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tribunaLe penaLe di aLessandria sez. sorv., decr. 11 novembre 2011

est. vignera – ric. b.

Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) y Trattamento penitenziario y Lavoro y Provvedimento di ammissione al lavoro esterno y Natura amministrativa y Fondamento y Conseguenze.

. Il provvedimento di approvazione dell’ammissione del detenuto al lavoro all’esterno (pronunciato dal magistrato di sorveglianza ex art. 21, comma 4, O.P.) ha natura amministrativa e, pertanto, può essere revocato o annullato in autotutela dallo stesso ufficio, che lo aveva precedentemente emesso. (l. 26 luglio 1975, n. 354, art. 21; d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230, art. 48) (1)

(1) Sulla natura amministrativa del provvedimento di ammissione al lavoro esterno, e conseguente inammissibilità dell’impugnazione tramite ricorso per cassazione, si veda, in aggiunta al precedente citato in parte motiva, Cass. pen., sez. I, 4 luglio 1995, Nistri, in questa Rivista 1996, 143.

in diritto

Premesso che:
il 19 settembre 2011 questo Ufficio approvava ex art. 21, comma 4, O.P. l’atto di ammissione al lavoro all’esterno emesso dalla Direzione della Casa di Reclusione di Alessandria nei confronti di B. F.;

- per problemi connessi agli orari e/o al luogo di lavoro, peraltro, a tale approvazione non conseguiva la concreta esecuzione dell’attività lavorativa “ammessa ed approvata” (come comunicato dalla Casa di Reclusione di Alessandria);

- il 2 novembre 2011, risolti codesti problemi, la Dire-zione della Casa di Reclusione di Alessandria emanava un “nuovo” atto di ammissione di B. F. al lavoro all’esterno, richiedendone nuovamente l’approvazione ex art. 21, comma 4, O.P.;

- il 7 novembre 2011 questo Ufficio negava l’approvazione, atteso che la lettura della relazione di sintesi evidenziava:
a) la mancanza di revisione critica da parte del soggetto rispetto ai gravi reati di cui al titolo esecutivo (spaccio

di stupefacenti, concorso in sequestro di persona e lesioni volontarie gravissime);
b) la brevità della pena espiata rapportata a quella ancora da espiare (essendo la pena stessa iniziata nell’aprile 2010 ed essendone prevista la fine per il settembre 2013);
c) la totale assenza di attività trattamentali “interne”, di cui quella ex art. 21 O.P. dovrebbe rappresentare l’evoluzione;

- “in tema di ordinamento penitenziario, il provvedimento di ammissione al lavoro all’esterno ha natura amministrativa. Identica natura hanno gli atti che, nel corso del procedimento finalizzato a tale provvedimento, la legge riserva all’autorità giudiziaria” (così Cass. pen., sez. I, 23 giugno 1993, n. 2985, Falcetta, in Cass. Pen., 1995, 177, la quale ha aggiunto che la natura amministrativa dell’atto “esclude, l’esperibilità di mezzi di impugnazione previsti dal c.p.p., che non prevede al riguardo rimedi di sorta, nè è ipotizzabile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., non potendosi la materia, riservata all’autorità carceraria, farsi rientrare in quella relativa alla libertà personale”);

- nel nostro ordinamento vige il principio, per cui alla P.A. va riconosciuto il potere di rimuovere i suoi atti attraverso gli strumenti della revoca o del ritiro in presenza di adeguate ragioni di pubblico interesse o di vizi di merito: potere che trova legittimazione e conferma, in particolare, nel più generale principio dell’autotutela della pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo;

- quale atto amministrativo, pertanto, pure il provvedimento di approvazione pronunciato dal magistrato di sorveglianza ex art. 21, comma 4, O.P. può essere revocato o annullato in autotutela dallo stesso ufficio, che lo aveva precedentemente emesso: specialmente e a fortiori quando (come nella presente fattispecie) al provvedimento di approvazione non è concretamente seguita l’esecuzione dell’atto approvato;

P.Q.M.
dichiara che il proprio provvedimento emesso in data 7 novembre 2011 costituisce pure revoca e/o annullamento in autotutela del provvedimento di approvazione emesso da questo Ufficio il 19 settembre 2011.

Arch. nuova proc. pen. 2/2012

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giur

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tribunaLe penaLe di taranto

uff. gip, ord. 21 ottobre 2011

est. rosati – ric. p.m. in proc. misseri

Indagini preliminari y Arresto in flagranza e fermo y Convalida y Termini y Necessità della convalida entro le 48 ore y Condizioni y Individuazione.

misure cautelari personali y Esigenze cautelari y Pericolo di fuga y Legato alla evidenza mediatica acquisita dall’indagata y Sussistenza.

