n. 2 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 agosto 2017 -

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE prima sezione penale Composta dagli ill.mi sigg.ri Magistrati: dott. Enrico Giuseppe Sandrini, rel. Presidente;

dott. Luigi Fabrizio Mancuso, consigliere;

dott. Aldo Esposito, consigliere;

dott. Gaetano Di Giuro, consigliere;

dott. Raffaello Magi, consigliere;

Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da M L F nato il 1° aprile 1978, avverso il decreto n. 56/2015 Tribunale di Agrigento del 2 dicembre 2015;

Sentita la relazione fatta dal consigliere dott. Enrico Giuseppe Sandrini;

Lette le conclusioni del PG dott. Delia Cardia che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi i difensori avv.;

Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 2 dicembre 2015 il Tribunale di Agrigento, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha dichiarato inammissibile l'incidente di esecuzione promosso da M L F , in qualita' di titolare della ditta omonima, avente per oggetto la richiesta di accertamento della buona fede nella contrattazione e nella stipula della vendita di due autocarri, avvenuta il 29 settembre 2009, e nell'insorgenza del conseguente diritto di credito corrispondente al prezzo del veicoli, nei confronti della s.n.c. di C G &

F , oggetto di decreti di sequestro emessi il 16 dicembre 2009 e di decreti di confisca emessi il 17 maggio 2011 nell'ambito del procedimenti di prevenzione ex lege n. 575 del 1965 a carico di C F e C G , che avevano riguardato le quote del capitate sociale e il complesso del beni aziendali della societa' debitrice. Il Tribunale dava atto che la fattispecie era soggetta alla disciplina prevista dall'art. 1, commi 194 e seguenti, della legge n. 228 del 2012, recante disposizioni a tutela dei terzi creditori con riferimento al procedimenti di prevenzione non soggetti al decreto legislativo n. 159 del 2011;

ritenuta la tempestivita' della richiesta di accertamento del credito, proposta nei 180 giorni dalla definitivita', in data 10 marzo 2015, dei provvedimenti di confisca, il Tribunale rilevava che il credito non rientrava nella tipologia di quelli di cui la legge prevede e tutela la soddisfazione, che l'art. 1 comma 198 limita ai creditori muniti di ipoteca iscritta sui beni confiscati anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione e ai creditori che, prima della trascrizione del sequestro di prevenzione, abbiano trascritto un pignoramento sui beni o che alla data di entrata in vigore della legge (n. 228 del 2012) fossero (gia') intervenuti nella relativa procedura esecutiva, nonche' - a seguito della sentenza n. 94 del 2015 della Corte costituzionale ai titolari di crediti di lavoro subordinato, categorie nelle quali non rientrava il M . 2. Avverso il suddetto decreto di inammissibilita' ricorre per cassazione M , a mezzo del difensore avv. Salvatore A. Bevilacqua, deducendo due motivi di doglianza. 2.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed errata applicazione delle norme che disciplinano la tutela dei terzi creditori in caso di provvedimenti di confisca emessi all'esito di procedimenti di prevenzione per i quali non si applica la discipline dettata dal libro primo del decreto legislativo n. 159 del 2011. Il ricorrente sollecita un'interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata della norma di cui all'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012, che tuteli i creditori di buona fede il cui credito sia sorto anteriormente alla trascrizione del sequestro di prevenzione, anche se chirografari e non pignoranti ne' intervenuti nell'esecuzione, superando un'interpretazione strettamente letterale del testo normativo che finirebbe per negare tutela al Credito sulla base di criteri arbitrari e contingenti, e per ragioni estranee alla ratio della confisca di prevenzione, che quella di recidere i legami tra l'impresa e l'associazione mafiosa mediante la sottrazione al titolare dei beni illecitamente acquistati;

un'interpretazione diversa da quella sollecitata si risolverebbe nell'ingiustificata appropriazione da parte dello Stato delle somme costituenti il corrispettivo dei beni confiscati dovute al creditore di buona fede, il quale verrebbe a subire a sua volta l'ablazione del proprio diritto;

il ricorrente rileva di aver stipulato la vendita degli autocarri in buona fede, contrattando a prezzi di mercato con un acquirente operante in altra provincia e in una realta' economica distante e diverse dalla propria;

deduce di aver agito in qualita' di titolare di una piccola impresa esercente, insieme all'attivita' di compravendita di veicoli usati, anche quella di officina meccanica di riparazione e manutenzione degli stessi con l'ausilio dei propri familiari, qualificabile in virtu' di tali caratteristiche come impresa artigiana, implicante il riconoscimento della natura privilegiata del credito ai sensi dell'art. 2751-bis n. 5 del codice civile, cosi' da non giustificare una disparita' di trattamento rispetto al credito dei lavoratori subordinati dell'impresa confiscata, ricorrendo nei propri riguardi un'analoga situazione di debolezza contrattuale, cosi' da legittimare anche sotto tale profilo un'interpretazione estensiva della norma. Il ricorrente deduce che la natura artigiana dell'impresa confiscata ne esclude la soggezione a fallimento, cosi' da precludere anche tale possibile strumento di tutela del proprio credito, destinato a rimanere insoluto, invocando le medesime ragioni sulla natura ingiustificata del sacrificio imposto al creditore richiamate dalla Consulta nella motivazione della sentenza n. 94 del 2015, che dovevano trovare applicazione anche al caso di specie;

censura la mancata applicazione da parte del provvedimento impugnato degli artt. 2-ter, comma 5, e 2-septies della legge n. 575 del 1965, che erano stati interpretati dalla costante giurisprudenza nel senso di ammettere il pagamento dei crediti, privilegiati e chirografari, di buona fede vantati nei confronti di un'azienda confiscata, rilevando che tali norme non erano state abrogate dalla disciplina successiva, con la quale non risultano incompatibili. 2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce e prospetta l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 198, della legge n. 228 del 2012 nella parte in cui non include tra i creditori da soddisfare nei limiti e con le modalita' ivi indicate anche i titolari di crediti chirografari vantati nei confronti di un'impresa artigiana la cui azienda sia stata sottoposta a confisca, nonche' i titolari di crediti privilegiati ai sensi dell'art. 2751-bis n. 5 del codice civile. Deduce la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, alla stregua delle ragioni spese nel primo motivo di ricorso, e indica i parametri costituzionali violati in quelli di cui agli articoli 1, 3, 4, 24, 27, 35, 41, 42, 47 e 111 della Costituzione, alla Convenzione di Vienna del 1988 (art. 5 comma 8), alla Convenzione di Strasburgo del 1990 (art. 5 comma 7), alla Decisione quadro del Consiglio UE del 2005 (artt. 4 e 5), per il tramite della norma interposta di cui all'art. 117 primo comma Cost., illustrando specificamente le singole censure. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali chiede il rigetto del ricorso;

deduce la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore con la legge n. 228 del 2012 di estendere alle sole categorie di creditori indicate nell'art. 1 comma 198 il diritto di far accertare il credito al fine del relativo soddisfacimento sul ricavato della liquidazione dei beni sottoposti a confisca di prevenzione nei procedimenti non soggetti alla disciplina generale prevista dal decreto legislativo n. 159 del 2011, e rileva l'assenza dei presupposti per equiparare crediti di lavoro subordinato, ai quali la sentenza n. 94 del 2015 della Corte costituzionale aveva esteso la medesima tutela, ai crediti privilegiati dell'imprenditore artigiano. 4. Con memoria successiva il difensore del ricorrente ha replicato alle conclusioni del...

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