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Arch. nuova proc. pen. 2/2013
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CORTE DI ASSISE PENALE
DI NAPOLI
SEZ. IV, 10 LUGLIO 2012, N. 52
PRES. ZEULI – EST. CIAMPA – IMP. C.R.
Prova penale y Testimoni y Testimonianza indiret-
ta y Dichiarazioni accusatorie de relato dei colla-
boratori di giustizia y Valutazione y Ammissibilità y
Esclusione.
. Sono inutilizzabili, ai sensi dell’art. 195 c.p.p., le di-
chiarazioni accusatorie de relato dei collaboratori di
giustizia per l’estrema genericità dei contenuti e la
frammentarietà delle indicazioni sulle fonti dirette
delle informazioni, cosicché la valenza indiziante delle
stesse non può nemmeno dirsi idonea a superare la
prima soglia di controllo di attendibilità intrinseca,
mancando i requisiti primi per esprimere il giudizio
di colpevolezza. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 192; c.p.p.,
art. 195)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La quarta sezione della Corte di Assiste di Napoli di-
chiarava l’imputato colpevole, quale mandante, dell’omi-
cidio consumato, oltre 35 anni orsono, ai danni di T.D.,
esponente apicale della c.d. vecchia Ndrangheta di Reggio
Calabria, condannandolo alla pena dell’ergastolo.
Riteneva acquisita la colpevolezza alla luce di un com-
pendio probatorio, ritenuto univoco e logicamente con-
vergente, costituito, principalmente, dalle dichiarazioni
di collaboratori di giustizia, alcuni dei quali diventeranno
poi interni alla nascente organizzazione camorristica
N.C.O. facente capo al C. (come P. D’A. soprannominato
il cartonaro e successivamente deceduto), altri, invece,
appartenenti ad organizzazioni camorristiche che si con-
trapporranno alla N.C.O. (come C.A.), altri, inf‌ine, quali
partecipi ad organizzazioni, della c.d. Ndrangheta cala-
brese (come S.G., L.G. e C.G.).
La motivazione della sentenza, nel ricostruire la genesi
di un omicidio commesso all’interno del carcere di Poggio-
reale il lontanissimo 26 agosto dell’anno 1976 nei confronti
di T., numero due della vecchia Ndrangheta calabrese di
Reggio (il vice del capo C.M.), in tal senso, dunque, cor-
rettamente ritenuto strategico e prodromo della prima
guerra interna alla Ndrangheta, inquadra tutta la vicenda
in una fase storica antecedente alla nascita della Nuova
Camorra che, all’epoca, non era ancora stata ideata ed
organizzata da R.C.
Ed invero l’imputato non aveva ancora assunto il rilievo
carismatico criminale che poi acquisirà negli ani succes-
sivi quando, proprio mutuando il modello organizzativo
rigido della Ndrangheta calabrese, costituirà la N.C.O. che
poi darà vita ad un progetto di espansione territoriale che
determinerà una lunga sanguinosa guerra di maf‌ia contro
le altre organizzazioni camorristiche che saranno costrette
a federarsi tra loro nel cartello della c.d. Nuova Famiglia.
C. pur essendo dal punto di vista criminale soggetto
ancora in formazione ed alla ricerca di nuovi spazi, aveva
cominciato a coordinare nel carcere alcuni suoi uomini,
formando una vera e propria piccola banda, attraverso i
quali era solito muoversi nella struttura proteggendosi e
controllando il padiglione. Nel contempo, al f‌ine di acqui-
sire una maggiore visibilità criminale, aveva cominciato
ad avere stabiliti contatti in carcere anche con la crimi-
nalità calabrese e con persone di rispetto come E.M. e
C.C. detto gnuri legati in particolare con D.S.P., all’epoca
solo gregario in Reggio del M. e del T. D.S. In particolare
cominciavano a soffrire questa posizione subalterna e le
regole di gestione degli appalti da parte della c.d. vecchia
Ndrangheta.
All’interno di questo contesto di alleanza criminale tra
C. e parte della Ndrangheta calabrese viene collocata dai
collaboratori di giustizia la presente vicenda delittuosa
chiamando in reità C. con il ruolo di mandante.