. In tema di convalida dell’arresto o del fermo, il termine di 48 ore, previsto dall’art. 391, comma 7, c.p.p., a pena di inefficacia del fermo, è rispettato pur quando l’ordinanza di convalida intervenga successivamente ad esso, sempre che, tuttavia, l’udienza abbia avuto inizio prima di tale termine ed il provvedimento sia stato reso all’esito della stessa, senza soluzione di continuità. Inoltre, è sufficiente che, entro codesto termine, inter-venga la decisione del giudice, ovvero il dispositivo; la motivazione, invece, secondo la regola generale prevista dall’art. 128, c.p., può essere depositata anche successivamente, entro il termine ordinatorio di cinque giorni, senza, tuttavia, alcuna perdita di efficacia della misura precautelare. (c.p.p., art. 128; c.p.p., art. 391)

. In tema di custodia cautelare in carcere, ai fini dell’art. 274 comma 1 lett. b) c.p.p., la notevole evidenza mediatica acquisita dall’indagata e le sue possibilità di contatti, anche attraverso i più diversi dispositivi di comunicazione a distanza, con una moltitudine non calcolabile di persone, sono sufficienti a integrare il concreto pericolo di fuga della persona che è destinataria della misura cautelare. (c.p.p., art. 274)

svoLgimento deL processo e motivi deLLa decisione
1. In rito. - Come espressamente anticipato all’esito dell’udienza di convalida del fermo, all’atto dell’adozione del provvedimento di convalida (vds. relativo verbale in forma sintetica, in atti), la presente ordinanza integra la motivazione anche di quel distinto provvedimento.

È superfluo rilevare, infatti, che - per giurisprudenza assolutamente consolidata - il termine di 48 ore, previsto dall’art. 391, co. 7, c.p.p., a pena di inefficacia del fermo, è rispettato pur quando l’ordinanza di convalida intervenga successivamente ad esso, sempre che, tuttavia, l’udienza abbia avuto inizio prima di tale termine ed il provvedimento sia stato reso all’esito della stessa, senza soluzione di continuità: così come, appunto, è avvenuto nella specie.

Inoltre, è sufficiente che, entro codesto termine, intervenga la decisione del giudice, ovvero il dispositivo; la motivazione, invece, secondo la regola generale prevista dall’art. 128, c.p., può essere depositata anche successivamente, entro il termine ordinatorio di cinque giorni, senza, tuttavia, alcuna perdita di efficacia del fermo.

In tal senso, nell’assenza di specifica produzione giurisprudenziale sul punto (quanto meno tra quella immediatamente reperibile nelle più diffuse banche dati giuridiche, alle quali può essere limitata la consultazione

nel caso specifico, considerando i ristrettissimi a tempi disposizione per la decisione), può essere di conforto quella - oramai ineccepita - formatasi negli anni sul disposto dell’art. 309, co. 10, c.p.p., in materia di deposito dell’ordinanza decisoria del tribunale del riesame, stante l’assoluta analogia delle situazioni: è indiscusso, cioè, che, nel termine previsto da detta norma, diverso per entità da quello della convalida ma egualmente perentorio, il tribunale adotti la decisione, ossia pubblichi il dispositivo, riservando poi il deposito in cancelleria della motivazione.

Tanto premesso, nel caso specifico, la complessità della vicenda e l’ampiezza del compendio istruttorio hanno reso impossibile la stesura contestuale della motivazione del provvedimento di convalida: di qui la necessità di ricorrere alla presente ordinanza cautelare, al fine di integrare quella precedente, distinta ed autonoma decisione, tuttavia fondantesi, almeno in parte, su presupposti di legge comuni (gravi indizi di responsabilità per un delitto, pericolo di fuga dell’indagato).
2. Il fatto. - Sarah S., una ragazzina di quindici anni di Avetrana, in provincia di Taranto, è scomparsa da casa nelle primissime ore del pomeriggio dello scorso 26 agosto, sicuramente dopo le 14.00.

Il suo cadavere è stato rinvenuto nella notte tra il 6 ed il 7 ottobre scorsi, nelle campagne del paese, all’interno di un pozzo-cisterna pieno d’acqua.

A guidare gli inquirenti sul luogo è stato suo zio, Michele Misseri, che, al termine di un lungo interrogatorio, ha confessato di aver commesso l’omicidio nonchè di aver abusato sessualmente del cadavere.

Lo stesso Misseri, peraltro, già nelle prime ore del mattino del 29 settembre precedente, aveva consentito agli investigatori di ritrovare il telefono portatile della nipote, privo di batteria e parzialmente bruciato, simulandone il rinvenimento casuale, da parte sua, all’interno di un ter-reno dove stava svolgendo lavori agricoli.

E sempre Misseri, questa volta dopo essere stato già attinto dalla misura cautelare, ha permesso il rinvenimento della batteria di quel telefono nonché, nel luogo da lui indicato come quello in cui aveva bruciato gli abiti della nipote, di alcuni residui metallici, tra cui, in particolare, due magneti per auricolari, probabilmente appartenenti alle cc.dd. cuffiette, da cui - per allegazione comune di molti dei suoi conoscenti escussi durante le indagini - la giovane vittima non si separava mai (vds., più ampiamente, annotazione di servizio CC. - Com. prov.le TA del 15/10 u.s., in atti).
3. Il racconto di Michele Misseri. - Rendendo dapprima informazioni al P.M., ex art. 350, c.p.p., e quindi interrogatorio al giudice, all’udienza di convalida del suo fermo, tenutasi lo scorso 8 ottobre, Misseri ha...

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