Merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine639-665

Page 639

@CORTE DI APPELLO PENALE DI NAPOLI sez. VI, 4 gennaio 2010, n. 5724. Pres. D’Arienzo – Est. Giannelli – Imp. Genovese ed altri

Reato – Elemento soggettivo (psicologico) – Dolo – Dolo specifico – Natura – Differenze con il dolo generico – Individuazione

Reato – Elemento soggettivo (psicologico) – Dolo – Dolo specifico – Mancanza – Conseguenze

Il c.d. dolo specifico non è una vera categoria del dolo: non vi fa riferimento nè l’articolo 42, né l’articolo 43, c.p.. Se fosse una forma di dolo, dovrebbe possedere, ai sensi dell’articolo 15 c.p., tutti i caratteri del dolo cd. generico ed un quid pluris specializzante, laddove le due categorie si pongono in rapporto di incompatibilità strutturale, risolvendosi, il dolo cd. generico, nella proiezione di una condotta cosciente e volontaria verso un evento, e, il dolo cd. specifico, in un fine che deve essere perseguito, ma non deve rilevare quoad consummationem criminis; se il cd. dolo specifico fosse vero e proprio dolo, l’errore su di una caratteristica della finalità perseguenda (es. errore sulla ingiustizia del profitto della rapina o nell’appropriazione indebita) ridonderebbe in un errore sul dolo, che è elemento costitutivo del reato, e non, solo, un elemento essenziale del fatto. (c.p., art. 42; c.p., art. 43) (1)

Sotto il profilo processuale, la mancanza del cd. dolo specifico comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” o con quella “per non aver commesso il fatto”; l’errore su di una caratteristica della perseguendo finalità comporta l’assoluzione con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, ai sensi dell’articolo 47, o 48, c.p. (Fattispecie in tema di partecipazione al delitto di cui all’art. 416 bis c.p.). (c.p., art. 43; c.p., art. 47; c.p., art. 48; c.p., art. 416 bis) (2)

    (1) In dottrina si vedano PICOTTI LORENZO, Il dolo specifico. Un’indagine sugli “elementi finalistici” delle fattispecie penali, ed. Giuffrè 1993 e PROSDOCIMI SALVATORE, Il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali, ed. Giuffrè 1993

    (2) Nulla in termini.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Per agio sistematico sarà bene iniziare la trattazione principiando dall’esame delle questioni di carattere giuridico-processuale.

La Difesa di Genovese Luigi e di D’Aurilia Modestino parla di nuova e diversa contestazione quanto all’aggravante di cui all’articolo 7 L. 203/91 relativamente al D’Aurilia; di contestazione della recidiva quanto a Genovese Luigi; si duole della revoca di tali contestazioni da parte del Gup e del rigetto dell’istanza di instaurazione - attesa la contestazione suppletiva - di procedimento con le forme ordinarie, anziché con il rito contratto di cui agli artt. 438 e ss. c.p.p.

Orbene, sotto un primo profilo, è da notare che l’articolo 423, 1° comma, c.p.p. si riferisce ad un’autonoma e nuova contestazione, non all’integrazione descrittiva di una circostanza precedentemente contestata; quanto alla recidiva concernente il Genovese, non si può fare a meno di rilevare che a tale circostanza la legge, in considerazione dell’immediata riscontrabilità degli estremi che la sustanziano, annette più limitati effetti d’ordine processuale, come è conclamato dal primo comma dell’articolo 519 del codice di rito penale.

La doglianza difensiva suddetta è, allora, già per tal verso, da ritenere destituita di fondamento. Di più, e decisivamente, non può che riflettersi sulla “ratio” del combinato disposto degli articoli 441 bis e 423, 1° comma c.p.p.: la scelta del rito ordinario da parte dell’imputato che, precedentemente, abbia chiesto di essere ammesso al rito abbreviato, semplice o sub condicione aliquae probationis, si fonda, nella situazione che qui si considera, sulla diversità di linea difensiva da tenere a seguito dell’effettuata contestazione suppletiva; in caso di revoca di quest’ultima, l’imputato si ritrova nella originaria situazione, e si deve difendere dall’accusa come precedentemente formulata, per cui, a dolersi della revoca dell’effettuata contestazione suppletiva, non è punto legittimato, per mancanza assoluta di interesse, l’imputato, bensì la Pubblica Accusa, da parte della quale, nell’ambito del presente procedimento, non è stato eccepito alcunché.

