Il pubblico ministero, il suo consulente tecnico di fiducia e l’abuso d’ufficio

AutoreMario De Bellis
Pagine1281-1283

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@1. I termini della questione

– Con la sentenza che si annota, la Cassazione si pronuncia su una particolare vicenda: un pubblico ministero conferiva in serie incarichi di consulenza tecnica per la trascrizione di intercettazioni ad alcuni consulenti tecnici; in particolare firmava in bianco i verbali di conferimento dell’incarico, che gli stessi consulenti procedevano a completare con il nome proprio o di altre persone di loro fiducia.

In tale fattispecie viene ravvisata la commissione sia del reato di falso in atto pubblico sia del reato di abuso d’ufficio (tentato perché di fatto la procedura di pagamento del compenso ai consulenti tecnici era stata bloccata).

Quanto in particolare a quest’ultimo reato, la Cassazione ravvisa la violazione di norma di legge o di regolamento di cui all’art. 323 c.p.1 nella violazione delle norme penali di cui agli artt. 476 e 479 c.p. e l’ingiusto vantaggio patrimoniale nella erogazione ai consulenti di un compenso non spettante.

La norma dell’art. 4 della legge 319 del 1980 stabilisce infatti che, ove il compenso spettante al consulente tecnico sia commisurato a tempo (l’unità di misura è la c.d. vacazione, corrispondente a due ore di lavoro), non si possono liquidare più di quattro vacazioni al giorno (salvo raddoppio dell’onorario per la particolare complessità del lavoro).

Da tale norma, dettata con riferimento alla liquidazione della singola consulenza tecnica, la Cassazione ha dedotto l’ulteriore regola che non si possono conferire contemporaneamente ad uno stesso consulente più incarichi di consulenza tecnica, in misura tale da eccedere (nel caso di specie di gran lunga, essendo state conferite anche dieci consulenze tecniche contemporanee e dunque liquidate anche 80 vacazioni per lo stesso giorno di lavoro) le ore di lavoro di una giornata.

Ne consegue l’ingiustizia del compenso corrispondentemente liquidato al consulente tecnico.

La materia dei rapporti fra pubblico impiego e consulenti tecnici è molto delicata, in quanto si contrappongono un’istanza di trasparenza dell’attività che comporterebbe la distribuzione degli incarichi fra un’ampia rosa di consulenti e secondo criteri di distribuzione a rotazione il più possibile automatici e l’esigenza di affidare l’incarico a persone di fiducia, che diano garanzie di svolger eun buon lavoro e di reggere all’impatto dibattimentale del controesame delle altre parti (il che porterebbe a nominare sempre le stesse persone).

D’altronde non a caso l’art. 67 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. impone solo ai giudici (e non anche ai pubblici ministeri) di nominare periti di regola fra persone iscritte negli albi dei periti, dovendosi specificare espressamente per iscritto le ragioni di una scelta che cada su persone non iscritte nel predetto albo.

@2. La commissione del reato di abuso d’ufficio da parte di magistrati

– Si è affermato in dottrina2 chePage 1282 i magistrati non possono commettere il reato di cui all’art. 323 c.p. in quanto il concetto d’abuso è necessariamente correlato alla natura amministrativa dell’atto. Si sostiene infatti che, mentre in relazione all’atto amministrativo viziato si può ricercare la volontà dell’autore, la sentenza sarebbe espressione della sovranità popolare, e ciò renderebbe impossibile l’individuazione di un movente personale. Altra autorevole dottrina3 ha sostenuto che il giudice può commettere abuso d’ufficio nei casi in cui violi obblighi di astensione. Secondo altri autori4, la difficoltà di ipotizzare abusi d’ufficio commessi da magistrati nasce dalla natura stessa dell’atto giurisdizionale, e la possibilità, riconosciuta dagli stessi autori, che i magistrati commettano abusi d’ufficio passa necessariamente attraverso l’assimilazione dell’atto giurisdizionale all’atto amministrativo discrezionale e non vincolato.

È chiaro che non si deve sottoporre a controllo l’atto giurisdizionale secondo le categorie dei vizi dell’atto amministrativo, e che l’abuso posto in essere dal magistrato si concreta nella violazione di norme procedimentali o di canoni di interpretazione giuridica delle fattispecie oggetto del suo esame.

L’atto giurisdizionale non deve poi essere necessariamente affetto da un vizio di invalidità per potersi ritenere abusivo: si pensi al di una sentenza che – pur priva...

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