Il minore vittima di abusi. l’ascolto del minore nella fase delle indagini preliminari e nel processo

AutoreVincenzo Fiorillo
CaricaSostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Monza.
Pagine683-689

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@1. Premessa.

Il tema degli abusi sessuali in danno di minori, con particolare riferimento all’«ascolto del minore» è un tema all’evidenza estremamente complesso e delicato, che richiede all’operatore del diritto di essere, sì, giurista, ma anche psicologo.

Non è infatti possibile occuparsi degli abusi sessuali sui minori, e meno che mai dell’«ascolto del minore nella fase delle indagini preliminari e nel processo», prescindendo da alcune nozioni di base di psicologia dell’infanzia che, inevitabilmente, hanno influenzato le stesse scelte legislative, ed incidono significativamente sull’approccio al problema da parte del magistrato o dell’avvocato.

@2. Gli atti sessuali in danno di minorenni. Brevi cenni normativi

Per «atti sessuali» si intendono «tutti quegli atti che esprimono l’impulso sessuale dell’agente e che comportano una invasione della sfera sessuale del soggetto passivo, inclusi, pertanto, i toccamenti, i palpeggiamenti e gli sfregamenti sulle parti intime della vittima, tali da suscitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e per un tempo di breve durata» 1.

L’attuale disciplina dei c.d. reati sessuali trova la sua collocazione, principalmente, nelle norme di cui agli artt. 609 bis ss. c.p., introdotti com’è noto con la legge n. 66 del 1996.

Per la sussistenza del reato di violenza sessuale occorre che l’agente costringa la vittima a compiere o subire atti sessuali mediante violenza o minaccia od abuso di autorità, ovvero la induca a compiere o subire atti sessuali abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica o psichica o, infine, traendola in inganno sostituendosi ad altra persona.

Quegli elementi non è necessario ricorrano, tuttavia, allorquando la vittima sia persona minore degli anni 14 2, ovvero sia minore degli anni 16 se «il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza», od ancora si tratti di «minore che ha compiuto gli anni sedici» con il quale compia atti sessuali «l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione» (art. 609 quater c.p.).

L’età della vittima incide anche sulla procedibilità. Ai sensi dell’art. 609 septies c.p. si procede «d’ufficio: 1) se il fatto di cui all’articolo 609 bis è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni diciotto; 2) se il fatto è commesso dall’ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza; (...) 5) se il fatto è commesso nell’ipotesi di cui all’articolo 609 quater, ultimo comma», id est ai danni di persona che non ha compiuto gli anni dieci.

L’art. 609 ter c.p. prevede significativi aggravamenti di pena in ragione dell’età della vittima. Segnatamente, «La pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all’articolo 609 bis sono commessi: 1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici; (...) 5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore». La pena è della reclusione da sette a quattordici anni se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci».

Gli abusi sessuali in danno di minori vengono comunemente suddivisi in due grandi «aree»: gli abusi endofamiliari, e quelli extrafamiliari.

Gli abusi endofamiliari risultano statisticamente molto più frequenti, ed all’interno della categoria l’ipotesi a sua volta più ricorrente è quella padre/figlia 3.

@3. Le indagini preliminari e la testimonianza del minore.

La complessità delle indagini nei procedimenti per reati sessuali in danno di minori deriva, innanzi tutto, dalle difficoltà di carattere probatorio. Ciò in quanto di norma vi è un solo testimone dei fatti, e, per di più, trattasi appunto di un minore 4.

L’ascolto del minore parte lesa rappresenta in dubbiamente il momento centrale della raccolta del materiale probatorio nei reati dei quali ci stiamo occupando.

Ma quando va ascoltato il minore?

Questo è il principale problema che si pone, sempre, al pubblico ministero che riceve la notitia criminis.

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Logica vorrebbe che il minore venisse ascoltato subito dagli inquirenti, onde assumere immediatamente le informazioni necessarie per il prosieguo delle indagini. E tuttavia, occorre contemperare questa esigenza con la necessità che l’ascolto avvenga nel massimo rispetto dei canoni metodologici richiesti, affinché vengano garantiti la genuinità e – dunque – l’attendibilità delle dichiarazioni assunte.

È intuitivo che il minore, per la sua vulnerabilità, per la limitata esperienza delle cose del mondo, per la sua influenzabilità, per le difficoltà di espressione e così via, è un testimone che pone problemi affatto peculiari per chi deve raccoglierne e valutarne la deposizione.

