n. 164 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 marzo 2015 -

TRIBUNALE DI MILANO Sezione I Civile R.B. e S.D., elettivamente domiciliati in Milano, via Giovanni Battista Carta n. 36, presso lo studio dell'avv. Lara Giglio che, unitamente all'avv. Gianni Baldini, li rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso introduttivo;

Ricorrenti contro Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Milano, via XX Settembre n. 24, presso lo studio dell'avv. Valerio Onida e dell'avv. Barbara Randazzo che la rappresentano e difendono come da procura a margine della comparsa di costituzione;

Resistente il giudice, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 12 febbraio 2015, letti gli atti di causa e vista la documentazione prodotta ha emesso la seguente;

Ordinanza Con ricorso ex art. 700 del codice di procedura penale, depositato il 2 ottobre 2014 R.B. e S.D. evocavano in giudizio l'Ospedale Maggiore Policlinico, in persona del legale rappresentante pro tempore, deducendo, in fatto: ehe erano conviventi sin dal 2001;

che il sig. S. era affetto da esostosi multiple ereditarie (EME), patologia irreversibile, trasmissibile geneticamente con modalita' autosomica dominante che coinvolgeva tutto l'apparato scheletrico;

che volevano accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, precedute da diagnosi pre-impianto, in quanto la natura della malattia avrebbe determinato un rischio di trasmissione, con mutazioni anche piu' gravi, nella misura pari al 50%;

che, a causa della patologia del sig. S. la coppia doveva essere ritenuta non fertile, in quanto vi sarebbe stato un alto rischio di trasmettere la patologia genetica incurabile, con esiti infausti, alla prole;

che, il 2 luglio 2014, si erano rivolti all'Ospedale Maggiore Policlinico (di seguito, per brevita', solo Policlinico) per accedere alla fecondazione medicalmente assistita e per effettuate l'indagine clinica diagnostica sull'embrione;

che, con referto n. 1155642, a firma della dott.ssa R.B. ai ricorrenti era stato suggerito di rivolgersi a centri per la diagnosi genetica preimpianto per l'esostosi multipla ereditaria;

che il Policlinico era un centro pubblico autorizzato ad applicare tecniche di II livello, dotato di tutta la strumentazione e le attrezzature necessarie e che, pertanto, ben poteva eseguire la diagnosi preimpianto richiesta dalla coppia;

che, a fronte del diniego della struttura pubblica resistente, i ricorrenti si erano recati, per due volte, in Grecia ove avevano effettuato la diagnosi preimpianto in vista della procreazione medicalmente assistita (sostenendo costi pari ad euro 13.097,54), ma che tali tentativi non avevano dato esito positivo;

che i ricorrenti non avevano la possibilita' di realizzare in altro modo il loro diritto a diventare genitori, non avendo condizioni personali e lavorative o mezzi economici sufficienti per effettuare la diagnosi preimpianto nei centri privati. Premessi tali elementi di fatto, in diritto, e con particolare riferimento al requisito del fumus boni iuris, evidenziavano: che il diniego opposto dalla struttura sanitaria convenuta determinava l'impossibilita' di conoscere lo stato di salute dell'embrione e provocava la lesione di diritti costituzionalmente garantiti (articoli 2, 13, 29 e 32 Cost.) alla salute dei genitori, del nascituro, all'autodeterminazione (consentita dalla conoscenza dello stato di salute dell'embrione), alla realizzazione della personalita' attraverso la genitorialita';

che, in particolare, era leso il diritto all'eguaglianza dei cittadini, atteso che solo i piu' abbienti potevano recarsi in strutture di procreazione medicalmente assistita private;

che si era realizzata, altresi', una violazione dell'art. 9 Cost. in quanto il rifiuto opposto dal Policlinico aveva impedito ai ricorrenti di valersi dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica;

che tali principi erano stati affermati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (nella sentenza Costa Pavan c. Italia) e dalla giurisprudenza nazionale;

che il diritto di procreare senza il concreto ed attuale rischio di compromissione della salute del nascituro e della donna costituiva una specificazione dell'art. 8 della Cedu, avente natura di diritto fondamentale della persona;

