n. 133 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2016 -

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA Sezione Sesta Civile Il giudice, dott.ssa Alessandra Imposimato, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 17 marzo 2016, visti gli atti e i documenti allegati al fascicolo della causa iscritta al n. 2291/2013 r.g., avente ad oggetto «risoluzione del contratto di locazione per inadempimento - uso abitativo», e pendente tra Casciaro Mario (parte attrice) e Versaci Giovanna Carmela e Pelilli Renato Carlo (parti convenute), osserva: 1. Sussistono le condizioni per rimettere, alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 1, comma 59 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», legge di stabilita' 2016), per violazione degli articoli 3 e 136 della Costituzione, apparendo questa non manifestamente infondata, nonche' rilevante ai fini del decidere. Cio' per quanto di seguito esposto. 2. Con il ricorso introduttivo della lite (art. 447-bis codice di procedura civile) il sig. Casciaro Mario, evocando in giudizio i signori Versaci Giovanna Carmela e Pelilli Renato Carlo, chiedeva al tribunale di risolvere il contratto di locazione abitativa inerente all'immobile in Roma via Pasquale Baffi n. 26, meglio descritto in atti, a motivo dell'inadempimento di essi convenuti-conduttori. L'attore adduceva, in particolare, che: le parti avevano concluso, in data 28 ottobre 2005, un contratto di locazione abitativa, per il corrispettivo mensile di €

1.600,00;

tale contratto era stato registrato, dalle parti convenute, solo in data 22 settembre 2011, presso l'Agenzia delle entrate - Ufficio Roma 1, ed i convenuti, a decorrere dal successivo mese di ottobre 2011, avevano principiato a versare la minor somma di €

480,00 mensili, a loro dire calcolata ex art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;

l'autoriduzione del canone locativo, come motu proprio operata dai conduttori, doveva ritenersi (sotto diversi profili) illegittima, si' da configurare inadempimento grave ed idoneo a far luogo alla pronuncia di risoluzione. Per tali ragioni l'attore chiedeva, oltre alla pronuncia risolutoria ex art. 1453 del codice civile, la condanna dei convenuti al pagamento della differenza tra canone convenuto in contratto (€

1.600,00 mensili) e le inferiori somme effettivamente pagate, dai conduttori, a titolo di corrispettivo contrattuale, dal mese di ottobre 2011 in avanti. Entrambi i convenuti, costituiti in giudizio, contestavano le ragioni delle pretese di controparte, ed argomentavano in merito alla legittimita' e correttezza (contrattuale) del proprio operato, assumendo di avere semplicemente adeguato la propria condotta alle disposizioni dell'art. 3 (cedolare secca sugli affitti), comma 8, lettera c) del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale»), a termini del quale, nel caso di registrazione del contratto di locazione, che non fosse tempestivamente eseguita agli effetti delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (Testo unico delle disposizioni in materia di imposta di registro, art. 17), «... il canone annuo di locazione» fosse autoritativamente «fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai». 3. Tali i fatti controversi, dopo la sopravvenuta liberazione dell'immobile di proprieta' dell'attore, da parte dei convenuti (avutasi in corso di causa), la difesa Casciaro ha coltivato (v. note conclusive) la domanda di condanna al pagamento della differenza tra canone indicato nel contratto di locazione abitativa tardivamente registrato (agli effetti del decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986), ed il canone effettivamente versato dai convenuti (conduttori), dal mese di ottobre 2011 sino al mese di luglio 2015 (rilascio dell'immobile), nonche' calcolato in misura (mensile) pari ad 1/12 del triplo della rendita catastale degli immobili costituenti oggetto del contratto locativo inter partes, in applicazione dell'art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. Dunque il tribunale e' chiamato a stabilire se i convenuti siano tenuti a versare, alla controparte locatrice, quanto dovuto per contratto (a suo tempo) non versato, avvalendosi delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo sul federalismo fiscale, come gia' (precariamente) prorogate, negli effetti, dall'art. 5, comma 1-ter del decreto-legge 24 marzo 2014, convertito con modificazioni in legge n. 80/2014. Ebbene, all'esito della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 5, comma 1-ter del decreto-legge 24 marzo 2014 (sentenza Corte costituzionale n. 169/2015, su cui oltre), e dell'entrata in vigore della norma contenuta nell'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016), di cui si dira' appresso, dovrebbe nuovamente negarsi, all'attore, il diritto di pretendere la differenza tra il canone convenzionale (indicato nel contratto scritto e registrato) e il canone sanzionatorio (mensile, pari ad 1/12 del triplo della rendita catastale dell'immobile) calcolato in base alla norma da ultimo menzionata;

