n. 13 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 ottobre 2017 -

LA CORTE D'APPELLO DI ROMA sezione lavoro composta dai sigg.ri Magistrati: dott. Francescopaolo Panariello, Presidente rel.;

dott. Maria Loredana Viva, consigliere;

dott. Fabrizio Riga, consigliere, pronunziando in grado di appello in funzione di giudice del lavoro, all'udienza del giorno 2 ottobre 2017 ha emesso la seguente ordinanza nella causa d'appello tra Telecom Italia spa e Fiore Alfonso. Rilevato che la societa' appellante ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di' Roma, in funzione di giudice del lavoro, su istanza dell'odierno appellato, con cui e' stato intimato il pagamento della somma ivi indicata a titolo di retribuzioni maturate e non pagate nel periodo gennaio-dicembre 2011, in virtu' di precedente sentenza del 31/01/2007, pronunziala dal Tribunale di Roma, con cui erano stati dichiarati illegittimi i provvedimenti di trasferimento dei lavoratori (fra cui l'odierno appellato) da Telecom Italia spa alla HP DCS srl e per l'effetto Telecom Italia spa era stata condannata alla loro reintegrazione in servizio nelle medesime mansioni precedentemente svolte o in altre equivalenti;

- tra i motivi di opposizione Telecom Italia spa ha eccepito l'insussistenza del credito, posto che il lavoratore, nello stesso periodo rivendicato, era stato regolarmente retribuito da HP DCS S.r.l. (cessionaria del ramo d'azienda), sicche' il riconoscimento di un ulteriore credito retributivo avrebbe determinato un'inammissibile duplicazione di retribuzione, senza alcuna giustificazione legata ad una prestazione lavorativa, che era stata resa solo in favore di HP DCS S.r.l. e non di essa Telecom Italia spa;

- gli stessi motivi sono stati reiterati in appello, con cui la societa' si duole che il Tribunale, nei rigettare l'opposizione, abbia erroneamente ritenuto sussistente un obbligo retributivo, pur in mancanza della prestazione lavorativa;

- Telecom Italia spa assume che, sulla base del «diritto vivente» espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, in caso di mancata riassunzione del dipendente a seguito della sentenza con cui sia stata dichiarata inefficace la cessione del ramo d'azienda ex art. 2112 c.c. residua soltanto un'obbligazione avente ad oggetto il risarcimento del danno e non gia' la retribuzione: - la societa' deduce, altresi', che nessun danno avrebbe sofferto l'appellato. in quanto - nel periodo al quale si riferisce il provvedimento monitorio - ha regolarmente percepito la retribuzione dalla societa' cessionaria del ramo d'azienda. Tutto cio' rilevato, Osserva 1. Va preliminarmente ricordato che Telecom Italia spa non ha adempiuto la precedente pronunzia del Tribunale di Roma del 2007, con cui e' stato ordinato di reintegrare l'odierno appellato nelle sue mansioni espletale precedentemente al disposto trasferimento d'azienda e non ha ripristinato i rapporti con i dipendenti a suo tempo ceduti, che hanno comunque offerto le proprie prestazioni lavorative. Come si ricava dagli atti. la predetta sentenza del 2007 e' stata dapprima confermata da questa Corte d'Appello con sentenza del 03/05/2011 ed infine e' passata in giudicato a seguito di Cass. n. 13617/2014. 2. Fin dalla propria sentenza del 18/11/2014, n. 8776 (nella causa Telecom Italia spa c/Piscopo Luigi), questa Corte ha evidenziato che e' vero che il lavoro subordinato, nella nozione data dall'art. 2094 c.c., ha prestazioni legate (sia sul piano genetico, che su quello funzionale) da un nesso di corrispettivita'. Pertanto, e' vero che secondo la disciplina generale del contratto e delle obbligazioni, se viene meno una prestazione, viene meno pure l'altra per difetto di giustificazione causale. La deroga a questa regola generale e' certo possibile, purche' espressamente prevista dal legislatore, in quanto ha carattere eccezionale (costituendo, appunto, eccezione alla regola). Si tratta di fattispecie in cui la prestazione lavorativa manca per fatti e vicende che interessano esclusivamente la sfera del lavoratore (infortunio, malattia, gravidanza, puerperio, etc.) e che coinvolgono interessi e valori tutelati dalla Costituzione, proprio per questo, dunque, meritevoli di particolare protezione. Sul rapporto di lavoro subordinato possono incidere, inoltre, fatti e vicende che interessino la sfera produttiva del datore di lavoro (cassa integrazione guadagni), ma in tal caso vi e' un intervento pubblico in funzione integrativa del contratto, perche' si tratta di fatti e vicende (le cc.dd. cause integrabili) in nessun modo imputabili a responsabilita' (neppure oggettiva) del datore di lavoro, Ma e' altresi' vero che tutto cio' non rileva nel caso in esame, in cui la disciplina applicatile e' quella della moro credendi. Infatti, a seguito della sentenza con cui viene dichiarata l'illegittimita' del trasferimento d'azienda con i connessi rapporti di lavoro (secondo Cass. 06/07/2016, n. 13791 si tratterebbe di una vera e propria azione di nullita' ex art. 1418 c.c. per contrasto con norme imperative), questi devono ritenersi ricostituiti - ex tunc - alle dipendenze del cedente (id est Telecom Italia spa) sul piano dei vinculum iuris. Se di fatto, invece, il rapporto di lavoro continua con il cessionario, si e' al cospetto di una fattispecie c.d. di fatto rilevante ex art. 2126 c.c., che tuttavia, proprio in quanto solo di' fatto, non e' idonea ad incidere in senso giuridicamente ostativo sugli effetti ripristinatoti della sentenza e, quindi, sul rapporto di lavoro (c.d. di diritto) che quella sentenza ha ricostituito alle dipendenze del cedente. Pertanto, al lavoratore (ceduto) va certo riconosciuto il diritto alla retribuzione nei confronti del cessionario in ragione della prestazione lavorativa di fatto resa, perche' in tal senso dispone l'art. 2126 c.c. Questo non implica, pero', la perdita del diritto alla retribuzione nei confronti del cedente per i periodi successivi alla sentenza medesima, in quanto nei confronti del cedente il vincolo giuridico e' stato ormai formalmente ricostituito dalla stessa sentenza e vi e' stata offerta di prestazioni lavorative (fatto, questo, pacifico), da ritenersi comunque integrata - come costituzione in mora - dalla notifica del ricorso che, a suo tempo, introdusse il giudizio conclusosi con la sentenza di accertamento dell'illegittimita' (rectius dell'inefficacia o dell'inapponibilita') del trasferimento di ramo d'azienda. A questo riguardo va precisato che, nella controversia in esame, oggetto del decreto ingiuntivo sono le retribuzioni maturate dall'odierno appellato per un periodo successivo alla sentenza del Tribunale di Roma dell'anno 2007, con cui erano stati dichiarati illegittimi i provvedimenti di trasferimento dei lavoratori alla HP DCS sri e Telecom Italia spa era stata condannata alla loro reintegrazione in servizio nelle medesime mansioni svolte o in altre equivalenti. D'altro canto, contrariamente alla tesi della societa' appellante, non puo' essere invocata la giurisprudenza sul contratto a termine e sulla non retribuibilita' dei cc.dd. intervalli non lavorati. In quel caso, infatti, il risarcimento del danno rilevante e' pur sempre quello riferito al periodo anteriore alla sentenza di accertamento della nullita'. Anzi, quella stessa giurisprudenza postula che, dopo la sentenza con cui la clausola del termine finale sia dichiarata nulla, l'obbligo a carico del datore di lavoro acquisti natura retributiva e non piu' risarcitoria (in tali termini v. espressamente C. Cost. n. 303/2011 sull'art. 32 L. n. 183/2010;

