n. 198 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 maggio 2015 -

TRIBUNALE ORDINARIO DI VERONA Terza sezione civile Il giudice dott. Massimo Vaccari, ha pronunciato la seguente ordinanza;

Nella causa civile promossa da Vivere Bio s.c. a r.l. in liquidazione, con l'avv. Zampieri Franco del foro di Verona, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo sito in Verona, v.le della Repubblica, 6;

Contro Azienda agricola Bonturi Luigi e Bonturi Federico con l'avv. Aramini Giampaolo elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo sito in Cotogna Veneta (Verona), p.zza Liberazione n. 11;

A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 23 aprile 2015;

  1. Oggetto del giudizio. Con atto di citazione notificato il 6 febbraio 2013 Vivere Bio s.c. a r.l. ha proposto opposizione avanti a questo Tribunale al decreto del 5 novembre 2012 con il quale le era stato ingiunto di pagare in favore della azienda agricola Bonturi Luigi e Bonturi Federico la somma di euro 149.292,53, oltre interessi ex art. 5 decreto legislativo n. 231/2002, a titolo di pagamento di alcune forniture di prodotti agricoli meglio di cui alle fatture emesse dalla predetta azienda agricola tra il 30 marzo 2007 e il 31 marzo 2008. A sostegno della opposizione l'attrice ha dedotto: l'insussistenza del credito ingiunto, non essendo intercorso tra le parti il rapporto citato nel decreto monitorio e non avendo l'attrice mai ricevuto le fatture, ad eccezione di quella datata 31 gennaio 2008;

l'intervenuta estinzione per prescrizione del credito, fondantesi in realta' su un rapporto mutualistico, atteso che l'azienda agricola e' socia della cooperativa, ai sensi dell'art. 2512, primo comma n. 3 c.c.;

l'illiquidita' e/o inesigibilita' del credito, atteso che l'art. 26 dello statuto della attrice subordina la sussistenza e/o la debenza dei crediti dei soci all'appostate nel conto economico di specifiche somme a titolo di ristorno, evenienza non verificatasi nel caso di specie;

la mancanza di una preventiva delibera dell'assemblea dei soci, che, in sede di approvazione del bilancio, avesse deliberato il pagamento di ristorni ai soci. L'azienda agricola Bonturi, nel costituirsi in giudizio, ha contestato le deduzioni avversarie, negando, in particolare, di essere stata mai socia della attrice e che l'assunto di controparte fosse fondato su prova scritta e, in via preliminare, ha avanzato istanza di concessione della provvisoria esecuzione. Il giudizio, originariamente assegnato ad altro giudice, e' stato congelato e, con provvedimento del 3 settembre 2014, assegnato a questo giudice. Alla udienza di prima comparizione, tenutasi, dopo un rinvio interlocutorio, il 24 marzo 2015, la convenuta ha insistito nella richiesta di concessione della provvisoria esecuzione alla quale si e' opposta l'attrice che, a tal fine, ha prodotto della documentazione diretta a comprovare la qualita' di propria socia della azienda agricola Bonturi (scheda socio relativo alla azienda agricola Bonturi e verbale della assemblea dei soci Vivere Bio s.c a r.l. del 27 settembre 2007 di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2006). La convenuta ha anche chiesto la concessione dei termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c. 2. La rilevanza delle questioni. Dato lo stato del giudizio, come riassunto nel precedente paragrafo, questo giudice e' chiamato a valutare la sussistenza dei presupposti per concedere la provvisoria esecuzione del decreto opposto vale a dire, ai sensi dell'art. 648, primo comma, c.p.c., se l'opposizione proposta da Vivere Bio sia o meno fondata su prova scritta o di pronta soluzione. In particolare, data la fase in cui si trova il giudizio, e' necessario stabilire se gli assunti contrapposti delle parti trovino conforto nella documentazione dalle stesse versata in causa. Ai fini dell'adozione di tale decisione vengono pero' in rilievo alcune delle norme introdotte dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18 («Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati»), entrata in vigore il 19 marzo di quest'anno, atteso che essa, oltre ad incidere, per quanto meglio si dira' avanti, in maniera significativa sugli interessi delle parti e' concretamente e immediatamente produttiva di una responsabilita' potenziale di questo giudice, potendo dar luogo ad un giudizio di responsabilita'. D'altro canto, con riguardo al profilo della rilevanza, e' opportuno rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 18 dell'11 gennaio 1989, nel decidere una serie di questioni di legittimita' costituzionale che erano state sollevate proprio in relazione ad alcune disposizioni della legge n. 117 del 1988, ha chiarito quale sia l'esatto ambito di applicazione dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. In tale pronuncia il giudice delle leggi ha infatti precisato che tale norma comporta che la questione di costituzionalita' proposta deve esser tale che «il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione» di essa, implicando, di regola, che la rilevanza sia strettamente correlata all'applicabilita' della norma impugnata nel giudizio a quo. Tuttavia, come gia' implicitamente ritenuto in altre occasioni (cfr. Corte cost. 24 novembre 1982, n. 196;