giacche', peraltro, la conformita' di tale disposizione di legge alla Costituzione e' dubbia, che' parrebbero profilarsi - nuovamente - le questioni gia' esaminate e ritenute fondate, dalla Corte costituzionale, nella recente sentenza 16 luglio 2015, n. 169 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 luglio, n. 29), sopra nominata, sussistono le condizioni per sollevare, nel presente giudizio, questione incidentale di legittimita' costituzionale in riferimento alla norma da ultimo richiamata, e per rimettere alla Corte costituzionale la valutazione dell'eventuale violazione dei parametri costituzionali appresso indicati. 4. Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni qui sollevate, merita ripercorrere brevemente la successione delle disposizioni di legge intervenute a regolare la fattispecie - dedotta in giudizio - del contratto di locazione abitativa che non sia portato a registrazione, presso l'Agenzia delle entrate, nel rispetto del termine di cui all'art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, recante «testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro». 4.1 Si rammenta che: - l'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 23 marzo 2011, introduttivo di un sistema, alternativo al regime ordinario vigente, di tassazione del reddito ritratto dalla locazione di immobili destinati ad uso abitativo (cosiddetta «cedolare secca sugli affitti»), al comma 8 cosi' testualmente prescriveva: «8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio;

b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'art. 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998;

c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». Chiaro l'intento del legislatore di «colmare» il vuoto normativo lasciato dall'art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, tuttora vigente, a tenore del quale: «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita' immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Nell'interpretazione ed applicazione data, dalla giurisprudenza di merito, della norma da ultimo riportata (art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004) sta infatti, ad avviso di chi scrive, buona parte delle ragioni della nascita delle disposizioni sanzionatorie contenute nell'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2011, che e' oggetto di esame. Cio' in quanto: l'art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, tutt'oggi operante, collega la nullita' del contratto esclusivamente alla sua omessa registrazione, tacendo con riguardo all'ipotesi in cui il contratto sia registrato oltre il termine (trenta giorni) prescritto dall'art. 17 decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (di approvazione del «Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro»);

d'altronde, a termini del menzionato testo unico delle disposizioni in materia di imposta di registro, l'obbligo di registrazione del contratto di locazione persiste anche dopo la scadenza del termine di trenta giorni, dalla sua stipulazione, stabilito nel medesimo corpo legislativo, tantoche', in caso di registrazione tardiva, la parte che abbia intempestivamente provveduto alla denunzia del contratto, al fisco, e' tenuta a versare, oltre all'imposta di registro precedentemente non versata, interessi e sanzioni pecuniarie;

pertanto, in assenza di esplicita sanzione di nullita' per il caso di registrazione tardiva (oggi regolata dal novellato art. 13 della legge n. 431/1998, nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 59 della legge stabilita' 2016), i giudici di merito, e tra essi il tribunale di Roma, avevano argomentato (ubi lex tacuit, noluit) che il contratto comunque registrato (presto o tardi) fosse in ogni caso esente da nullita', e quindi valido, efficace e vincolante, e cio' anche in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 10, comma terzo dello Statuto dei diritti del contribuente;

il...

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