Cass. n. 1412/2012;

Cass. n.19295/2014). E allora, proprio dagli insegnamenti di' quella giurisprudenza puo' ricavarsi il seguente principio di diritto: nel caso di trasferimento d'azienda (o di un suo ramo) dichiarato illegittimo. inefficace o comunque non opponibile ai lavoratori ceduti (e quindi trasferiti alle dipendenze del cessionario), il loro rapporto di lavoro viene ricostituito ex tunc alle dipendenze del cedente;

tuttavia, il diritto del lavoratore ceduto nei confronti del cedente per il periodo intercorrente fra la cessione dell'azienda (o di un suo ramo) e la sentenza (di merito) di accertamento della sua illegittimita' o inopponibilita' ha natura risarcitoria, mentre per il periodo successivo alla sentenza medesima acquista natura retributiva, come tale insensibile ad eventuali guadagni ottenuti aliunde, anche sub specie di retribuzioni corrisposte dal cessionario in qualita' di datore di lavoro c.d. di fatto ex art. 2126 c.c. Orbene, quello che si configura a carico del cedente (dopo la sentenza predetta) e' un obbligo retributivo (oltre che eventualmente risarcitorio per gli eventuali danni patiti dal lavoratore, come ad esempio una minore retribuzione percepita presso il cessionario). Ne consegue che non rileva l'aliunde perceptum, espressione di quel criterio della compensatio lucri cum damno applicabile solo ai diversi fini della quantificazione del danno risarcibile, in omaggio al principio dell'integrale riparazione del danno senza iniusta locupletatio da parte del danneggiato (cfr. ex multis Cass. 02/03/2010, n. 4950;

Cass. sez. un. 25/11/2008 n. 28056). Infatti, tale criterio - all'evidenza - non e' applicabile alla diversa fattispecie dell'obbligazione retributiva, la quale trova esclusivo titolo nell'originario rapporto di lavoro (c.d. di diritto) e nella sentenza che lo ha ricostituito come vinculum iuris. Neppure puo' essere invocata quella giurisprudenza (citata dalla societa' appellante: Cass. 17/07/2008, n. 19740) sulla natura risarcitoria e non retributiva della responsabilita' gravante sul datore di lavoro cedente nel caso di accertata illegittimita' (o inopponibilita') della cessione del ramo d'azienda. Come si evince chiaramente dalla relativa motivazione, in quella pronunzia la Suprema Corte - dopo aver correttamente escluso l'applicabilita' della speciale disciplina risarcitoria di cui all'art. 18 L. n...

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