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CORTE DI APPELLO PENALE DI NAPOLI SEZ. II, 28 OTTOBRE 2010, N. 6024

Pres. Iugola – est. Giannelli – imp. Parigiano ed altro

Usura y Elemento oggettivo y Stato di bisogno y Nozione y Individuazione.

Appello penale y Cognizione del giudice di appello y Reformatio in peius y Divieto y Applicazione d’ufficio da parte del giudice di appello di pene accessorie y Ammissibilità y Ragioni.

Usura y Elemento oggettivo y Stato di bisogno y Esclusione dell’aggravante y Effetti nei confronti del coimputato y Individuazione.

Perché si configuri la circostanza aggravante di cui all’art. 644, quinto comma, n. 3, c.p., occorre che lo stato di bisogno non si sostanzi in semplici intenti di espansione del volume di affari di un imprenditore, o, comunque, in sensazioni di disagio economico non afferenti a necessità socialmente ritenute primarie; occorre che la vittima versi in una situazione tale da dover porre la necessità di rivolgersi all’usuraio come l’unica, o una delle poche, alternative di vita. (c.p., art. 644) (1)

Ferma la possibilità di applicare, in appello, d’ufficio, pene accessorie senza infrangere il divieto di reformatio in peius, qualora l’applicazione stessa sia vincolata all’an, si deve applicare la pena accessoria nel minimo, se il legislatore abbia inteso fondare una tale sanzione come discrezionale nel quantum, come per il caso dell’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione a seguito di condanna per il delitto di usura. (c.p.p., art. 597; c.p., art. 20) (2)

L’esclusione della circostanza aggravante di cui al n. 3 del comma quinto dell’articolo 644 c.p. giova anche al coimputato nel cui gravame non sia devoluta la specifica questione - argomentando, a fortiori, dal testo dell’articolo 587 c.p.p. - qualora si versi, quanto alle vittime, nell’identica situazione di fatto. (c.p.p., art. 587; c.p., art. 644) (3)

(1) È conforme alla massima in epigrafe, da ultimo, Trib. pen. Bologna, sez. II, 13 ottobre 2008, n. 168, in Guida al diritto 2009, 1, 98. Contra la citata Cass. pen., sez. II, 8 novembre 2005, Lubreglia, pubblicata per esteso in questa Rivista 2006, 694 e Cass. pen., sez. II, 29 aprile 1998, Gonzaga, ivi 1998, 831. Si veda anche Cass. pen., sez. II, 4 dicembre 2008, Del Vecchio, ivi 2009, 1341, per la quale lo stato di bisogno consiste in una situazione che elimina o comunque limita la volontà del soggetto passivo e lo induce a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da viziare il consenso.

(2) La massima è in linea con l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della suprema Corte. Si vedano. Cass. pen., sez. V, 17 febbraio 2010, N., in Guida al diritto 2010, 20, 92; Cass. pen., sez. V, 22 febbraio 2008, Ciocci, in questa Rivista 2009, 107 e Cass. pen., sez. un., 17 luglio 1998, P.G. in proc. Ishaka, in Arch. nuova proc. pen. 1998, 561.

(3) Nulla in termini.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Sussiste la penale responsabilità di Rossone Franco Domenico in ordine al delitto di usura come allo stesso contestato, ma, come si vedrà in prosieguo di motivazione, con esclusione dell’aggravante di cui all’articolo 644, quinto comma, n. 3, c.p. (il Parigiano appella solo quanto al trattamento sanzionatorio, avendo ammesso gli addebiti).

Ceniccola Amedeo denuncia ai Carabinieri della stazione di Cerreto Sannita che, non riuscendo più a sostenere il costo degli interessi impostigli dal Parigiano, quest’ultimo gli aveva proposto di addivenire al pagamento della sorte capitale; riuscendo ciò impossibile al denunciante, lo stesso era stato indirizzato a tal Ferretti Sergio ed al Rossone.

Quest’ultimo gli aveva imprestato la somma di euro 8.000.00, in cambio di un assegno di euro 8.500,00, più interessi mensili pari ad euro 500,00; aveva, in tal modo, il Ceniccola, potuto corrispondere la somma di euro 14.000,00 al Parigiano, ricevendone in restituzione gli assegni dati a quest’ultimo in garanzia, ma rimanendo debitore del Ferretti e del Rossone.

Non riuscendo più, il Ceniccola, a versare gli interessi mensili pattuiti, anche il Rossone aveva preteso l’estinzione della sorta capitale, cosicché l’«infernale girandola» - il Ceniccola si era dovuto nuovamente rivolgere al Parigiano per altro prestito - manovrata dal Parigiano e dal Rossone rischiava di proseguire ad infinitum sino alla rovina integrale della vittima.

Le dichiarazioni del Ceniccola ben sono state ritenute pienamente attendibili dal giudice di prime cure, sia per il loro carattere preciso e circostanziato, sia per la difficile immaginabilità del narrato, se non corrispondente al vero, sia, e specialmente, perché corroborato dalla stretta analogia del modus operandi inerente ad altre vittime.

