n. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2016 -

TRIBUNALE DI PADOVA Sezione penale Ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, art. 134 Costituzione e 23, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87. La presente ordinanza annulla e sostituisce la precedente di questo Tribunale datata 30 marzo 2016 a seguito di rettifica errori materiali. Il Giudice dott. Claudio Elampini, chiamato a decidere per competenza in ordine al procedimento penale iscritto al n. 12/13978 R.G.N.R. e n. 15/302 R.G. Mon. a carico di Floriani Gigliola nata a Castelfranco Veneto (Treviso) il 30 luglio 1966 imputata del reato di cui agli articoli 624 e 625, n. 5 e n. 7 del codice penale, decidendo sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal difensore di fiducia avv. Giovanni Gentilini del Foro di Padova, espone quanto segue. L'odierna imputata veniva citata a giudizio per il reato di cui agli articoli 624 e 625, n. 5 e n. 7 del codice penale, per aver agito con altre due donne non identificate ed essersi impossessata, al fine di trarne profitto per se o per altri, di uno spolverino del valore di €

45,00 sottraendolo del negozio «Incontro Moda» in San Dono di Massanzago, ove era detenuto, agendo con destrezza ed infilando il capo sottratto nella borsa mentre le altre due complici distraevano la titolare del negozio, con l'aggravante di aver commesso il fatto in tre persone e su cose esposte per necessita' alla pubblica fede. Con recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale. Dall'istruttoria effettuata emerge come il fatto di reato contestato possa ritenersi nell'ambito di un giudizio prognostico integrato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo cosi' come le aggravanti contestate. In base alla giurisprudenza di merito di codesto Tribunale consolidatasi nel tempo, la figura delittuosa contestata, in relazione al valore del bene sottratto, integrerebbe, se non contestate le aggravanti ad effetto speciale, i requisiti, sotto il profilo della lieve entita', dell'istituto di cui all'art. 131-bis del codice penale. La causa di non punibilita' non potrebbe essere nel caso di specie comunque applicata, allo stato attuale dell'interpretazione giuridica, poiche' dovrebbe riconoscersi nei precedenti penali dell'imputata una sorta di abitualita' che esclude la concretizzazione dei requisiti previsti dalla norma. Inoltre, l'esclusione del bilanciamento delle aggravanti con le attenuanti rilevabili e riconoscibili, quali certamente nel caso di specie quella di cui all'art. 62, n. 4 del codice penale, comporta il superamento dei limiti edittali stabiliti dall'art. 131-bis del codice penale per la sua applicazione. Tale contesto di fatto comporta un'effettiva distonia normativa a fronte di fatti di minima offensivita' la cui unica differenza e' data dallo stato soggettivo del reo. Sul punto la difesa ha ritenuto di svolgere istanza al fine di valutare il promovimento di un incidente di costituzionalita' volto a sanare tale discrasia. Il Tribunale, valutate le osservazioni svolte dal legale, osserva quanto segue. 1) Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, lettera m), legge 28 aprile 2014, n. 67 (Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie) per contrasto con gli articoli 3, 25.2 e 27.3 della Costituzione nella parte in cui e' scritto «e la non abitualita' del comportamento» e, per effetto derivato, dell'art. 131-bis del codice penale, comma 1, con riferimento alle parole «e il comportamento risulta abituale», e comma 3 (nella sua interezza). Violazione dell'art. 3 Cost. Con l'approvazione della legge n. 67/2014, il Parlamento della Repubblica ha conferito delega al Governo, tra le altre, di «lettera m) escludere la punibilita' di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuita' dell'offesa e la non abitualita' del comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale». Dall'esame testuale della norma delegante emerge come il legislatore, fermi restando altri requisiti che allo stato non vengono in rilievo, abbia inteso costruire l'istituto di nuovo conio attorno ad un duplice, paritetico presupposto: l'oggettiva modestia del danno inflitto e la non abitualita' del comportamento dell'autore del reato. Secondo la difesa dell'imputata l'introduzione di una clausola di non punibilita' di natura valoriale ontologicamente ancorata al mediocre valore del danno da reato, non puo' subire limitazioni applicative di natura squisitamente autoriale. Come emerso chiaramente dalla lettura della norma, il legislatore non ha inteso esprimere disegni abrogativi o depenalizzanti, ne', per altro verso, adottare un istituto volto ad apprezzare la lieve offesa patrimoniale in termini obiettivi e lineari. Trattasi di un circostanza di non punibilita', che esclude l'applicabilita' della pena, ma non impedisce l'esistenza del reato e non esclude l'antigiuridicita' penale del fatto. E tuttavia, la riconduzione del modello normativo