Proprietà dei muri negli edifici in condominio: vale il principio dell'accessione?

AutoreC. Barbara Pugliese
Pagine294-298

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@1. Il caso

Un condomino, nella persona dell'amministratore pro-tempore, si rivolge al(l'allora) pretore locale chiedendo la manutenzione del possesso, il ripristino dello stato dei luoghi e la ricostruzione della parte di muro perimetrale che era stata demolita e sostituita con porte scorrevoli da uno dei condomini, al fine di mettere in comunicazione il locale, di cui egli era proprietario in via esclusiva nel condominio de quo, con altro locale, sempre di sua proprietà, sito però nell'edificio costruito in adiacenza a quello condominiale.

Il convenuto contesta la domanda asserendo di aver abbattuto, peraltro col permesso del Comune 1, una parete divisoria di due locali contigui di sua proprietà, parete non costituente né muro perimetrale, né muro portante.

Tanto il pretore quanto il tribunale in sede di appello respingono la domanda del condominio, ascrivendo la funzione di muro perimetrale, in quanto tale soggetto a comunione, esclusivamente ai muri che delimitano lo stabile all'esterno, e non a quelli, meramente divisori, che separano internamente il condominio da altro edificio, pure esso condominiale 2.

@2. Sul criterio del collegamento funzionale di cui all'art. 1117 c.c.

  1. Ai sensi dell'art. 1117, n. 1 c.c. sono oggetto di proprietà comune (se il contrario non risulta dal titolo) i muri maestri, e in genere tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune.

    Nel caso oggetto della sentenza in commento, la quaestio iuris è se il muro perimetrale, non avente funzione portante, ed «interno», cioè delimitante un edificio condominiale non rispetto all'esterno, bensì rispetto ad altro edificio costruito in aderenza, sia da considerarsi comune, oppure no, ai sensi dell'art. 1117 c.c.

    Il Supremo Collegio decide in modo parzialmente diverso rispetto all'orientamento precedente, generando un quadro generale in base al quale per i muri aventi funzione di sostegno e per quelli perimetrali esterni, il criterio di attribuzione della proprietà (condominiale ovvero esclusiva) sembra restare, in conformità alla giurisprudenza anteriore di legittimità dalla stessa Corte richiamata, quello del collegamento funzionale; per quanto riguarda invece i muri perimetrali interni, viene prospettato il ricorso ad una diversa disciplina, risultante dal combinato disposto degli artt. 934 e 1117 c.c., che ne sancirebbe il carattere condominiale, in quanto muro costruito su suolo di proprietà comune, cioè in base al diverso principio dell'accessione.

    Procedendo con ordine 3, c'è da rilevare innanzitutto che la problematica della titolarità dei muri perimetrali non aventi struttura portante era stata fino ad ora impostata dalla Suprema Corte nel senso che, per risolverla, occorre stabilire se il muro de quo sia o meno ricondicibile alla nozione di «muro maestro», oggetto nell'art. 1117 c.c. della cd. presunzione di comproprietà.

    Ma il concetto di muro maestro, a sua volta, è stato sempre quanto mai controverso, a causa del sovrapporsi nel tempo di due versioni del medesimo, l'una legata alle vecchie costruzioni in muratura, e l'altra alle moderne costruzioni in cemento armato 4.

    Nelle prime, l'edificio si sorregge su muri, sia interni che esterni, che cumulano in sè le due funzioni, di sostegno e di riempimento; nell'accezione tradizionale, tutti i muri dell'edificio sono pertanto «muri maestri», salvo le pareti meramente «divisorie», destinate cioè soltanto a separare i locali internamente.

    Nelle costruzioni in cemento armato, invece, si verifica una scissione tra le due funzioni 5, in quanto la funzione di sostegno è affidata ad un'intelaiatura portante composta di aste e di travi di materiale di grande resistenza, mentre quella di riempimento dei vuoti è svolta da materiale leggero, come mattoni, vetro-cemento, pannelli di cristallo o altro; accanto alle pareti meramente divisorie, compaiono pertanto altri muri, di mero riempimento.

    Premesso che le costruzioni in cemento armato, caratterizzate dall'impiego delle nuove tecniche edilizie, preesistevano all'attuale codice civile, diventa difficile 6 stabilire se l'intenzione storica del legislatore nel richiamare, nel codice civile del 1942, il concetto di muro maestro, fosse orientata a comprendere i soli muri aventi natura portante, o piuttosto si riferisse a tutti i muri dell'edificio, di sostegno o di riempimento, escluse le pareti meramente divisorie.

    Se incanalato nell'idea che il legislatore abbia voluto indicare con l'espressione in esame un dato della realtà di fatto ben determinato, e non enunciare una formula vuota, atta a ricevere contenuto esclusivamente dalla valutazione giurisprudenziale di ciò che possa essere considerato di volta in volta «muro maestro», il dilemma pare avere due vie d'uscita alternative.

  2. La prima trae argomento dal fatto che i «muri maestri» delle vecchie costruzioni in muratura presentavano, come caratteristica peculiare e comune, la funzione di sostegno dell'edificio.