Infatti, anche Di Santo Pasqualina, rivoltasi al Rossone in più occasioni per mutui (altamente) feneratizi, aveva ricevuto in prestito dall’imputato de quo la somma di 10.000.00 euro, impegnandosi a versare la somma di euro 1.800,00 mensili, fino alla concorrenza di euro 12.000,00, che il Rossone aveva riferito alla persona di tal Limata Tonino; dopo il pagamento di due o tre mensilità, il Rossone aveva comunicato alla denunciante che, quanto ai mesi

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successivi, avrebbe dovuto corrispondere le mensilità pattuite al Parigiano, adempimento effettuato dalla Di Santo sino al mese di novembre del 2007.

Frascadore Giovanni, avendo già intrattenuto rapporti di mutuo - sempre caratterizzati dal tasso elevato di interessi - con Biondillo Antonio, per il tramite di tale Iannotti Laura, si era, anch’ella, rivolta al Rossone, ricevendone in prestito la somma di euro 4.500,00, somma già inclusiva della decurtazione di euro 500,00 sul richiesto mutuo di euro 5.000,00; per ogni somma di 1.000,00 euro prestati, il Frascadore avrebbe dovuto corrispondere mensilmente la somma di euro 100,00 a titolo di interessi; il debito con il Rossone era stato estinto dal Frascadore dopo otto mesi, “passando” al creditore Del Vecchio Antonio, dal quale aveva ricevuto in prestito la somma di euro 4.000,00, a fronte della consegna di un assegno per euro 5.000,00 e la promessa di interessi mensili pari ad euro 100,00. Anche Melillo Carlo denunciò ai militari di aver intrattenuto rapporti di mutuo usuraio con il Rossone; la successiva ritrattazione giustamente viene considerata irrilevante dal primo giudice in base all’identità dei tassi di interessi pretesi dal Rossone, come denunciati dal Melillo, rispetto a quelli richiesti alle altre parti lese.

Le dichiarazioni accusatorie, pertanto, convergono “una via” all’usura praticata dal Rossone; sono identiche in quanto descritto, nei minimi particolari: l’imputato dovrebbe, a questo punto, provare la congiura di persone assetate di vendetta, fatto così eccezionale da invertire, legittimamente, l’onere della prova, ponendolo - in parte qua - a carico dell’imputato, e non della Pubblica Accusa, che ha pienamente provato, attraverso una pluralità di denunce concordanti, e convergenti, il proprio assunto.

Quanto al ricorrere dell’aggravante di cui al n. 4 del comma quinto dell’articolo 644 c.p., è provato che, ad eccezione del Frascadore, tutte le vittime rivestivano la qualità di imprenditori commerciali.

Diverso discorso è da condurre quanto all’ulteriore aggravante contestata, quella di cui al n. 3 del comma quinto dell’articolo 644 c.p.p.

Nell’odierna formulazione dell’articolo 644 c.p., lo stato di bisogno della vittima, del quale l’agente non deve, di necessità, profittare, ma solo essere a conoscenza, non s’atteggia più ad elemento essenziale della fattispecie, bensì quale circostanza aggravante ad effetto speciale. Nel regime precedente l’entrata in vigore della legge 7 marzo 1996, n. 108, lo stato di bisogno doveva consistere in una situazione che, pur non coincidendo con la sostanza - anche se ex parte offensi - dello stato di necessità, doveva, pur sempre, attenere a bisogni primari della vittima, ad un “impellente assillo”, e solo a questo patto poteva derivare anche da una colposa causazione di tale stato (Cass. pen., sez. III, 19 giugno 1961, Paone, Giust. pen., 1962, II, 87, m. 85; Cass. pen., sez. I, 27 dicembre 1971, Cella, ivi, 1972, II, 823; Cass. pen., Mass. ann., 1973, 284).

L’articolo 644 bis c.p., aggiunto dall’articolo 11 quinquies, comma 2, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modd. in L. 7 agosto 1992, n. 356, sostituiva a tale stato di bisogno le difficoltà economiche dell’imprenditore, ma tale disposizione è stata abrogata dall’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108, e sostituito con la previsione circostanziale del mero commettere il delitto di usura” in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale (art. 644, comma 5, n. 4, c.p.), senza alcun riferimento ad eventuali difficoltà economiche in cui tali persone possano, per avventura, versare.

Nel presente procedimento la Pubblica Accusa ha contestato sia l’aggravante di cui al n. 3 del comma quinto dell’articolo 644 c.p., sia quella di cui al n. 4 dello stesso comma.

Orbene, quanto alla prima delle suddette circostanze, è da rilevare un tal quale contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità: secondo un primo indirizzo, “in tema di usura, lo stato di bisogno in cui deve trovarsi la vittima può essere di qualsiasi natura, specie e grado, e, quindi, può essere determinato anche da debiti contratti per il vizio del gioco d’azzardo, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice alcun requisito” (Cass. pen., sez. II, 8 novembre 2005, n. 40526, Lubreglia ed altro, RV 232667); secondo un opposto indirizzo, “lo stato di bisogno della persona offesa, già costituente requisito per la configurabilità del reato di usura, secondo l’originaria formulazione dell’art. 644 c.p., ed attualmente rilevante come causa di aggravamento della pena, a’ sensi del comma quinto, n. 3, dello stesso art. 644, nella formulazione introdotta dall’art. 1 della legge 7 marzo 1996, n. 108, non può essere ricondotto ad una situazione di insoddisfazione e di...

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