Per questo omicidio risultano già condannati, con sen-
tenza def‌initiva del 14 maggio 1981, gli esecutori materiali
E.A. e E.S. L’indicata decisione, pur non avendo individua-
to, in modo certo, la causale dell’omicidio ha, tuttavia,
escluso che i killers agirono per motivi personali correlati
a dolo d’impeto connesso ad una lite insorta con il T.
È stata in particolare confutata la tesi secondo la quale
la vittima avrebbe preteso di avere l’E. come compagno di
cella (al posto di P.B. che era stato trasferito) anche al f‌ine
di avere rapporti sessuali con lo stesso. La motivazione di
quella decisione ebbe, invece, ad optare probatoriamente
per l’ipotesi alternativa di una aggressione preordinata e
premeditata nei confronti del T. mentre si trovava all’inter-
no della sua cella lasciata, colpevolmente, aperta godendo
gli esecutori materiali di complicità non meglio potute
accertare con personale della struttura penitenziaria del
carcere di Poggioreale.
Alla stregua dei raccolti elementi di prova narrativa
l’omicidio di un personaggio molto autorevole della vec-
chia Ndrangheta come era T. che risultava, altresì, anche
prossimo alla scarcerazione essedo cadute alcune delle
accuse a suo carico, agevolava l’azione dei giovani gruppi
rampanti della c.d. Nuova Ndrangheta consentendo una
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diversa ripartizione dei proventi che avrebbero potuto
ricavarsi dalla gestione degli appalti sul territorio.
T. era ritenuto, infatti, soggetto molto pericoloso che
avrebbe potuto, una volta rientrato, far valere il suo peso
criminale ostacolando i propositi delle altre organizzazio-
ni della Ndrangheta del Reggino.
È dunque dato processualmente accertato che T. fu
ucciso dall’E. e dall’E. che lo aggredirono colpendolo con
numerose coltellate.
La vittima, nonostante la sua elevata esperienza crimi-
nale e la notevole abilità nell’uso del coltello, fu colto di
sorpresa e non riuscì a sottrarsi agli aggressori, riuscendo
solo a dare l’allarme.
Sulla scorta degli indicati elementi di prova narrativa
la decisione impugnata, dopo aver qualif‌icato talune delle
fonti probatorie come dirette ed altre come indirette, ed
averne sintetizzato il contenuto narrativo, motiva il giudi-
zio di responsabilità: “per la pluralità e convergenza delle
dichiarazioni accusatorie sulla responsabilità del C.” sen-
za aver proceduto, dapprima, all’analisi del prof‌ilo della
attendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie,
invertendo così il consueto metodo di verif‌ica che ormai
costituisce diritto vivente nell’attuale elaborazione giuri-
sprudenziale.
Avverso la condanna proponevano appello i difensori
del C. chiedendone l’assoluzione per non aver commesso
il fatto censurando per difetto di motivazione la sentenza
gravata, sia con riguardo al segnalato modus procedendi
di valutazione della prova, che con riferimento alle sinteti-
cità ed apoditticità del giudizio interpretativo conclusivo.
Le doglianze vertono, innanzitutto, sulla conclusione
ermeneutica della Corte di prime cure in ordine alla qua-
lif‌icazione delle fonti accusatorie a carico del T., alcune
delle quali si ritengono dirette ed altre indirette, laddove,
si sostiene, essere esse tutte de relato.
L’appellante censura quindi l’omessa valutazione della
credibilità soggettiva dei collaboranti e dell’attendibilità
intrinseca delle dichiarazioni, esame che, ove effettuato,
avrebbe dimostrato l’inconsistenza assoluta a f‌ini accu-
satori dei contenuti narrativi in quanto tali non idonei a
superare la soglia della c.d. aff‌idabilità intrinseca.
In particolare vengono censurate sotto la sanzione
dell’inutilizzabilità del settimo comma dell’art. 195 c.p.p.,
per mancata indicazione della fonte primaria e per la ge-
nericità delle accuse, sia le dichiarazioni de relato di L.G.,
che quelle del C. e dell’A., trattandosi di affermazioni da
fonti indirette generiche ed imprecise con origine diretta
da vox populi.
