Merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine1013-1040

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@CORTE DI ASSISE PENALE DI BARI sez. 30 giugno 2010, n. 5. Pres. Galantino – Est. Galantino – Imp. Marino ed altro

Circostanze del reato – Aggravanti – Premeditazione – Natura – Circostanza soggettiva speciale e ad effetto speciale – Accertamento – Criteri – Qualificazione

La premeditazione è una circostanza soggettiva speciale e ad effetto speciale, la cui ricostruzione, in assenza di una espressa previsione normativa, deve essere operata utilizzando due differenti parametri: il primo cronologico ed il secondo ideologico. Essa rappresenta la forma più intensa che può assumere il dolo: all’interno della più ampia categoria del dolo di proposito, quello di premeditazione si caratterizza per la maggiore intensità e durata della componente volitiva. Ai fini dell’accertamento del dolo di premeditazione si dovrà, attraverso il ricorso a consolidate massime di esperienza e ad inoppugnabili dati storici, accertare: la causale del fatto; la preordinazione dei mezzi, nonché tutti gli elementi estrinseci rappresentativi dell’anticipata e perdurante risoluzione criminosa. (c.p., art. 575; c.p., art. 577) (1)

    (1) Si vedano, per approfondimenti sull’argomento, Cass. pen., sez. un., 9 gennaio 2009, Antonucci, in questa Rivista 2009, 1022; Cass. pen. sez. I, 26 febbraio 2007, Francavilla, ivi 2007, 1277; Cass. pen., sez. I, 6 aprile 2005, Bagarella, ivi 2006, 348 e Trib. pen. Napoli, sez. VI, 23 febbraio 2005, in Il Merito, 2005, 9, 86.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

(Omissis).

  1. Ad opposta soluzione deve giungersi, invece, in ordine alla contestazione dell’aggravante della premeditazione.

    In assenza di un’espressa previsione legislativa, la Suprema Corte (e la dottrina) hanno ricostruito l’istituto de quo, utilizzando due differenti parametri: il primo di carattere cronologico “consistente in un apprezzabile intervallo di tempo tra risoluzione ed azione, sufficiente a far riflettere sulla decisione e a consentire il recesso dal proposito criminoso per il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere”; ed il secondo ideologico “consistente nel perdurare nell’animo del soggetto, senza soluzione di continuità, di una risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile, chiusa ad ogni motivo di resipiscenza”.

    Secondo la Suprema Corte, cioè, l’aggravante in esame sussiste, allorché possa accertarsi la presenza “di un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso - elemento temporale - tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso, e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità”, convalidando, al tempo stesso, l’opinione dottrinale, secondo la quale la premeditazione rappresenta la forma più intensa di dolo. Proprio quest’ultima qualificazione appare di particolare interesse, poiché rappresenta la base esegetica per l’estensione, anch’essa pacificamente riconosciuta dalla Suprema Corte, della premeditazione ai casi di aberratio ictus e, cioè, “fra quelle riguardanti le condizioni o la qualità della persona offesa o i rapporti tra offeso e colpevole che, ai sensi dell’art. 60 comma 1 c.p., richiamato dall’art. 82, stesso codice, non sono poste a carico dell’agente in caso di errore di costui sulla persona dell’offeso”.

    Si tratta, dunque, di un istituto finalizzato a descrivere una ipotesi di particolare intensità e durata della componente volitiva: la premeditazione come un dolo di proposito particolarmente raffinato e qualificato dalla persistenza e dall’intensità della risoluzione criminosa. All’interno della più ampia categoria del dolo di proposito, quello di premeditazione si caratterizza per la maggiore ampiezza della componente volitiva: una differenza quantitativa, che trova nel n. 3 dell’art. 133 c.p. - rubricato appunto “gravità del reato, valutazione agli effetti della pena” - il referente normativo, che giustifica la scelta legislativa di trattare tali ipotesi con la pena più grave prevista dall’ordinamento.

    Chiarito con la necessaria sintesi, il tema della struttura e dell’oggetto del dolo di premeditazione, occorre prendere posizione sul secondo profilo: l’accertamento.

    Sul punto, in linea con l’evoluzione interpretativa che sta caratterizzando il difficile tema della prova dei cosiddetti fatti psichici, occorre subito precisare, che seguendo il prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinale, ai fini dell’accertamento del dolo di premeditazione si dovrà, attraverso il ricorso a consolidate massime di esperienza e ad inoppugnabili dati storici, accertare la causale del fatto; la preordinazione dei mezzi nonché tutti gli altri elementi estrinseci rappresentativi dell’anticipata e perdurante risoluzione criminosa.

    Passando ora all’esame della presente vicenda processuale, appare subito evidente, che al fatto di omicidio (e tentativo di omicidio), non può essere applicata l’aggravante soggettiva speciale e ad effetto speciale contestata dal Pubblico Ministero.