4 luglio 1977, n. 125;

15 maggio 1974, n. 128), la Corte ha anche stabilito che: «debbono ritenersi influenti sul giudizio anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio a quo, attengono allo status del giudice, alla sua composizione nonche', in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare. L'eventuale incostituzionalita' di tali norme e' destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri: in sintesi, la "protezione" dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano ai diritti». Tale principio e' stato implicitamente ribadito anche nella sentenza 24 luglio 2013, n. 237 con la quale la Corte ha ritenuto non fondate, tra le altre, le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, e dell'art. 1, con l'allegata tabella A, del decreto legislativo n. 155 del 2012, nella parte in cui, disponevano la soppressione di alcuni uffici giudiziari, tra i quali il Tribunale ordinario di Sala Consilina. In quel caso la rilevanza della questione era stata desunta dal fatto che il processo che si stava svolgendo presso il succitato ufficio giudiziario avrebbe dovuto essere rinviato ad udienza successiva a quella di acquisto di efficacia del decreto legislativo n. 155 del 2012 e, quindi, nella nuova sede giudiziaria ed era stata motivata nella ordinanza di rimessione mediante richiamo al predetto principio. A ben vedere poi, se si considera che la nuova legge ha ampliato le ipotesi che possono dar luogo a responsabilita' dello Stato e del magistrato, introducendo, all'art. 2, comma 3, e all'art. 7, comma 1, della legge n. 117/1988, quella del travisamento del fatto o delle prove, risulta evidente come, quantomeno le norme suddette, trovino applicazione immediata in tutti i giudizi in corso e potenzialmente causativi di danno atteso che i giudici che li trattano, per non incorrere in responsabilita', anche disciplinare (sul punto si tornera' di qui a breve), devono evitare simili condotte, o meglio attenersi ai criteri di valutazione fissati dalle nuove disposizioni. Cio' detto in punto di rilevanza, questo giudice dubita della legittimita' costituzionale di alcune disposizioni della novella. 3. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2 comma 1, lett. c) e dell'art. 4, comma 1, legge n. 18/2015, laddove ha modificato l'art. 7, comma 1 legge n. 117/1988, nella parte in cui fanno riferimento al «travisamento del fatto o delle prove», per contrasto con gli artt. 101, comma 2, e 111 comma 2 Cost. nonche' dell'art. 2, comma 1 lett. h) per contrasto con l'art. 3 Cost. Nell'assetto della legge n. 117/1988 la valutazione dei fatti e delle prove non poteva mai dar luogo a responsabilita' del magistrato, e conseguentemente nemmeno dello Stato (art. 2 comma 2, c.d. clausola di salvaguardia). Era invece fonte di responsabilita', perche' costituiva una delle ipotesi di colpa grave individuate dall'art. 2, comma 3, l'affermazione determinata da negligenza inescusabile di un fatto la cui esistenza e' incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento. La sottrazione, nella legge n. 117/1988, dall'ambito di responsabilita' del magistrato dell'attivita' valutativa del fatto e delle prove, che, insieme alla interpretazione delle norme, costituisce l'essenza stessa della funzione giurisdizionale, era strettamente funzionale alla assicurazione della indipendenza del giudice che, a sua volta, costituisce garanzia di una valutazione imparziale dei fatti e delle risultanze istruttorie. La Corte costituzionale aveva evidenziato questa stretta interrelazione tra indipendenza del giudice e autonomia nella valutazione dei fatti e delle prove nel seguente passaggio della gia' citata sentenza n. 18/1989: «La...

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