alle forme di una clausola di esclusione di punibilita', non appare compatibile con la coeva presenza di profili soggettivi premiali, in grado di aprire ad un sindacato di meritevolezza subiettiva, di per se' stesso disparitario. Il legislatore non si e' limitato a devolvere al Giudice una valutazione sulla reale incidenza del danno inflitto, cosi' consentendo l'affermarsi di un giudizio tendenzialmente destinato ad uniformarsi, nel diritto vivente, in favore dell'applicazione della norma in termini obiettivi ed eguali nei confronti di tutti i consociati, ma ha introdotto un elemento immateriale, da profilarsi di volta in volta, di valenza paritetica al requisito patrimoniale, idoneo ad ingenerare disparita' applicative che non trovano adeguata copertura nella ragionevolezza. E' agevole osservare come, esemplificando, la sottrazione di un qualsiasi bene vile (a prescindere qui ed ora da eventuali circostanze aggravanti) trovi sensibilita' punitiva diversa a seconda del tipo di autore, si' che, a parita' di particolare tenuita' del danno inflitto in esito ad eguale condotta, egualmente circostanziata (o non circostanziata), l'ordinamento rinuncia a punire solo l'autore ritenuto meritevole, in base a giudizio del tutto sganciato dall'esame del fatto, inteso in senso giuridico quale sequenza di condotta-nesso-evento. E l'esempio formulato non sembra sfuggire al modulo concorsuale, ben potendosi dare l'impunita' di uno solo tra altri correi, sulla sola scorta di una qualifica soggettiva che, persino a parita' di contributo causale, finisce con il porlo in una condizione di irragionevole privilegio. Il modello stesso di causa di esclusione della pena, inteso quale situazione esterna al fatto umano e che non esclude il reato, ma in presenza della quale il legislatore ritiene non si debba applicare la sanzione penale per ragioni di mera opportunita', non puo' presentarsi nella geometria variabile (e quindi discriminante) secondo la quale e' stato costruito l'istituto di nuova concezione. E' nota la ricorrenza nell'ordinamento penale di' cause di esclusione della punibilita' di rango essenzialmente soggettivo (si pensi all'art. 384.1 del codice penale, ovvero 649.1 del codice penale) e tuttavia la disparita' di trattamento trova ragionevole giustificazione nella sussistenza del vincolo familiare che segna i rapporti tra autore del fatto e destinatario dei suoi effetti dannosi (Corte costituzionale sentenza n. 223/2015), e dunque alla luce di un ben individuato contemperamento di interessi, costituzionalmente apprezzabile. Anche in tali casi, tuttavia, la punibilita' e' comunque esclusa in favore di chiunque si trovi in una condizione di qualificata ed oggettiva vicinanza alla persona offesa: a dire, in sintesi, che la clausola di impunita' si muove su un terreno comunque oggettivo, predefinito, e d'interesse per chiunque si trovi nella richiesta condizione. Di contro, all'art. 1, lettera m) della legge delega, la compresenza di un requisito di natura oggettiva (insensibile per definizione al soggetto agente) ed uno di natura soggettiva (genericamente individuato nell'assenza di un comportamento abituale) propone un modello di clausola abdicativa della punibilita' che non scorre attorno ad un perno rigido e predefinito, applicabile alla totalita' dei cittadini, ma solo ad una parte di essi, nei confronti dei quali lo Stato dimostra disinteresse repressivo. La partizione mista dei requisiti di operativita' del nuovo istituto ha l'effetto di porlo in rotta di collisione con il canone di eguaglianza, laddove alla generica e neutra valutazione patrimoniale viene affiancata una specifica e ben marcata analisi soggettiva, incoerente con l'altra condizione, irragionevole nella diversita' di trattamento che ingenera, ingiustificata con riferimento allo stesso scopo perseguito dalla riforma. In altri termini, detto della insindacabile discrezionalita' del legislatore nel modulare un criterio moderatore della punibilita' ancorato alla qualita' concreta dell'offesa arrecata, cio' che non puo' ammettersi costituzionalmente e' la coessenzialita' di un requisito autoriale, poiche' l'esclusione di taluni soggetti dal novero dei destinatari della norma ripropone un sistema imperniato sul tipo d'autore. Converra' richiamare sul punto quanto recentemente ribadito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 251/2012, resa in merito all'illegittimita' del divieto di bilanciamento tra (la oggi abrogata circostanza di cui all')art. 73.5, decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990 e art. 99.4 del codice penale. «Le rilevanti differenze quantitative delle comminatorie edittali del primo e del quinto comma dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 rispecchiano, d'altra parte, le diverse caratteristiche oggettive delle due fattispecie, sul piano dell'offensivita' e alla luce delle stesse valutazioni del legislatore: il...

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