Note minime sulla didattica penale nel tempo della Information Technology

AutoreGiuseppe Losappio
Pagine1285-1286
1285
Rivista penale 12/2013
Varie
NOTE MINIME
SULLA DIDATTICA PENALE
NEL TEMPO DELLA
INFORMATION TECHNOLOGY (*)
di Giuseppe Losappio
(*) Intervento svoltosi a Bologna, il 16 maggio 2013, presso l’Associa-
zione italiana dei professori di diritto penale, nell’ambito del Convegno
“Ricerca e didattica nel diritto penale: la questione del metodo oggi”.
Abbiamo molto discusso sul ruolo del “caso” nell’inse-
gnamento del diritto penale, se costruirlo secondo le
esigenze didattiche oppure assumerlo anastaticamente
dalla descrizione del fatto contenuta nelle decisioni più
interessanti; se prediligere vicende semplici oppure com-
plesse; se utilizzare o meno i c.d. hardcase.
Non ho nessun dubbio che la giurisprudenza, nell’epoca
dei «giudici-legislatori», rappresenti un imprescindibile
riferimento multi task/multi level dell’attività didattica in
ambito penale.
- Penso (non esaustivamente):
- all’illustrazione della riserva di legge, al rapporto fra
potere legislativo e giudice, in particolare;
- agli apporti della giurisprudenza “scientif‌ica”, quando
sposa e vivif‌ica le elaborazioni della letteratura penali-
stica o, caso più raro, assume essa stessa il ruolo di fonte
di costruzioni teoriche originali;
- al fondamentale e – direi insostituibile – contributo
del “caso” (hard o meno, anastatico in “purezza” o manipo-
lato, ma anche storico e letterario) (1) alla “spiegazione”
di ogni ambito del diritto e del diritto penale, in partico-
lare, dove il fatto è la pietra angolare di tutti le principali
coordinate assiologiche e i fatti def‌iniscono i (variabili)
punti cardinali che orientano, time after time, l’opinione
pubblica.
È proprio quest’ultima notazione che mi induce a
chiedermi se l’incrocio della realtà del diritto penale con
le dinamiche comunicative del villaggio globale e dell’in-
formation technology non proponga con inedita intensità
un fronte certo non nuovo del fenomeno penalistico che si
pone al di qua della giurisprudenza e della relativa casi-
stica: l’attualità, la cronaca (più o meno) “nera” e i relativi
precipitati nella coscienza individuale e collettiva.
Il nostro probabilmente è il ramo del diritto più “popo-
lare”, nel senso che le “narrazioni” di fatti e (talvolta, per-
sino) di problemi relativi al diritto penale sono onnipre-
senti sui media, dilagano nella società. Il “reato penale”,
secondo la ricorrente, orrenda ma emblematica tautologia
di molta informazione, è l’elemento (l’unico per molti,
moltissimi) che introduce ai temi del diritto penale.
Beninteso, la novità è l’interazione con i nuovi mezzi
di comunicazione, di cui forse sono state antesignane le
copertine della Domenica del Corriere, dedicate ad alcuni
casi di cronaca giudiziaria, dal processo di Viterbo per la
strage di Portella della Ginestra all’omicidio della contes-
sa Ballentani.
Oltre i plastici di Porta a Porta, le (spesso) “pseudo”
inchieste dell’infotainment, gli estenuanti talk show sulla
giustizia, mail, googlegroup, facebook, twitter, linkedin,
con la loro neo-lingua, lo speedy dating, l’immanente
impressione di greve liquidità, in quanto luoghi, certo
non marginali e sussidiari, di “elaborazione” e confronto
dei nostri corsisti, sono anche luoghi della “democrazia
penale” dove un po’ tutti ritengono di avere un’opinione
– tendenzialmente risolutiva – sulla politica criminale
(un po’ come – nelle famigerate chiacchiere da bar – tutti
esprimono giudizi degni di un C.T. della nazionale).
Una certezza. Il professore di diritto penale non ha
dinnanzi a se uditori “vergini”, che nulla sanno e nulla
pensano della sua materia; egli, piuttosto, si confronta
con un pubblico, composto da individui che conoscono
molti fatti penalistici e spesso hanno già elaborato giudizi
di valore, non di rado, assai grezzi e viscerali. Penso che
sia raro uno studente con una posizione sul contratto di
somministrazione; penso che sia raro uno studente senza
un’opinione sul delitto di Cogne, di Sarah Scazzi, di Me-
redith, e – insisto – qualche “idea, più o meno regressiva,
sulla politica criminale”.
In questo contesto, possiamo perpetuare l’egemonia
del binomio spiegazione orale, lettura manualistica che
def‌iniva il perimetro didattico dei nostri maestri? Pos-
siamo pensare di conservare i nostri mezzi didattici nella
perfetta simmetria del nero su bianco della carta stampa-
ta e del bianco sul nero della lavagna? Oppure dobbiamo
considerare l’opportunità/il rischio/la necessità di conta-
minare il nostro insegnamento con l’informatizzazione e
i social media?
Credo che non si possa rinunciare a questa sf‌ida, anche
coltivando un atteggiamento alieno da ogni (consapevole)
sclerosi deterministica, estraneo alla suggestione che

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