n. 195 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 luglio 2017 -

IL TRIBUNALE DI ROMA III Sezione lavoro Nella persona del giudice designato, dott. Maria Giulia Cosentino nella causa tra Federica Santoro (avv. C. de Marchis Gomez) ricorrente e Settimo Senso S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore convenuta contumace sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 10 giugno 2017 ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. I fatti di causa, l'illegittimita' del licenziamento e le sue conseguenze. La ricorrente ha impugnato il licenziamento irrogatole il 15 dicembre 2015 dopo pochi mesi dall'assunzione, avvenuta formalmente l'11 maggio 2015, e basato su questa motivazione: «a seguito di crescenti problematiche di carattere economico-produttivo che non ci consentono il regolare proseguimento del rapporto di lavoro, la Sua attivita' lavorativa non puo' piu' essere proficuamente utilizzata dall'azienda. Rilevato che non e' possibile, all'interno dell'azienda, reperire un'altra posizione lavorativa per poterla collocare, siamo costretti a licenziarLa per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge 15 luglio 1996 n. 604». Nella dichiarata contumacia della societa' convenuta, va preso atto che questa non ha adempiuto all'onere di dimostrare la fondatezza della motivazione addotta, peraltro estremamente generica e adattabile a qualsivoglia situazione, dunque in sostanza inidonea ad assolvere il fine cui tende l'onere motivazionale (cfr. Cass. Sez. lav. n. 7136/2002);

ne' la convenuta ha contestato le dimensioni occupazionali indicate dalla ricorrente e dunque la tutela applicabile per legge alla lavoratrice nel caso di specie. Detta tutela e' costituita dagli articoli 3-4 del decreto legislativo n. 23/2015, frutto della delega contenuta nella legge n. 183/2014, e in particolare: l'art. 3 prevede: «1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilita'»;

l'art. 4 prevede: «1. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'art. 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o dello procedura di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' non assoggettata o contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilita', a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2e 3 del presente decreto». Nel caso in cui il datore di lavoro non raggiunga un certo livello occupazionale, poi, la misura dell'indennita' e' dimezzata ai sensi dell'art. 9: «1. Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, dello legge n. 300 del 1970, non si applica l'art. 3, comma 2, e l'ammontare delle indennita' e dell'importo previsti dall'art. 3, comma 1, dall'art. 4, comma 1 e dall'art. 6, comma 1, e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'». Peraltro la ricorrente ha implicitamente allegato che la convenuta ha i requisiti dimensionali di cui all'art. 18 della legge n. 300/1970, allorche' ha invocato la tutela di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 23/1015 e non anche il successivo art. 9, ne' sussistono in atti elementi indiziari indicativi di una minore consistenza occupazionale. Tanto, perche' la ricorrente e' stata assunta dopo il 7 marzo 2015: in quanto, per gli assunti fino a quella data, la tutela avverso il licenziamento illegittimo e' costituita dall'art. 18 della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, che prevede, per le due corrispondenti ipotesi: il comma 7 per il caso di assenza del motivo oggettivo (definito come difetto di giustificazione, manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento), che richiama il comma 4 e il comma 5 a seconda della gravita' del vizio: «Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneita' fisica o psichico del lavoratore, ovvero che il licenziamento e' stato intimato in violazione dell'art. 2110, secondo comma, del codice civile. Puo' altresi' applicare lo predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto o base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo;

nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennita' tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, offre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per lo ricerca di uno nuovo occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'art. 7 dello legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo»;

a sua volta il quarto comma quoad poenam dispone che: «annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria non puo' essere superiore a dodici mensilita' della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivita' lavorative»;

e il quinto comma quoad poenam dispone che: «dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita'...

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