    Il legislatore avrebbe considerato pertanto «maestro» soltanto il muro che tale è secondo l'accezione prima e tradizionale, cioè quello avente funzione portante.

    L'utilità comune di un tale bene è in re ipsa perché senza di esso l'edificio non potrebbe sorreggersi. Il muro maestro, appunto, è sempre e per definizione, comune ex art. 1117 c.c.

    Il che non significa che muri diversi da quelli maestri non possano giammai essere considerati condominiali, ma che essi lo saranno solo nella misura in cui superino la verifica, ad opera del giudice, di necessità in relazione all'uso comune, ex art. 1117 c.c.

    In altri termini, il richiamo espresso, in tale ultima norma, al «muro maestro» prima, e alle altre «parti dell'edificio necessarie all'uso comune», poi, si spiegherebbe, circa i muri, in quanto mentre per il primo, una volta accertato dal giudice che esso è tale in quanto dotato di funzione portante, non è necessaria alcuna Page 295 verifica ulteriore di utilità comune in concreto, essendo la sua utilità comune già stabilita dal legislatore in astratto; per tutti gli altri muri, quindi anche per quelli perimetrali non di sostegno, questa verifica deve essere necessariamente eseguita dal giudice nel caso concreto.

    È chiaro però che una tale verifica, nel nostro ordinamento giuridico, è confacente alle attribuzioni del giudice di merito, e non di quello di legittimità: dal che dovrebbe discendere che se il primo ritiene che il muro nella fattispecie concreta non sia necessario all'uso comune e quindi non possa considerarsi condominiale, difficilmente il giudice di legittimità potrà, sia pur appigliandosi formalmente a vizi della sentenza, sostituire un simile giudizio, affermando che invece sussiste per quel dato numero, in quelle circostanze, un'utilità comune.

  3. Tale ultima conclusione può forse aiutare a conprendere perché il Supremo Collegio abbia sempre preferito una seconda soluzione, rispetto al «dilemma» da cui si è partiti, prospettando la seguente argomentazione.

    Il legislatore aveva già presenti, all'epoca della redazione del c.c. 1942, le nuove tecniche edilizie volte a realizzare le costruzioni in cemento armato: pertanto con l'espressione «muro maestro» ha inteso alludere sia al muro avente funzione portante, che a quello avente funzione di mero riempimento.

    Sarebbe stato cioè il legislatore stesso a tener presente la possibilità, nelle moderne costruzioni, di una scissione e una ripartizione, tra muri diversi, delle due funzioni (portate e di riempimento), e ad averle considerate in astratto entrambe rispondenti ad un'utilità comune; la Corte di Cassazione si sarebbe soltanto resa interprete di una tale volontà legislativa, racchiusa nella espressione «muro maestro».

    In tal modo si poneva, però, il problema di spiegare come mai, ipotizzando la razionalità del legislatore, anche il muro avente funzione di mero riempimento fosse stato da esso considerato, in base a valutazione astratta, dotato di utilità comune.

    Se infatti dare tale spiegazione è agevole per il muro portante, perché senza di esso l'edificio non potrebbe sorreggersi, essa non appare altrettanto autoevidente per il muro perimetrale di mero riempimento, specie quando, come nel caso in esame, esso nemmeno delimita l'edificio verso l'esterno, ma soltanto da altro edificio costruito in aderenza.

    La Corte di Cassazione fu costretta allora ad individuare, supporre, nella voluntas legis, altri fattori a sostegno di un'utilità comune valutata a priori.

    Un esempio di tale tecnica interpretativa si ha in una sentenza ormai risalente, nella quale si legge che, essendo la costruzione in cemento armato già in uso ancor prima del 1934, epoca della redazione del R.D. n. 56 in materia condominiale, l'espressione «muro maestro» non sta solo ad indicare la sua qualifica di «portante», ma raggruppa in sè il concetto di «muro perimetrale», di «muro di confine», di «muro di sostegno», cioè in essa si riscontrano tutte quelle caratteristiche senza le quali l'edificio sarebbe uno scheletro vuoto e privo di funzionalità pratica 7.

    Altre sentenze impiegano formule analoghe 8, e risultano espressione del tentativo della Suprema Corte di elaborare categorie generali, valutando per ciascuna di esse l'applicabilità in astratto del criterio del collegamento funzionale.

    Tuttavia la fragilità insita in una simile impostazione, è confermata da una successiva sentenza, con cui la Suprema Corte stabilisce che «i muri che non esercitano alcuna funzione statica, ma sono soltanto divisori di contigui fabbricati, hanno una utilità limitata a determinate parti dell'edificio ed interessano, in sostanza, solo i titolari delle proprietà che delimitano. In conseguenza possono bensì dare eventualmente luogo ad uno stato di comunione parziale tra i proprietari degli appartamenti limitrofi, che vengono a trovarsi da essi divisi, ma non possono essere considerati oggetto di proprietà comune di tutti i proprietari delle diverse porzioni dell'edificio» 9.

    La Cassazione ribalta così il precedente orientamento, intendendo dire che...

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