n. 185 SENTENZA 8 - 23 luglio 2015 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi dalla Corte di cassazione, quinta sezione penale, con ordinanza del 10 settembre 2014, e dalla Corte d'appello di Napoli, terza sezione penale, con ordinanza del 19 novembre 2014, rispettivamente iscritte al n. 227 del registro ordinanze 2014 e al n. 35 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2014 e n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'8 luglio 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi. Ritenuto in fatto 1.- La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con ordinanza del 10 settembre 2014 (r.o. n. 227 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione). Il giudice a quo premette che, con sentenza emessa il 21 dicembre 2011, la Corte d'assise di Napoli aveva dichiarato N.F. colpevole dei reati di cui agli artt. 81, cpv., 600 e 600-bis cod. pen. e, applicate le circostanze attenuanti generiche ed esclusa la contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione. Il giudice di primo grado aveva altresi' condannato N.M., per il reato di cui all'art. 600-bis cod. pen., alla pena di giustizia, assolvendola dall'imputazione ex art. 600 cod. pen. per non aver commesso il fatto. La Corte d'assise d'appello di Napoli, in accoglimento dell'appello del procuratore generale, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado e, ritenendo, con riferimento a N.F., obbligatoria la recidiva contestata ed equivalenti le circostanze attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena in otto anni e due mesi di reclusione. La Corte rimettente riferisce che gli imputati avevano proposto, a mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado, sostenendo, tra l'altro, che erroneamente era stata ritenuta obbligatoria l'applicazione della recidiva e aggiungendo che, nel caso in cui questo motivo non fosse stato accolto, si sarebbe dovuta sollevare una questione di legittimita' costituzionale «degli artt. 99 e 69 cod. pen., dell'art. 407, comma 2, cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3, 25, 27 e 111 Cost.». Il giudice a quo ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 192 del 2007) e di legittimita' (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, n. 35738), l'art. 99, quinto comma, cod. pen., prevede un'ipotesi di recidiva obbligatoria, che si affianca alle diverse forme di recidiva facoltativa disciplinate dai primi quattro commi del medesimo articolo, che diventano obbligatorie nel caso in cui il soggetto commette un nuovo delitto incluso fra quelli indicati dall'art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, non occorrendo che anche il delitto per il quale vi e' stata precedente condanna rientri nell'elencazione di cui al menzionato art. 407 (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, n. 20798). La questione di legittimita' costituzionale sarebbe pertanto rilevante, in quanto la richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimita' «rende ragione [...] della qualificazione come obbligatoria della recidiva [semplice] applicata nel caso di specie all'imputato, posto che [...] entrambi i reati per i quali e' intervenuta condanna sono ricompresi nel "catalogo" di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.» e che l'imputato e' gravato da un precedente penale per il reato di rissa di cui all'art. 588 cod. pen. La questione sarebbe inoltre non manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della manifesta irragionevolezza e dell'identita' di trattamento di situazioni diverse cui la norma da' luogo, e all'art. 27, terzo comma, Cost. La Corte rimettente ricorda che la giurisprudenza costituzionale, intervenuta in seguito alla sostituzione, ad opera dell'art. 4 della legge n. 251 del 2005, dell'art. 99 cod. pen., ha messo a fuoco la fisionomia dell'istituto della recidiva, individuando il suo fondamento nella piu' accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosita' del reo (sentenza n. 192 del 2007). Con riferimento alla recidiva facoltativa, in particolare, l'aumento di pena per il fatto per il quale si procede puo' essere disposto «solo allorche' il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo» (ordinanza n. 409 del 2007;

conformi, ex plurimis, ordinanze n. 193, n. 90 e n. 33 del 2008). In linea con l'impostazione adottata dalla Corte costituzionale - prosegue il giudice a quo - le sezioni unite della Corte di cassazione hanno sottolineato, da una parte, che «il giudizio sulla recidiva non riguarda l'astratta pericolosita' del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatto reato» e, dall'altra, che il riconoscimento e l'applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, invece, «la valutazione della gravita' dell'illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva - sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale - quale aspetto della colpevolezza e della capacita' di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell'ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo - in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 cod. pen. - sotto il profilo della piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, n. 20798). Alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimita', quindi, l'applicabilita' della recidiva richiede una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito, che deve risultare da un accertamento condotto, nel caso concreto, sulla base di criteri enucleati dalle sezioni unite della Corte di cassazione, quali la natura dei reati, il tipo di devianza di cui sono il segno, la qualita' dei comportamenti, il margine di offensivita' delle condotte, la distanza temporale e il livello di omogeneita' esistente fra loro, l'eventuale occasionalita' della ricaduta e ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del mero ed indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, n. 35738). Ad avviso della Corte rimettente, «I criteri indicati dalle Sezioni unite riflettono le condizioni "sostanziali" per l'applicazione della circostanza aggravante, fungendo cosi' da strumento necessario ad assicurare che, nel caso concreto, l'applicazione della recidiva sia coerente con il suo fondamento, ossia con la riconoscibilita', nella ricaduta nel delitto, di una piu' accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosita' del reo». Tuttavia, prosegue il giudice a quo, l'accertamento, nel caso...

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