Ancora sul tema delle garanzie metodologiche della carta di noto. L'attendibilità della prova testimoniale oltre le apparenze

AutoreAntonio Forza
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@1. Il caso.

La sentenza che si annota, oltre a riaffermare alcuni importanti principi relativi all'istituto della revisione, secondo quanto già delineato dalle Sezioni unite nella ormai famosa decisione Pisano, affronta ancora una volta il tema della testimonianza del minore 1. Essa si distingue per il contributo di novità in tema di ammissibilità della consulenza tecnica sulla valutazione delle modalità di ascolto di un bambino piccolo pretesa vittima di abuso e, soprattutto, per il primo riconoscimento che la Suprema Corte tributa ai criteri metodologici stabiliti dalla Carta di Noto in questa materia 2.

La decisione ha posto definitivamente fine ad una travagliata vicenda giudiziaria, che si era conclusa con la condanna a sei anni di reclusione di un padre per i reati di violenza sessuale aggravata e violenza privata commessi in danno del proprio figlio minore, all'epoca dei fatti di circa due anni e mezzo d'età.

Con provvedimento della Corte d'appello di Milano del 2005 fu accolta la domanda del genitore, condannato in via definitiva, volta ad ottenere la revisione della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 2000.

Il giudice della revisione aveva riferito che la motivazione della sentenza di primo grado aveva indicato quali elementi di prova le dichiarazioni della madre, coniuge separata, la quale aveva menzionato tre episodi significativi del comportamento del padre in danno del figlio piccolissimo.

Uno di questi episodi sarebbe stato contraddittoriamente confermato sia dal nonno che dalla zia del bambino.

Una psicologa dei servizi sociali, intervenuta su richiesta della madre, aveva a sua volta in parte raccolto analoghe dichiarazioni. Di qui l'affermazione della responsabilità. La Corte di Milano, poi, nel giudizio d'appello, aveva finito per confermare la sentenza sulla base delle stesse circostanze, dando particolare rilievo alla testimonianza dell'esperta dei Servizi Sociali, la cui deposizione, relativa agli incontri avuti con il bambino, era stata ampiamente riportata. La sentenza non aveva mancato peraltro di dare atto che, sulla base delle deposizioni dei testi indicati dalla difesa, l'imputato era stato descritto come persona del tutto normale.

Con il ricorso di revisione, la difesa metteva in luce tra l'altro che il bambino, anche perché piccolissimo, non era mai stato direttamente esaminato nel corso del procedimento, sostanzialmente perché era affetto da un improbabile, aggiungiamo noi, disturbo del linguaggio (definito mutacismo elettivo) che lo portava ad esprimersi con relativa adeguatezza soltanto con alcuni individui, escludendone altri 3. A detta della madre e della psicologa si trattava di un bambino che, anche quando parlava, non utilizzava una gamma adeguata di vocaboli (la madre aveva riferito di un racconto di circa dieci parole che, per essere compreso, richiedeva l'osservazione dei movimenti e dei gesti del bambino). Dal che, secondo la difesa, la madre e la psicologa dei servizi avevano dato una interpretazione personale dei fatti, fraintendendo i racconti del bambino.

Era stata sul punto prodotta una consulenza tecnica di una notissima esperta, di valore internazionale, che aveva concluso che i resoconti presentati come racconti del bambino dovevano essere considerati frutto dell'interpretazione unilaterale di vari episodi di vita del bambino, privi di qualsiasi significato di natura sessuale e che non esistevano prove reali di una qualsivoglia responsabilità del condannato.

Insomma, ancora una volta aggiungiamo noi, una storia di dichiarato abuso ove era stata giudicata «una realtà pensata» 4.

Ad illustrare la situazione più in generale, la difesa aveva fatto altresì presente che la madre ebbe a contrarre matrimonio con il prevenuto e che la stessa, da subito, desiderò ossessivamente avere un figlio, riferendo come avesse sofferto molto per non essere rimasta subito incinta e come fosse entusiasta quando scoprì di essere in attesa. Peraltro, appena tre mesi dopo la scoperta della gravidanza, aveva deciso di lasciare il marito e di andare a vivere con i genitori, comportamento da cui era desumibile l'intenzione di disporre del figlio in via esclusiva.

La Corte d'appello di Milano ammise la domanda di revisione e dichiarò assumibili le prove richieste.

Nel giudizio di revisione la Corte d'appello di Brescia diede importanza particolare, nell'ambito delle prove richieste, alle dichiarazioni della consulente della difesa, ricercatrice di fama internazionale, nota in particolare per i suoi studi nell'ambito della psicologia della memoria e della testimonianza, soprattutto con riferimento ai minori.

Tale consulenza dava conto di una metodologia e di una tecnica di valore indiscusso che avevano finito per invalidare le risultanze degli esami condotti dalla psicologa dei servizi sociali e, prima ancora, le dichiarazioni della madre, in riferimento ai racconti del bambino.

La struttura portante della critica, mossa dall'elaborato tecnico, poggiava su tre elementi: il mancato rispetto delle corrette modalità di audizione del minore, asseritamente vittima di abuso, secondo i criteri della c.d. Carta di Noto; il modo di formulare le domande da parte della madre e della psicologa nei confronti del bambino, con inevitabili «sovrainterpretazioni» delle sue dichiarazioni, al punto da vedere connotazioni sessuali in atti che tale significato non potevano avere, proprio per l'età stessa del bambino; l'erroneo utilizzo delle c.d. «bambole anatomiche», tecnica da evitare per le conseguenze incerte ed inaffidabili che possono derivare dal loro impiego.

Avverso la sentenza della Corte bresciana, di revoca della condanna da parte della Corte d'appello di Milano, proponeva ricorso il procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, deducendo inos-Page 602servanza di legge e difetto di motivazione. In particolare...

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