n. 194 SENTENZA 26 settembre - 8 novembre 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 7, lettera c), della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonche' in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attivita' ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro) e degli artt. 2, 3 e 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), promosso dal Tribunale ordinario di Roma, terza sezione lavoro, nel procedimento vertente tra Francesca Santoro e Settimo senso s.r.l., con ordinanza del 26 luglio 2017, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2018. Visti l'atto di costituzione di Francesca Santoro, nonche' gli atti di intervento della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 25 settembre 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Amos Andreoni per la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), Carlo de Marchis e Amos Andreoni per Francesca Santoro e l'avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 26 luglio 2017 (reg. ord. n. 195 del 2017), il Tribunale ordinario di Roma, terza sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 35, primo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione - questi ultimi due articoli in relazione all'art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, alla Convenzione sul licenziamento n. 158 del 1982 (Convenzione sulla cessazione della relazione di lavoro ad iniziativa del datore di lavoro), adottata a Ginevra dalla Conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) il 22 giugno 1982 (e non ratificata dall'Italia) e all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30 - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 7, lettera c), della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonche' in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attivita' ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro) e degli artt. 2, 3 e 4 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183). Va precisato che l'ordinanza di rimessione aveva indicato quali disposizioni censurate (in particolare, al secondo rigo del punto 2. e al secondo rigo del dispositivo), oltre all'art. 7, comma 1, lettera c), della legge n. 183 del 2014, gli «artt. 2, 4 e 10» del d.lgs. n. 23 del 2015. Su richiesta della ricorrente nel giudizio a quo, il giudice rimettente, con provvedimento del 2 agosto 2017, rilevato che l'ordinanza di rimessione «indica erroneamente sia a pag. 4 che a pag. 10 gli articoli del D.Lgs. n. 23/2015 sospettati di incostituzionalita', come si evince chiaramente dal resto della parte motiva dell'ordinanza, che invece li riporta con esattezza anche nel contenuto», ha disposto la correzione di questa «nel senso che, nella seconda riga del parg. 2 e nella seconda riga dopo il "P.Q.M.", in luogo delle parole "artt. 2, 4 e 10" debbano intendersi scritte le parole "artt. 2, 3 e 4"». Il provvedimento di correzione di errore materiale e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 3 del 17 gennaio 2018, insieme con l'ordinanza di rimessione. Va altresi' dato atto che, su richiesta della Cancelleria della Corte costituzionale, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 7 del 14 febbraio 2018, e' stato pubblicato il seguente avviso di rettifica, relativo all'ordinanza n. 195 del 2017: «Nell'ordinanza citata in epigrafe, emessa dal Tribunale di Roma, pubblicata nella sopraindicata Gazzetta Ufficiale, alla pag. 41 e seguenti, sia nel titolo che nel testo, il nome della parte nel giudizio a quo e' Santoro Francesca anziche' Santoro Federica». 1.1.- Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto: di essere investito del ricorso proposto da Francesca Santoro avverso il licenziamento intimatole dalla Settimo senso s.r.l. il 15 dicembre 2015, dopo pochi mesi dall'assunzione, avvenuta l'11 maggio 2015;

che tale licenziamento era basato sulla motivazione che, «a seguito di crescenti problematiche di carattere economico-produttivo che non ci consentono il regolare proseguimento del rapporto di lavoro, la Sua attivita' lavorativa non puo' piu' essere proficuamente utilizzata dall'azienda. Rilevato che non e' possibile, all'interno dell'azienda, reperire un'altra posizione lavorativa per poterLa collocare, siamo costretti a licenziarLa per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604»;

che la societa' convenuta e' rimasta contumace. Il giudice a quo prende atto che quest'ultima, dichiarata contumace, non ha adempiuto l'onere di dimostrare la fondatezza della citata motivazione del licenziamento ne' ha contestato di possedere i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), implicitamente allegati dalla ricorrente con l'invocazione della tutela prevista dall'art. 3 (e non anche dall'art. 9) del d.lgs. n. 23 del 2015. Cio' premesso, il giudice a quo rappresenta che, poiche' la lavoratrice ricorrente e' stata assunta dopo il 6 marzo 2015, la tutela a essa applicabile e' costituita dagli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 23 del 2015 e, in particolare, dai citati comma 1 dell'art. 3 e comma unico dell'art. 4. Invece, per i lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015, la tutela avverso i licenziamenti illegittimi e' quella prevista dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), e, in particolare: dal settimo comma dell'art. 18, «per il caso di assenza del motivo oggettivo (definito come difetto di giustificazione, manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento), che richiama il comma 4 e il comma 5 a seconda della gravita' del vizio»;

dal sesto comma dell'art. 18, «per il caso di difetto di motivazione». Cio' esposto, il giudice a quo afferma di ritenere che, «a fronte della estrema genericita' della motivazione addotta e della assoluta mancanza di prova della fondatezza di alcune delle circostanze laconicamente accennate nell'espulsione, il vizio ravvisabile sia il piu' grave fra quelli indicati, vale a dire la "non ricorrenza degli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo"». Lo stesso giudice osserva quindi che la lavoratrice ricorrente: se fosse stata assunta prima del 7 marzo 2015, avrebbe usufruito, applicando il quarto comma dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970, della tutela reintegratoria e di un'indennita' commisurata a dodici mensilita' e, applicando il quinto comma dello stesso art. 18, della tutela indennitaria tra dodici e ventiquattro mensilita';

poiche' e' stata assunta a decorrere dal 7 marzo 2015, «ha diritto soltanto a quattro mensilita', e solo in quanto la contumacia del convenuto consente di ritenere presuntivamente dimostrato il requisito dimensionale, altrimenti le mensilita' risarcitorie sarebbero state due». Il rimettente soggiunge che, «[a]nche nel caso si ravvisasse un mero vizio della motivazione, la tutela nel vigore dell'art. 18 sarebbe stata molto piu' consistente (6-12 mensilita' risarcitorie a fronte di 2)». 1.2.- Con riguardo alla non manifesta infondatezza, il rimettente, prima di esporre piu' diffusamente le ragioni della violazione dei singoli parametri costituzionali invocati, afferma, in generale, che i censurati artt. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 e 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 23 del 2015, «priva[no la] ricorrente di gran parte delle tutele tuttora vigenti per coloro che sono stati assunti a tempo indeterminato prima del 7.3.2015» e «preclud[ono] qualsiasi discrezionalita' valutativa del giudice» - in precedenza esercitabile, ancorche' nel rispetto dei criteri previsti dall'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali) e dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970 - «imponendo[gli] un automatismo in base al quale al lavoratore spetta, in caso di [...] illegittimita' del licenziamento, la piccola somma risarcitoria [da essi] prevista». Lo stesso rimettente anticipa che le successive considerazioni in tema di non manifesta infondatezza saranno incentrate sul contrasto delle disposizioni censurate con: l'art. 3 Cost., perche' «l'importo» dell'indennita' risarcitoria da esse prevista non ha «carattere compensativo ne' dissuasivo ed ha conseguenze discriminatorie» e perche' la totale eliminazione della discrezionalita' valutativa del giudice «finisce per disciplinare in modo uniforme casi molto dissimili fra loro»;

gli artt. 4 e 35 Cost., perche' «al diritto al lavoro, valore fondante della Carta, e' attribuito un controvalore monetario irrisorio e fisso»;

gli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., perche' le sanzioni previste per il licenziamento illegittimo sono «inadeguat[e]» rispetto a quanto...

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