    Nella ricostruzione del fatto storico, operata nelle pagine precedenti non vi è spazio, né per l’accertamento delPage 1014 parametro cronologico, né per quello ideologico. Rispetto ad entrambi gli indici di struttura non vi sono elementi obiettivi in grado di provare che il fatto di omicidio è stato realizzato sulla base di una programmazione, che ha avuto riguardo all’individuazione precisa del luogo, dell’ora e delle concrete modalità esecutive del fatto. Non vi sono elementi, cioè, in grado di rivelare, che quella decisione di uccidere, con quelle caratteristiche operative fosse stata adottata da tempo, si fosse consolidata, per essere poi attuata proprio con le medesime modalità esecutive. Emerge, al contrario, solo ed esclusivamente la generica programmazione di una vendetta - “... uno, uno lo dovevano colpire.” - senza che si possa accertare, tuttavia, una pianificazione di tutte le fasi della programmazione criminosa. Ogni altra differente ricostruzione in punto di accertamento, attingerebbe l’oggetto (del dolo di premeditazione), annullando i profili distintivi tra questa figura e quella generale del dolo di proposito.

    Vi è inoltre da considerare che, come è stato parimenti accertato nel corso dell’istruttoria dibattimentale, manca persino la possibilità di sostenere che la decisione omicidiaria e, dunque, l’intera programmazione fosse stata adottata con riferimento all’esecuzione del Salatino. E tale carenza è insuperabile alla stregua di entrambi gli indici sui quali, come pure abbiamo avuto modo di documentare, si fonda la ricostruzione giurisprudenziale del dolo di premeditazione.

    In conclusione: la contestata aggravante non sussiste poiché non vi sono elementi affidabili sul terreno probatorio, per sostenere che la decisione omicidiaria riguardasse proprio il Salatino e fosse stata pianificata nel tempo ed in tutte le fasi esecutive.

  2. L’estrema gravità dei fatti-reato accertati, la pervicacia dimostrata dagli imputati nel perseguire il fine criminoso, la negativa personalità di ciascuno dei predetti desumibile dalla complessiva attività criminosa (non riuscendo ad attuare il proposito di sopprimere Michele Stramaglia ed Agostino Giordano non esitarono a porre in essere una vendetta, per così dire, trasversale, ammazzando il Salatino) e dalla loro condotta di vita sono tutti elementi sintomatici della pericolosità sia del Foggetti che del Marino, cosicché ai medesimi non possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche.

    La Corte d’assise, pertanto, condanna gli imputati alle pene indicate nel dispositivo, in base al seguente calcolo: per il Marino, partendo dalla pena base anni 21 di reclusione per il più grave delitto di omicidio, aumentata ad anni 28 per l’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91, ulteriormente aumentata ad anni 35 per il concorrere della recidiva, aumentata ad anni 44 e mesi nove per la continuazione, ridotta ad anni 30 per effetto dell’art. 78 c.p.; per il Foggetti, partendo dalla pena base di anni 21 per il più grave delitto di omicidio, aumentata ad anni 28, per l’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91, aumentata ad anni 30, per effetto della continuazione. (Omissis)

    @CORTE DI APPELLO PENALE DI BRESCIA sez. II, 19 maggio 2010, n. 1029. Pres. Platè – Est. Mazza – Imp. Mor

    Rapina – Rapina impropria – Violenza – Immediatezza – Valutazione – Fattispecie

    Non integra il reato di rapina impropria, ex art. 628, comma 2, c.p., ma quello di furto aggravato, la condotta di chi, dopo essersi impossessato di alcuni oggetti in un centro commerciale, abbia, vistosi scoperto, chiesto e ottenuto dai vigilanti di recarsi alla propria autovettura per recuperare i soldi necessari a pagare gli oggetti rubati e, nell’occasione, abbia usato violenza, mediante spinte ai vigilanti medesimi, al fine di procurarsi l’impunità. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che la decisione dei vigilanti di consentire all’imputato di recarsi alla propria macchina abbia aperto una nuova fase, nell’ambito della quale si è poi verificata la violenza, inserendo di fatto uno iato nella dinamica della vicenda tale da escludere l’elemento della immediatezza tra la sottrazione e l’uso della violenza). (c.p., art. 624; c.p., art. 625; c.p., art. 628) (1)

      (1) Per un utile approfondimento sull’argomento si vedano Cass. pen., sez. II, 14 ottobre 2009, C., in Guida al diritto 2010, 2, 98; Cass. pen., sez. V, 12 giugno 1995, Lia, in Cass. pen. 1995, 3352 con nota di CERASE e Cass. pen., sez. II, 14 novembre 1988, Cerrone, in questa Rivista 1989, 573.

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con sentenza in data 28 gennaio 2003 del Tribunale di Brescia, Mor Andrea veniva condannato, in ordine ai reati di furto, rapina impropria e lesioni personali aggravate descritti rispettivamente nei capi 1), 2) e 3) della rubrica, concesse attenuanti generiche nonché...

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