Si critica, inoltre, la valutazione operata nei confronti
dei collaboratori S. e D’A. in quanto, erroneamente, rite-
nute fonti dirette, laddove esse riferiscono, invece, circo-
stanze apprese pur sempre de relato da confessione stra-
giudiziale del C. i cui contenuti, ove fosse stata operata
la indispensabile duplice verif‌ica d’attendibilità, sia della
fonte diretta, che di quella indiretta, si sarebbero rivelati
intrinsecamente inaff‌idabili.
Si contesta, altresì, la credibilità soggettiva del D’A.,
le cui dichiarazioni furono acquisite ex art. 195 c.p.p.
essendo divenute irripetibili con il suo decesso, essendo
stata la fonte già vagliata negativamente in numerosi altri
procedimenti penali.
Si censura, inf‌ine l’indeterminatezza, incongruenza ed
illogicità del narrato in quanto tale non idoneo a superare
la soglia dell’attendibilità intrinseca.
Quanto allo S. si critica l’inconsistenza della premessa
argomentativa del ragionamento probatorio che f‌inisce
con il sopravvalutare la statura criminale del collaboran-
te, soggetto, al contrario, assolutamente marginale della
Ndrangheta calabrese, nonché la palese ed assoluta inve-
rosimiglianza delle sue affermazioni accusatorie.
Tanto premesso sul devoluto veniva, ritualmente, in-
staurato il rapporto processuale alla presenza dell’impu-
tato che rinunciava, tuttavia, a presenziare all’ulteriore
corso del giudizio. All’esito della relazione, discusso il
processo le parti rassegnavano le conclusioni di cui in
epigrafe e la Corte decideva come da dispositivo di cui il
Presidente dava lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il tema probatorio oggetto del presente gravame verte,
in diritto, sulla valenza probatoria, in punto di giudizio di
responsabilità, che assumono le dichiarazioni accusatorie
de relato dei collaboratori di giustizia.
Ed invero il compendio probatorio a carico dell’impu-
tato è costituito, come correttamente indicato nei motivi
di gravame, esclusivamente da dichiarazioni indirette,
alcune delle quali, da confessione stragiudiziale dell’im-
putato, ovvero da altre fonti indirette aventi conoscenza
dei mandanti e degli esecutori del delitto.
La rilevanza probatoria, ai f‌ini del giudizio di respon-
sabilità delle dichiarazioni indirette dei collaboratori di
giustizia è materia fortemente controversa a livello inter-
pretativo.
Recentemente con ordinanza del 23 maggio 2012
la quinta sezione della Corte di cassazione ha inteso ri-
mettere la questione alla valutazione delle Sezioni Unite
per risolvere il contrasto ermeneutico esistente sul tema
specif‌ico in ossequio alla funzione nomof‌ilattica propria
della Corte.
Il contrasto è stato identif‌icato nei termini che seguo-
no: “se plurime chiamate in reità de relato siano idonee, ex
art. 192 cod. proc. pen., a costituire riscontro alla chiama-
ta in correità, ovvero se, avuto riguardo alla natura della
chiamata in reità de relato (dichiarazione caratterizzata
da credibilità congenitamente carente, aff‌ine a quella del-
la testimonianza indiretta) la ricerca dei riscontri estrin-
seci, obiettivi ed individualizzanti debba, in questo caso,
esser ancor più rigorosa ed in particolare se essa possa
o meno essere considerata riscontrabile attraverso altre
dichiarazioni indirette”.
Va sul punto, preliminarmente, evidenziato che non rien-
trano nella disciplina di cui all’art. 195 c.p.p. le dichiarazio-
ni de relato dei collaboratori che hanno riferito fatti appresi
dall’imputato. Ciò in quanto in tal caso la fonte primaria
non può essere chiamata a rendere dichiarazioni ce possono
pregiudizi la sua posizione fermi restando i criteri di par-

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