che il divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita per effettuare diagnosi preimpianto per le coppie portatrici di grave patologia genetica trasmissibile alla prole costituiva una irragionevole e sproporzionata compressione di un fondamentale diritto soggettivo;

che, a fronte della pronuncia della Corte Edu, il giudice avrebbe dovuto disapplicare la normativa nazionale contrastante con le disposizioni Cedu oppure, non ritenendo possibile un'interpretazione adeguatrice alla norma interposta, sollevare questione di legittimita' costituzionale;

che la legge n. 40/2004 presentava numerosi profili di illegittimita' costituzionale, risultando contraria al disposto degli articoli 2, 3, 32, 117, comma 1 in relazione agli articoli 8 e 14 della Cedu. In merito al periculum in mora evidenziavano che, in ragione dell'eta' della sig. B. (35 anni) e della grave patologia del ricorrente, che aveva delle ripercussioni anche sul piano psicofisico della coppia, il trascorrere del tempo avrebbe comportato un aumento della percentuale di insuccesso delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Concludevano, pertanto, chiedendo: 1) nel merito e, in via principale, dichiarare il diritto dei ricorrenti di: a) ricorrere alle metodiche di procreazione medicalmente assistita;

  1. ottenere l'esecuzione di indagini cliniche diagnosticate sull'embrione;

  2. sottoporsi ad un protocollo di PMA adeguato ad assicurare le piu' alte chances di risultato utile compatibilmente con quanto stabilito nella sentenza Corte Cost. 151/09;

  3. sottoporsi ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalita' compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna nel caso concreto;

ordinare all'Ospedale Policlinico Maggiore di Milano di ottemperare agli obblighi previsti dalla legge n. 40/2004 eseguendo le indagini cliniche e diagnostiche sull'embrione previste per legge ed il trasferimento in utero della sig.ra B.R. solo di embrioni sani, nonche' pronunciare ogni altro provvedimento ritenuto opportuno e conseguente;

2) in via subordinata, disapplicare gli articoli 1, commi 11 e 2, 4 comma 1 della legge n. 40/2004 per contrasto con l'art. 8 della Cedu e per l'effetto dichiarare il diritto dei ricorrenti come sopra declinato;

3) in via ulteriormente subordinata, sollevare la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 2 e 4 della legge n. 40/2004, per contrasto con gli articoli 11 e 117 Cost, per violazione degli articoli 2, 3, 13 e 32 Cost.;

in ogni caso accertare il diritto dei ricorrenti, stante l'indisponibilita' del Policlinico ad eseguire la metodica di diagnosi preimpianto, al rimborso delle spese sostenute per effettuare le dette analisi nei centri medici stranieri, con vittoria di spese, competenze ed onorari, da distrarsi in favore dei difensori che si dichiarano antistatari. Con decreto del 7 ottobre 2014 il giudice fissava per la comparizione delle parti l'udienza del 23 ottobre 2014. La Fondazione 1RCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, con comparsa depositata il 22 ottobre 2014, si costituiva deducendo: che non sussisteva il requisito del fumus boni iuris, atteso che il Policlinico non aveva rifiutato la prestazione in ragione del disposto della legge n. 40/2004, ma solo a causa di problemi di ordine tecnico legati alla mancanza di strumentazione e delle specifiche competenze necessarie;

che difettava, altresi', il requisito del periculum in mora in quanto le diagnosi preimpianto e la procreazione medicalmente assistita, in una coppia giovane come i ricorrenti, erano procedimenti ripetibili indefinitamente nel tempo in caso di insuccesso;

che la malattia genetica dalla quale era affetto il sig. S. era una malattia rara, non mortale ne' gravemente invalidante e che il test genetico volto a verificare la presenza della detta malattia avrebbe richiesto l'adozione di particolari tecniche e strumentazioni, non in possesso dell'ente convenuto;

che il test genetico e le tecniche di procreazione medicalmente assistita richieste dai ricorrenti non rientravano tra le prestazioni poste a carico del Servizio sanitario nazionale;

che l'eventuale contrasto tra una disposizione di legge interna e la Convenzione europea non avrebbe potuto dar luogo al potere-dovere di disapplicazione, da parte del giudice il quale...

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