Mutamento del giudice dibattimentale e ne bis in idem istruttorio, alla luce dell'art. 111 Cost.

AutoreEnrico Di Dedda
Pagine374-378

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@1. Introduzione

L'ordinanza che qui si esamina ci dà l'occasione di tornare su una controversia che continua a tenere banco nelle aule di giustizia, nonostante i ripetuti pronunciamenti sia della Corte di legittimità, che di quella costituzionale.

Cosa accade quando, durante l'istruttoria dibattimentale, viene a cambiare la persona fisica di colui che (Giudice di pace, Giudice monocratico, membro del Collegio) aveva partecipato alla precedente fase di formazione della prova? Potranno essere recuperate le prove dichiarative svoltesi dinanzi al diverso Giudice? Ed in caso positivo, in che misura e con quali modalità?

Non è raro infatti imbattersi in Collegi e organi monocratici che tuttora esigono, al momento del rinnovo dell'istruzione dibattimentale, il consenso di tutte le parti processuali per non richiamare in giudizio il teste che ha già deposto, e, in caso contrario, impongono alla parte interessata (o dispongono ex officio) la citazione del dichiarante.

Una volta presentatosi costui a dibattimento, le prassi dei giudici di merito ulteriormente divergono, limitandosi taluni a chiedere la monosillabica conferma del già dichiarato (salvo domande delle parti), effettuando altri una vera e propria reiterazione della deposizione testimoniale, stimando utilizzabile solo quanto il teste riferirà di fronte al decisore finale della causa.

Ma sono queste impostazioni in linea con le tesi giurisprudenziali recepite sinora dalle Corti Supreme? E ancora, le chiavi di lettura adottate da questi organi sono oggi «congrue» dopo la modifica dell'art. 111 Cost. o non meritano, a loro volta, una revisione alla luce dei nuovi principi costituzionali?

@2. I precedenti di legittimità della sentenza delle sezioni unite 15 febbraio 1999

Nel primo decennio dall'entrata in vigore del nuovo Codice di rito, sulla vexata quaestio si venivano a formare tre diversi orientamenti giurisprudenziali.

La tesi più restrittiva esigeva, in caso di mutamento del Giudice, la ripetizione totale dell'istruttoria dibattimentale già svolta, non potendosi derogare al corretto ed integrale svolgimento della medesima, senza incorrere nella sanzione della nullità assoluta, prevista dall'art. 525 c.p.p.

L'eventuale accordo delle parti sulla lettura dei verbali delle prove già raccolte, in questa concezione, finiva con l'essere del tutto irrilevante, dovendosi salvaguardare come intangibili valori primari il principio di immediatezza processuale ed il canone dell'oralità del dibattimento, giusta i parametri-guida forniti dalla Legge-Delega per il varo del nuovo Codice 1.

Un approccio meno restrittivo veniva proposto da quegli arresti che accoglievano la possibilità di un recupero dell'attività pregressa mediante lettura, se vi fosse in tale direzione il consenso delle parti, essendo il nuovo Giudice quello che provvedeva sulle richieste probatorie, legittimamente utilizzabili ai fini della decisione. In caso di mancato accordo, si ammetteva la possibilità che l'esame del teste richiamato si limitasse ad una mera conferma di quanto già esposto, adottando così, per evidenti fini di economia, una sequenza per relationem, ampiamente conosciuta nell'ambito nel nostro rito penale «vivente» 2.

Sul versante opposto, in ossequio al principio della conservazione degli atti e sotto la pressione delle esigenze di snellezza del processo, si situava una nutrita serie di pronunce, sia di merito che di legittimità, le quali affermavano come vi fosse la possibilità di recuperare gli atti già svolti da altro Giudice, dandone lettura a prescindere del consenso delle parti 3.

