n. 102 SENTENZA 8 marzo - 12 maggio 2016 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale e degli artt. 187-bis, comma 1, e 187-ter, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), promossi dalla Corte di cassazione con ordinanze del 15 e del 21 gennaio 2015, iscritte ai nn. 38 e 52 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12 e 15, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visti gli atti di costituzione della parte privata C.C.R., della Commissione nazionale per le societa' e la borsa - CONSOB, della Garlsson srl in liquidazione (gia' Garlsson Real Estate sa in liquidazione) ed altri, fuori termine, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

uditi nell'udienza pubblica dell'8 marzo 2016 i Giudici relatori Giorgio Lattanzi e Marta Cartabia;

uditi gli avvocati Francesco Arnaud per la Garlsson srl in liquidazione (gia' Garlsson Real Estate sa in liquidazione) ed altri, Riccardo Olivo per la parte privata C.C.R., Salvatore Providenti per la Commissione nazionale per le societa' e la borsa - CONSOB e gli avvocati dello Stato Mario Antonio Scino e Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 15 gennaio 2015 (reg. ord. n. 38 del 2015), notificata il successivo 21 gennaio, la quinta sezione penale della Corte di cassazione ha sollevato, in via principale, questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98 (d'ora innanzi «Protocollo n. 7 alla CEDU»), dell'art. 187-bis, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui prevede «Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato» anziche' «Salvo che il fatto costituisca reato». In via subordinata, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, dell'art. 649 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede «l'applicabilita' della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle Liberta' fondamentali e dei relativi Protocolli». 1.1.- Il rimettente ha premesso che l'imputato e' stato condannato per il reato di cui all'art. 184, lettera b), del d.lgs. n. 58 del 1998 - per avere diffuso ad altri, in data antecedente e prossima al 23 gennaio 2006, informazioni privilegiate di cui era in possesso quale analista finanziario, fuori dal normale esercizio della professione - con sentenza del Tribunale ordinario di Milano del 20 dicembre 2011, confermata dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza del 16 gennaio 2013, oggetto del ricorso per cassazione del quale il giudice a quo e' stato investito. Lo stesso rimettente ha precisato di aderire all'orientamento, avallato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, secondo il quale e' ammissibile la deduzione, per la prima volta dinanzi alla Corte predetta (come avvenuto nella specie), della violazione del divieto del bis in idem. L'imputato ha infatti prodotto sentenza della Corte d'appello di Roma con la quale e' stata rigettata l'opposizione avverso la delibera della Commissione nazionale per le societa' e la borsa («CONSOB») con la quale al medesimo imputato e' stata applicata la sanzione pecuniaria e quella accessoria interdittiva, in relazione all'illecito amministrativo previsto dall'art. 187-bis, comma 1, del citato d.lgs. n. 58 del 1998, contestatogli per i medesimi fatti compresi nell'imputazione penale. Inoltre, essendo il reato commesso nella vigenza dell'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari), neppure risultava decorso il termine di prescrizione. 1.2.- Ad avviso del rimettente, la questione sollevata in via principale assumerebbe rilevanza nel giudizio a quo, perche' il suo eventuale accoglimento farebbe venir meno il presupposto del ne bis in idem, in quanto la CONSOB dovrebbe assumere le necessarie determinazioni per revocare le sanzioni ai sensi dell'art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale): in particolare, il riconoscimento della natura sostanzialmente penale della sanzione irrogata dovrebbe imporre il superamento del giudicato, in base a una interpretazione della disposizione conforme alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Per altro verso, secondo la Corte di cassazione, la disciplina limitativa del cumulo delle sanzioni prevista dall'art. 187-terdecies del d.lgs. n. 58 del 1998, dovrebbe ritenersi operativa anche nella specie, con la conseguenza che il venir meno della base legale della sanzione amministrativa determinerebbe la possibile esazione in toto della multa. 1.3.- Peraltro, secondo il giudice a quo, anche la questione sollevata in via subordinata sarebbe rilevante, posto che, in caso di accoglimento, la Corte di cassazione potrebbe definire il giudizio in base all'applicazione dell'art. 649 cod. proc. pen., quale risultante dall'intervento additivo richiesto. 1.4.- Il rimettente ha poi escluso la praticabilita' di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate. Per quanto concerne l'art. 187-bis, comma 1, del d.lgs. n. 58 del 1998, l'incipit letterale della disposizione e il meccanismo compensativo previsto dal citato art. 187-terdecies, sarebbero compatibili soltanto con la previsione di un concorso delle sanzioni previste per il reato e per l'illecito amministrativo. Allo stesso modo l'art. 649 cod. proc. pen. si pone all'interno di un sistema di strumenti volti a prevenire lo svolgimento di piu' procedimenti per il medesimo fatto - come nel caso della disciplina sui conflitti positivi di competenza, tra diversi giudici, o di attribuzione, tra diversi uffici del pubblico ministero - o di rimedi stabiliti in sede esecutiva, espressivi tutti del medesimo principio del ne bis in idem, che presuppongono la comune riferibilita' dei plurimi procedimenti alla sola autorita' giudiziaria penale. 1.5.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo ha rilevato che la violazione del parametro convenzionale interposto - costituito dall'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU - e, per il suo tramite, dell'art. 117, primo comma, Cost. si ricollegherebbe alla sentenza della Corte di Strasburgo del 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, divenuta irrevocabile il 7 luglio 2014. In tale sentenza si sarebbe rilevata l'incompatibilita' con il divieto convenzionale del bis in idem, del regime del doppio binario sanzionatorio previsto dalla legislazione italiana per gli abusi di mercato, in quanto andrebbe riconosciuta natura sostanzialmente penale alla sanzione amministrativa comminata e l'identita' del fatto, rispetto a quello per il quale sono previste sanzioni penali, andrebbe scrutinata con un accertamento in concreto e non mediante una disamina degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte. Posto che la sentenza della Corte di Strasburgo fa applicazione di criteri consolidati nella sua giurisprudenza e poiche' l'incompatibilita' accertata risulta di natura sistemica (in quanto derivante dalla normativa), la portata della citata decisione andrebbe oltre il caso esaminato, come rilevato in altra occasione dalla Corte costituzionale (sentenza n. 210 del 2013) e la violazione strutturale - determinata dall'applicabilita' cumulativa delle sanzioni previste dagli artt. 184 e 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, che comporta la lesione del parametro interposto e, quindi, della norma costituzionale - troverebbe soluzione proprio attraverso l'accoglimento delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale. 1.5.1.- Il recepimento del parametro interposto non potrebbe essere poi precluso, ad avviso del rimettente, sulla base del principio di stretta legalita' formale sancito in materia penale dell'art. 25 Cost., ne' del principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale di cui all'art. 112 Cost., posto che, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 196 del 2010), le misure di carattere punitivo-afflittivo devono esser soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto. 1.5.2.- Il giudice a quo ha poi osservato che l'assetto sanzionatorio prescelto dal legislatore italiano non potrebbe neppure ritenersi imposto dalla normativa europea e, segnatamente, dall'art. 14, comma 1, della direttiva 28 gennaio 2003, 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, che consente ma non impone sanzioni penali per gli abusi di mercato, come gia' chiarito dalla Corte di giustizia con la sentenza 23 dicembre 2009, in causa C-45/08, Spector Photo Group e Van Raemdonck, e parimenti consente, ma non impone, il cumulo di sanzioni amministrative e penali. Del resto, il vincolo di risultato derivante dalla direttiva e' pur sempre quello di garantire misure efficaci, proporzionate e dissuasive in maniera da non compromettere la tutela dei diritti fondamentali, come...

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