Parlamento. Riguardo alla corrispondenza, infatti, secondo il giudice a quo e' possibile il solo sequestro ai sensi degli artt. 254 e 353 cod. proc. pen., ma non l'intercettazione all'insaputa del mittente e del destinatario, consentita invece dagli artt. 266 e seguenti del medesimo codice solo per le comunicazioni telefoniche e le altre telecomunicazioni. Ad avviso del rimettente, simile limitazione determina una irragionevole disparita' di trattamento censurabile ai sensi dell'art. 3 Cost., non giustificabile ex art. 15 Cost., giacche' quest'ultima disposizione costituzionale si riferisce non solo alla corrispondenza, ma «ad ogni altra forma di comunicazione», tra le quali rientrano percio' anche le comunicazioni telefoniche. La rilevata irragionevolezza della disparita' di trattamento sarebbe accentuata nel caso di corrispondenza di detenuti, per i quali l'art. 18-ter dell'ordinamento penitenziario prevede, in caso di controllo, l'apposizione di un visto, che rende i soggetti che intrattengono corrispondenza edotti dell'attivita' investigativa. In questo modo, secondo il rimettente, lo stato detentivo, da ritenersi irrilevante ai fini investigativi, si porrebbe quale fattore ulteriormente limitativo delle indagini, in quanto imporrebbe all'autorita' procedente, per la corrispondenza, oneri comunicativi incompatibili con la necessita' di assicurare la segretezza delle indagini, che non sono richiesti per i soggetti non privati della liberta' personale. L'irragionevolezza della disciplina relativa alla corrispondenza risulterebbe ancor piu' evidente a fronte del fatto che la legislazione in vigore consentirebbe le intercettazioni ambientali di colloqui con persone in visita al detenuto...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT