n. 142 SENTENZA 24 gennaio - 5 luglio 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007) e dell'art. 2, commi 3 e 3-bis, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati), promosso dal Tribunale ordinario di Enna nel procedimento vertente tra l'Azienda sanitaria provinciale di Enna e Angela Restivo, con ordinanza del 14 marzo 2016, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2018 il Giudice relatore Franco Modugno. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 14 marzo 2016, il Tribunale ordinario di Enna ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 101 e 104 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui: - «ai sensi dell'art. 288» del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge n. 130 del 2008, «cosi' come interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, si prevede che la decisione della Commissione rivolta agli Stati, ormai divenuta inoppugnabile dinnanzi agli organi giurisdizionali comunitari, sia obbligatoria e vincolante in tutti i suoi elementi, anche per i giudici nazionali»;

- «ai sensi dell'art. 267 TFUE, cosi' come interpretato nella sentenza della C.G.U.E., 30 settembre 2003, causa 224/01, si prevede che nell'attivita' interpretativa il giudice debba tenere conto delle posizioni espresse dalle istituzioni europee non giurisdizionali»;

  1. dell'art. 2, commi 3 e 3-bis, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati), come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 27 febbraio 2015, n. 18 (Disciplina della responsabilita' civile dei magistrati), «nella parte in cui include tra le ipotesi di manifesta violazione del diritto dell'Unione europea il contrasto tra un atto o un provvedimento giudiziario e l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea sulla vincolativita' delle decisioni della Commissione europea per il giudice nazionale». 1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del giudizio di opposizione al decreto con il quale il Presidente del Tribunale ordinario di Enna aveva ingiunto all'Azienda sanitaria provinciale della medesima citta' il pagamento di una somma di denaro in favore di un allevatore di bestiame, a titolo di indennita' per l'abbattimento di quattordici bovini ai sensi dell'art. 1 della legge della Regione Siciliana 5 giugno 1989, n. 12 (Interventi per favorire il risanamento e il reintegro degli allevamenti zootecnici colpiti dalla tubercolosi, dalla brucellosi e da altre malattie infettive e diffusive e contributi alle associazioni degli allevatori). La citata disposizione regionale prevede che, in vista del risanamento degli allevamenti, ai proprietari di bovini, ovini o caprini abbattuti in quanto affetti da determinate patologie (tubercolosi, brucellosi o leucosi) e' corrisposta un'indennita', nella misura indicata nella tabella allegata alla legge regionale, in aggiunta a quella prevista dalle vigenti disposizioni nazionali. Il rimettente riferisce, altresi', che «[t]ra i motivi a sostegno dell'opposizione», l'Azienda sanitaria aveva dedotto, «in via preliminare», che il fondo previsto dalla legge regionale in questione non era stato reintegrato, a partire dal 1997, dal competente assessorato regionale, in quanto gli indennizzi erano stati considerati «aiuti di Stato» rilevanti ai fini dell'art. 87, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunita' economica europea (CEE), firmato a Roma il 25 marzo 1957, entrato in vigore il 1° gennaio 1958 (oggi dell'art. 107 TFUE). Secondo quanto si legge nell'ordinanza di rimessione, la Regione Siciliana aveva adempiuto all'obbligo di comunicazione previsto dall'art. 88, paragrafo 3, Trattato CEE (ora dall'art. 108, paragrafo 3, TFUE), al fine di ottenere, per ogni singola annualita', l'autorizzazione al pagamento degli indennizzi. Con la decisione C(2002)4786 dell'11 [recte: del 6] dicembre 2002, indirizzata all'Italia, la Commissione europea, pur qualificando la misura come aiuto di Stato - e deplorando, percio', che ad essa fosse stata data esecuzione in violazione del citato art. 88, paragrafo 3, Trattato CEE (ossia prima della decisione finale circa la sua compatibilita' con il mercato comune) - ne aveva autorizzato l'erogazione per gli anni dal 1993 al 1997. Tale decisione dovrebbe ritenersi, allo stato, «inoppugnabile poiche' nessuna delle parti in causa ha dedotto di averla impugnata e neppure ne [ha] contestato, incidentalmente, la validita'». Di contro, per gli anni dal 2000 al 2006, nonostante l'art. 25, comma 16, della legge della Regione Siciliana 22 dicembre 2005, n. 19 (Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l'esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie) avesse previsto un apposito rifinanziamento del fondo, la Regione - a seguito dell'ordinanza del Ministero della sanita' del 14 novembre 2008 e in ragione «della nebulosita' del testo normativo» - non aveva a cio' provveduto, omettendo, pertanto, la comunicazione alla Commissione. 1.2.- Risulterebbe dunque evidente - secondo il giudice a quo - come, ai fini della risoluzione della controversia, occorra valutare se l'indennizzo previsto dalla legge reg. Siciliana n. 12 del 1989 rientri nella nozione di aiuto di Stato. Al riguardo, il giudice a quo osserva che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (e' citata, in particolare, la sentenza della grande sezione 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini spa), e' demandato, «in prima battuta», al giudice nazionale il compito di valutare se una misura, adottata senza seguire il procedimento di controllo preventivo di cui all'art. 88, paragrafo 3, Trattato CEE (ora art. 108, paragrafo 3, TFUE), debba esservi o meno soggetta. In tale contesto, il giudice nazionale puo' essere chiamato a interpretare la nozione di aiuto di Stato, salva restando, in caso di dubbio, la possibilita' di chiedere chiarimenti alla Commissione europea o, in alternativa, di sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia (facolta', quest'ultima, che diviene un obbligo ove si tratti di giudice di ultima istanza). Al giudice nazionale non e' consentito, invece, pronunciarsi sulla compatibilita' con il mercato interno della misura qualificata come aiuto di Stato, essendo tale questione di competenza esclusiva della Commissione europea, che opera sotto il controllo del giudice dell'Unione. Sempre secondo la Corte di giustizia, tale competenza esclusiva - costituente principio vincolante nell'ordinamento giuridico nazionale, in quanto corollario della preminenza del diritto comunitario - esclude che i giudici nazionali possano adire essa Corte di Lussemburgo ai sensi dell'art. 234 Trattato CEE (oggi dell'art. 267 TFUE), al fine di interrogarla sulla compatibilita' con il mercato comune di un aiuto di Stato. 1.3.- Cio' posto, occorrerebbe tuttavia chiedersi se i vincoli interpretativi ora ricordati siano compatibili con i principi supremi di indipendenza del giudice e della separazione dei poteri contemplati dalla nostra Costituzione. Quanto al giudizio di compatibilita' tra un provvedimento nazionale e il mercato comune, la valutazione espressa dalla Commissione potrebbe integrare, in effetti, «un'ipotesi di limite esterno della giurisdizione», implicando apprezzamenti «di opportunita' politica e amministrativa». Secondo la Corte di giustizia, peraltro, il giudice nazionale rimarrebbe vincolato dalle decisioni della Commissione europea, divenute inoppugnabili, anche con riguardo alla qualificazione di una determinata misura come aiuto di Stato: con la conseguenza che egli dovrebbe astenersi dall'applicare le norme interne la cui attuazione potrebbe ostacolare l'esecuzione della decisione (sono citate le sentenze 9 marzo 1994, in causa C-133/92, Andresen, e 21 maggio 1987, in causa 249/85, Albako). Il principio risulterebbe - a parere del rimettente - di tale chiarezza da escludere la necessita' di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia: rinvio che risulterebbe, in ogni caso, «non pertinente», posto che il giudice a quo non dubita della validita' della decisione della Commissione sopra indicata, ne' sussisterebbero dubbi interpretativi riguardo alla sua portata. Nel giudizio a quo non verrebbe, in effetti, in rilievo la correttezza o la validita' della decisione della Commissione, ma la sua efficacia vincolante, in conseguenza della quale il rimettente si troverebbe assoggettato alle determinazioni assunte dalle autorita' amministrative europee. Le decisioni della Commissione, benche' inquadrabili tra i provvedimenti amministrativi, verrebbero in questo modo a influenzare i giudizi in corso, impedendo al giudice «di vagliare l'ambito di applicazione delle norme nazionali e delle norme comunitarie». Le ricordate...

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