n. 112 SENTENZA 18 aprile - 30 maggio 2018 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 157, sesto comma, del codice penale, promossi con ordinanze della Corte d'appello di L'Aquila e della Corte di Cassazione del 21 ottobre 2015 e del 21 gennaio 2016, iscritte rispettivamente ai nn. 17 e 58 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 12, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 aprile 2018 il Giudice relatore Franco Modugno. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 21 ottobre 2015 (r.o. n. 17 del 2016), la Corte d'appello di L'Aquila ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 157, sesto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del reato di frana colposa (art. 449 in riferimento all'art. 426 cod. pen.) e' raddoppiato. La corte rimettente riferisce di essere investita dell'appello avverso la sentenza del 25 giugno 2013, con la quale il Tribunale ordinario di Teramo aveva condannato due persone per il reato, commesso in cooperazione colposa (art. 113 cod. pen.), di cui all'art. 449 in riferimento all'art. 426 cod. pen., accertato il 17 febbraio 2006, assolvendo altri tre imputati dalla medesima imputazione perche' il fatto non costituisce reato. Contro tale sentenza avevano proposto appello: a) i difensori dei due imputati condannati, chiedendo l'assoluzione dei loro assistiti;

  1. il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Teramo, chiedendo la condanna dei tre imputati assolti in primo grado;

  2. il difensore della parte civile, chiedendo che uno di tali ultimi imputati fosse condannato al risarcimento del danno e al pagamento di una provvisionale. Cio' premesso, il giudice a quo osserva, in punto di rilevanza della questione, che, discutendosi di fatti risalenti al 17 febbraio 2006, sarebbe ampiamente decorso, alla data dell'ordinanza di rimessione, il termine di prescrizione risultante dall'applicazione della regola generale enunciata dall'art. 157, primo comma, cod. pen., come sostituito dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), secondo la quale il tempo necessario a prescrivere corrisponde al massimo della pena edittale prevista dalla legge, con una soglia minima di sei anni per i delitti e di quattro anni per le contravvenzioni. In quanto punito con la pena massima di cinque anni di reclusione, il delitto di frana colposa, per cui si procede, si prescriverebbe, infatti, in sei anni, aumentati di un quarto per l'intervento di atti interruttivi, ai sensi dell'art. 161, secondo comma, cod. pen. Sarebbe pertanto evidente l'incidenza sul giudizio principale del raddoppio dei termini di prescrizione dei reati di cui all'art. 449 cod. pen., disposto dal sesto comma dello stesso art. 157 cod. pen.: raddoppio a fronte del quale il delitto in discussione non risulterebbe, viceversa, ancora prescritto. Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, la corte rimettente rileva che, per effetto della norma denunciata, il termine prescrizionale del delitto di frana colposa viene ad essere parificato a quello della corrispondente fattispecie dolosa, per la quale l'art. 426 cod. pen. stabilisce la pena massima di dodici anni di reclusione. La previsione di un identico termine prescrizionale tanto per l'ipotesi dolosa, quanto per quella colposa del medesimo delitto - alle quali pure lo stesso legislatore attribuisce un disvalore nettamente differenziato, come dimostra il divario fra le rispettive pene edittali - scardinerebbe «la scala della complessiva gravita' delle due fattispecie criminose, avuto riguardo alla riconosciuta natura sostanziale dell'istituto della prescrizione», con «manifesto vulnus dei principi di ragionevolezza ed eguaglianza». Una simile disciplina non potrebbe essere, infatti, giustificata da considerazioni relative al grado dell'allarme sociale generato dalle fattispecie in parola, giacche', se pure «i danni ai beni comuni» prodotti dai reati dolosi e dai reati colposi sono in astratto identici, ben diverso e' il disvalore che l'ordinamento annette alla rispettiva componente psicologica. Con la sentenza n. 143 del 2014, la Corte costituzionale ha, d'altronde, gia' dichiarato illegittimo l'art. 157, sesto comma, cod. pen., per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede il raddoppio del termine di prescrizione del reato di incendio colposo, di cui al combinato disposto degli artt. 449 e 423 cod. pen. Cio', sul rilievo che la prescrizione costituisce un istituto di diritto sostanziale e che la discrezionalita' legislativa in materia deve essere esercitata nel rispetto del principio di ragionevolezza e in modo da non determinare ingiustificabili sperequazioni di trattamento fra fattispecie omogenee. 2.- Con ordinanza del 21 gennaio 2016 (r.o. n. 58 del 2016), la Corte di cassazione, sezione quarta penale, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale del medesimo art. 157, sesto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del reato di naufragio colposo (art. 449 in riferimento all'art. 428 cod. pen.) e' raddoppiato. La corte rimettente riferisce di essere investita del ricorso per cassazione proposto dagli imputati avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli che - confermando, per questa parte, l'appellata sentenza del Tribunale ordinario di Napoli - aveva ritenuto i ricorrenti responsabili del reato di cui agli artt. 113, 428 e 449, secondo comma, cod. pen., per avere, in cooperazione tra loro, nelle rispettive qualita' di comandante e di marinaio timoniere di una nave cisterna, cagionato, a seguito di collisione, il naufragio di un motopeschereccio, nonche' del reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen., per aver causato, in tale occasione, la morte di tre persone presenti a bordo del natante;

reati commessi il 29 giugno 2005. A sostegno dell'impugnazione, i ricorrenti avevano dedotto una articolata serie di motivi, intesi a denunciare, in particolare, il difetto o la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata riguardo alla sussistenza del nesso di causalita' tra le omissioni addebitate ai ricorrenti stessi e l'evento, alla sussistenza della responsabilita' in capo al marinaio timoniere, alla esclusione della responsabilita' di due marinai del motopeschereccio, alla quantificazione della percentuale di corresponsabilita' degli imputati nella determinazione dell'evento, alle statuizioni civili e alla quantificazione della pena. Ad avviso della corte rimettente, i motivi proposti «non appa[rirebbero] tutti...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT