n. 176 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 aprile 2015 -

IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA Vista l'istanza avanzata da C. G. nato a Niscemi (CL) il 31 gennaio 1957 detenuto nella Casa di reclusione di Padova in esecuzione della pena dell'ergastolo determinata con provvedimento di cumulo della Procura generale presso la Corte d'Appello di Catania del 2 ottobre 2007;

Sentite le conclusioni del pubblico ministero e della difesa, all'esito della procedura prevista dall'art. 35-ter o.p., quale introdotto dall'art. 1 del decreto-legge 26 giugno 2014, n. 92 convertito in legge 11 agosto 2014, n. 117 ed a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 20 marzo 2015, ha emesso la seguente ordinanza. Ritenuto in fatto Con reclamo pervenuto all'ufficio in data 12 agosto 2014, e successivamente integrato il 14 novembre 2014, il detenuto in epigrafe proponeva istanza ai sensi dell'art. 35-ter o. p. per la violazione dell'art. 3 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo asserendo di aver subito, dalla data della sua detenzione in vari istituti italiani, una restrizione dello spazio disponibile nella cella al di sotto dei 3 mq essendo stato costretto a condividere la cella con altri detenuti. Chiedeva pertanto, in ragione della violazione complessiva dei diritti subita durante la detenzione ed a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena di un giorno per ogni 10 di pregiudizio sofferto in relazione al periodo detentivo. Va precisato che la pena in espiazione riguarda vari periodi detentivi a partire dalla data dell'arresto (1° giugno 1986) in relazione al reato di omicidio per il quale il reclamante e' stato condannato alla pena dell'ergastolo con sentenza 1° dicembre 1988 della Corte d'Appello di Catania. Le pene detentive relative ad un'ulteriore condanna (anni 4 e mesi 6 per l'art. 74 e 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90) sono confluite nella pena dell'ergastolo con isolamento diurno per anni 1 (quest'ultimo espiato dal 28 maggio 2003 al 28 novembre 2003 e dal 20 gennaio 2005 al 20 luglio 2005). Nonostante alcune successive interruzioni (anche per differimento della pena per complessivi anni 1 mesi 6 e giorni 20) il periodo in valutazione copre dunque l'intera condanna all'ergastolo poi confluita nel cumulo oggi in esecuzione, sebbene l'interessato abbia limitato la domanda risarcitoria soltanto ad alcuni istituti in cui e' stato ristretto: Ragusa, Enna, Noto, Favignana, Lecce, Caltagirone, Sulmona, Vasto, Augusta, Spoleto e Padova. All'esito della complessa istruttoria, resa difficoltosa soprattutto dal fatto che i periodi detentivi sono perlopiu' remoti nel tempo e lo stato degli istituti si e' notevolmente modificato da allora, si e' soltanto potuto accertare fino ad oggi che durante la detenzione nel carcere di Augusta, in cui il detenuto e' stato ristretto con altri 2 compagni disponendo di uno spazio pro capite di soli mq 2,79, egli ha subito certamente un trattamento disumano e degradante, alla stregua dei criteri indicati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, per complessivi giorni 384 (in vari, alternati, periodi compresi tra il 10 giugno 2007 e il 20 maggio 2010, come indicato nella nota del predetto istituto datata 7 gennaio 2015). Altresi', allorche' era detenuto presso il carcere di Caltagirone, nei periodi in cui ha condiviso la cella dapprima con 13 detenuti indi con altri 7 (dal 22 marzo 1992 al 23 marzo 1992 e dal 24 marzo 1992 all'11 aprile 1992), ha avuto a disposizione uno spazio minimo di mq 2,86 nel primo caso e di mq 2,82 nel secondo, per un totale di giorni 19 (cfr. nota della Casa circondariale di Caltagirone del 19 febbraio 2015). Infine, nella Casa di reclusione di Padova, ove attualmente si trova, egli ha subito un analogo trattamento per un giorno soltanto (il 25 febbraio 2014) allorche' ha condiviso la cella con altri due detenuti, disponendo percio' di mq 2,85 (cfr. nota della Casa di reclusione di Padova del 17 gennaio 2015). In ordine alla misurazione dello spazio vivibile, il criterio di misurazione qui adottato esclude dalla superficie utile sia i locali adibiti a servizi igienici sia quegli arredi che, per essere inamovibili, sottraggono alla persona un effettivo spazio utilizzabile. Lo spazio della cella va infatti, a giudizio dello scrivente, ridotto a causa dell'ingombro costituto dalla presenza di vario mobilio: si tratta nel caso di specie (per quanto qui interessa) degli armadi, grossomodo per complessivi mq. 0,54, che riducono lo spazio effettivamente disponibile ad un limite sempre inferiore, nei casi considerati, a quello «vitale» di 3 mq. come fissato dalla Corte europea. Com'e' noto la Corte di Strasburgo ha ritenuto che il parametro dei 3 mq. debba essere ritenuto il minimo consentito al di sotto del quale si avrebbe violazione «flagrante» dell'art. 3 della Convenzione e dunque, per cio' solo, «trattamento disumano e degradante», indipendentemente dalle altre condizioni di vita detentiva (afferenti in particolare le ore d'aria disponibili o le ore di socialita', l'apertura delle porte della cella, la quantita' di luce e aria dalle finestre, il regime trattamentale effettivamente praticato in istituto). In altre parole, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, oggi espressamente richiamata sub specie iuris nel concetto di «gravita'» dal comma 1 dell'art. 35-ter, ha stabilito che ancorche' il detenuto, per assurdo, trascorra le sole ore dedicate al sonno nella camera, non puo' comunque disporre di uno spazio inferiore a 3 mq. Se e' vero che il 1° comma dell'art. 6 o.p. si limita a prevedere che i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di «ampiezza sufficiente», e' anche vero che esiste uno spazio vitale minimo al di sotto del quale la giurisprudenza della CEDU ravvisa la patente violazione dell'art. 3 della Convenzione ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Cio' premesso, si deve ritenere in fatto che il ricorrente abbia subito un pregiudizio, integrante la fattispecie sottesa al rimedio risarcitorio qui reclamato, per un totale di almeno 404 giorni, pari ad una ipotetica riduzione di pena, applicando il criterio proporzionale di cui al comma 1 dell'art. 35-ter o.p., di giorni 40. In relazione agli altri periodi detentivi non si e' raggiunta la piena prova di quanto dedotto dall'instante o perche' in alcuni casi egli e' stato ristretto in una cella, sufficientemente ampia, da solo (Spoleto e Vasto) ovvero perche' i periodi detentivi, particolarmente risalenti, sono di difficile se non impossibile accertamento (Ragusa, Enna, Noto, Favignana e Caltagirone prima del 1992) o, infine, perche' gli istituti penitenziari non hanno dato riscontro alla richiesta istruttoria (Trapani, Caltanissetta, Floridia, Enna, Lecce, Sulmona). Il difensore del ricorrente, fermo dunque il diritto ad ottenere il rimedio risarcitorio reclamato per il proprio assistito quantomeno per il periodo di gia' accertato pregiudizio, solleva in via preliminare questione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 35-ter o.p. la quale non consentirebbe di detrarre, nel caso del condannato alla pena dell'ergastolo, il quantum eventualmente accordato a titolo compensativo (nel caso...

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