Quanto alla posizione processuale dell’imputato Picariello Daniele, la Difesa solleva questione di incompatibilità, ex art. 24 c.p.p.. in relazione all’art. 36, lettera g), c.p.p., a conoscere dei fatti ascritti al de quo, poiché, dopo che le stesso era stato ammesso al rito abbreviato, e dopo l’emissione di ordinanza impositiva di misura cautelare, annullata dal Tribunale del riesame, la persona offesa aveva addotto nuovi elementi, sulla base dei quali era stata emessa nuova ordinanza impositiva di misura cautelare, anch’essa annullata dal Tribunale del Riesame: il primo giudice, emessa la seconda ordinanza impositiva, avrebbe dovuto rivolgere domanda di astensione al primo Presidente del Tribunale, essendosi già espresso nel senso della sussistenza di gravi indizi a carico del Picariello in ordine al delitto di estorsione in danno di Della Pia Clau-Page 640dio, e non avendo mutato opinione in proposito, sulla base dei chiariménti sul fatto da quest’ultimo provenuti dopo l’ammissione dell’imputato al rito abbreviato.

Decisivo, in merito alla doglianza prospettata, è, sotto il profilo squisitamente processuale, il rilievo che un’eventuale incompatibilità del giudicante non attiene ad un vizio di capacità, che dovrebbe essere previsto dalle leggi di ordinamento giudiziario, non dal codice di rito penale. Non può trovare, pertanto, applicazione il combinato disposto degli art. 178, lettera a), 179 c.p.p.: il mancato esercizio della facoltà di astensione può solo generare - ai sensi dell’articolo 124 c.p.p - sanzioni disciplinari a carico del magistrato, senza che si possa discutere di nullità della sentenza comunque emessa, dovendo, all’uopo, l’imputato, provvedere alla formulazione di istanza di ricusazione del “judex suspectus” (Cass. pen., sez. un., 17 aprile 1996, m. 204464, D’Avino; Cass. pen., sez. un., 1 febbraio 2000, n. 23, Scrudato ed altri, in questa Rivista 2000, 1, 133; Cass. pen., sez. II, 21 luglio 2003, n. 30488, Bova), adempimento non effettuato “in casu quo”.

Nel merito, va premesso che, quanto alle imputazioni di cui ai punti 1, 2, 3 e 4 del capo D) della rubrica, ascritte a Genovese Luigi e D’Aurilia Modestino, il giudice di prime cure ha semplicemente omesso di riportare in dispositivo il risultato della espressa motivazione assolutoria al riguardo, enunciata ai fogli 174 e 175 della sentenza impugnata, onde, per questo verso, non va in alcun modo rideterminata la pena inflitta ai due suddetti imputati, non avendo potuto, il primo giudice, computare nella suddetta pena la parte della stessa attinente ad ipotesi criminose in ordine alle quali aveva espressamente escluso la responsabilità.

La sussistenza del clan Genovese ed i partecipi a tale sodalizio

Questa Corte ritiene raggiunta la prova circa la sussistenza di un sodalizio criminale facente capo a Genovese Luigi, strutturato secondo gli schemi classici di cui all’articolo 416 bis c.p., del quale faceva parte lo stesso, unitamente a De Falco Annunziata, Guerriero Annunziata e Garofalo Gianni.

Genovese Luigi assume la “reggenza” del clan con impegno e zelo, il che appare efficacemente dimostrato dalla perentorietà dei modi usati nei confronti dei giornalisti per ottenere la secca smentita di un proposito di collaborazione con la Giustizia manifestato dal padre, Modestino, durante la propria detenzione.

Genovese Luigi non intendeva proteggere i propri familiari con il suddetto comportamento, ma assumere la posizione che il padre aveva saputo conquistare nell’ambito malavitoso, come è conclamato dalla sentenza irrevocabile del tribunale di Avellino in data 23 novembre 2003, e come risulta dalle stesse ammissioni di Genovese Modestino “de praeteritu”.

Si trattava, invero, di un falso intento collaborativo: emerge dall’intercettazione, in ambientale, della conversazione fra Genovese Modestino, Marco, e De Falco Annunziata, in data 5 giugno 2006, che il primo altro non si proponeva - tramite la “collaborazione” - che una più rapida...

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