L’intera materia della testimonianza del minore si pone quale obiettivo principe quello della tutela del minore stesso. Il pubblico ministero, gli avvocati, i giudici cercheranno di comprendere, attraverso la acquisizione di eventuali riscontri intrinseci ed estrinseci, se le accuse siano o meno fondate: ma il minore, e più che mai il minore infraquattordicenne, deve comunque ed a monte essere protetto sotto il profil psicologico.

È per questo che «Quando si procede per alcuno dei delitti previsti articoli 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quinquies e 609 octies commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall’articolo 609 quater... l’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’autorità giudiziaria che procede... (art. 609 decies comma 2 c.p.).

La necessità che intervenga l’ammissione da parte della A.G. è anch’essa volta alla tutela dell’escutendo. Così, il giudice potrà non ammettere l’assistenza di un genitore non solo, ovviamente, quando questi sia l’ipotetico abusante, ma anche, ad es., quando – ipotesi purtroppo non rara – uno dei genitori si schieri aprioristicamente ed apertamente a favore del coniuge/convivente indagato. Peraltro trattasi di «assistenza» che deve essere richiesta dall’interessato.

La figura prevista dall’art. 609 decies non va confusa con il «familiare del minore od esperto in psicologia infantile» del quale può avvalersi il giu- dice ex art. 498 comma quarto c.p.p. In questo caso il familiare/esperto è chiamato a svolgere una funzione di ausilio al giudice, e non di assenza psicologica al minore 5.

Si tenga presente che il minore, laddove infraquattordicenne, non risponderà penalmente, sic- come non imputabile, degli eventuali reati di calunnia, falsa testimonianza ecc. commessi. Tant’è che egli non deve essere formalmente ammonito delle relative responsabilità, e non deve leggere la dichiarazione di impegno a dire la verità (art. 497 comma 2 c.p.p.).

@@3.1. L’incidente probatorio

Non v’è dubbio che l’istituto principe cui deve farsi ricorso per l’audizione del minore sia l’incidente probatorio,

attraverso il quale è possibile cristallizzare, nel contraddittorio tra le parti e con piena valenza probatoria, le dichiarazioni della persona offesa, ovvero del testimone, minorenne.

La stessa Carta di Noto, all’art. 7, prevede che «l’incidente probatorio è la sede privilegiata di acquisizione delle dichiarazioni del minore nel corso del procedimento» 6.

Esso tuttavia presenta – nell’ottica dell’investigatore – alcuni problemi di non poco momento.

L’incidente probatorio infatti impone la completa discovery degli atti del procedimento (art. 393 comma 2 bis c.p.p.): il che potrebbe recare, com’è ovvio, pregiudizi alla efficacia delle indagini in corso.

Inoltre, il pubblico ministero deve raccogliere il più ampio spettro di elementi conoscitivi possibile, onde poi condurre una audizione completa ed esaustiva, e ciò in funzione dell’esigenza di ridurre al minor numero possibile – meglio se ad una sola – le audizioni del minore.

Per quest’ultimo, in particolare ove si tratti della vittima dell’abuso, ricordare significa infatti rievocare e rivivere il trauma subito; significa spesso interrompere il difficile processo di recupero del predetto equilibrio psicologico; significa accrescere il fenomeno detto della «vittimizzazione secondaria». Non di rado accade che il minore non sia in condizione, sotto il profilo psicologico, di essere ascoltato nell’immediatezza, rendendosi necessario attendere un momento psicologicamente più propizio.

È mia ferma convinzione che il pubblico mini- stero, come il giudice e l’avvocato, debbano tenere ben presenti e rispettare le esigenze di tutela psicologica del minore, e contemperarle con le pur altrettanto rilevanti esigenze di raccogliere elementi probatori a carico od a favore dell’accusato.

Che l’incidente probatorio debba essere tendenzialmente esauriente e completo discende anche da una esigenza processuale: ai sensi dell’art. 190 bis c.p.p., se il minore di anni 16 ha già reso dichiarazioni di incidente probatorio l’esame in sede dibattimentale ha carattere residuale, in quanto «è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze».

La giurisprudenza della S.C. limita ulteriormente, con riferimento al processo d’appello, la possibilità di escutere nuovamente il minore già sentito in incidente probatorio, in quanto «è necessario che nell’atto di appello...

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