@3. Le decisioni 17/94 e 99/96 della Corte costituzionale

La tesi da ultimo esposta sembrava ricevere un autorevole avallo dalla Consulta. Interpellata sull'asserita impossibilità di dare lettura di verbali relativi ad un teste esaminato da altro magistrato e nelle more deceduto, il giudice delle leggi aveva evidenziato come:

Non vi è dubbio che il rispetto del principio sancito dal richiamato art. 525, comma 2, c.p.p. (secondo cui «alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento»), imponga che, in caso di mutamento del giudice, si proceda alla integrale rinnovazione del dibattimento.

Ciò premesso, la disciplina relativa alla utilizzabilità dei verbali dei mezzi di prova assunti nella precedente fase dibattimentale dal diverso Giudice non può che essere rinvenuta nell'art. 511 c.p.p.

Detti verbali, invero, fanno già parte del contenuto del fascicolo del dibattimento a disposizione del nuovo Giudice; tale contenuto, infatti, non è cristallizzato in quello indicato nell'art. 431 del Codice, ma è soggetto a notevoli mutazioni, sia nella fase degli atti preliminare al dibattimento, sia, soprattutto, nel corso del dibattimento medesimo, e certamente si arricchisce del verbale delle prove assunte nella pregressa fase dibattimentale, la quale, pur soggetta a rinnovazione per i motivi anzidetti, conserva comunque il carattere di attività legittimamente compiuta (cfr. sent. n. 101 del 1993). Page 375

Ne deriva, pertanto, la integrale applicabilità della disciplina dettata dall'art. 511 del codice in tema di lettura degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento; in particolare, quando trattisi di verbali di dichiarazioni, è prevista che la lettura debba seguire l'esame della persona che le ha rese, a meno che l'esame non abbia luogo (perché, ad esempio, come avviene nel giudizio a quo, tale mezzo di prova è irripetibile); ed inoltre che la richiesta di una parte esclude la facoltà del giudice di ricorrere alla indicazione degli atti in luogo della lettura (commi 2 e 5 del menzionato art. 511)

4.

Ad una più meditata lettura, poteva però cogliersi come la Corte promuovesse un ulteriore chiave interpretativa del problema, spostando il fuoco del discorso dall'esegesi dell'art. 525 c.p.p. all'ambito applicativo dell'art. 511 c.p.p.

Mentre tutte le pronunce di legittimità ruotavano intorno alla necessaria identità fisica tra organo decisore e giudice che aveva raccolto la prova in dibattimento, e ai modi in cui doveva intendersi l'attività istruttoria di quest'ultimo, la Corte eludeva, se vogliamo, questo nodo e rinviava in toto la soluzione del quesito alla disciplina delle letture, assumendo l'irrilevanza dei fattori che potevano aver cagionato la mancata reiterazione dell'esame di chi aveva già deposto 5.

In realtà, se in un primo momento poteva aver spazio l'opinione che la sentenza de quo avesse sposato la tesi giurisprudenziale più legata al principio di conservazione, visto anche l'espressa citazione che la Corte operava di un suo precedente (la sentenza n. 101/93) certamente ancorato ad un'ottica siffatta, già dal successivo arresto si avvertivano i sintomi di uno slittamento verso posizioni più in sintonia con la tutela del principio di immediatezza, con la conseguenza che, nelle fattispecie applicative, la richiesta di una parte di riascoltare il teste già escusso potesse bloccare l'automatica leggibilità ex officio degli atti pregressi.

Nell'ordinanza n. 99/96, respingendo il dubbio di legittimità costituzionale che investiva l'art. 511 c.p.p., laddove il Giudice a quo presupponeva l'esistenza di un obbligo di lettura degli atti pregressi, in caso di mutamento del Giudice, la Consulta segnalava come: «Deve escludersi che la disciplina impugnata - la quale come chiaramente risulta dal tenore letterale della norma, impone al giudice la lettura (ovvero, a certe condizioni, la sola indicazione) dei verbali di dichiarazioni, di regola dopo il nuovo esame della persona che le ha rese (N.d.A. -corsivo nostro), con conseguente utilizzabilità degli atti stessi ai fini della decisione - violi alcuni dei parametri...

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