La mediazione nel processo penale: considerazioni sulla prospettiva di renderla obbligatoria per I reati di competenza del giudice di pace commessi in ambito condominiale

AutoreMichele Rossetti

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1. Introduzione

Il D.L.vo n. 28 del 4 marzo 2010, recante “Attuazione dell’art. 60 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, prevede, anche per l’ambito condominiale, l’obbligatorio esperimento del procedimento di mediazione per chi intende esercitare un’azione giudiziaria relativa alle controversie indicate nell’art. 5 del decreto.1

Alla luce di quanto elaborato dalla dottrina sino ad oggi, e facendo tesoro delle autorevoli prese di posizione circa l’efficacia e la bontà dell’istituto in questione,2 appare legittimo chiedersi se il divieto di applicazione obbligatoria per il processo penale possa subire delle deroghe, per alcune materie, senza inficiare la rapidità del giudizio, e consentendo di raggiungere con maggiore efficacia le finalità principali per le quali la mediazione è stata concepita.

2. Premesse e ragioni dell’ intervento normativo

La mediazione, intesa come istituto originariamente ed apparentemente esclusivamente civilistico, è l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa.3

Tra le finalità principali dell’istituto giuridico in esame v’è l’obiettivo di deflazionare il carico processuale pendente dinanzi ai tribunali italiani. Infatti, proprio la constatazione del sovraffollamento delle aule giudiziarie, e delle conseguenti lungaggini processuali, ha indotto la C.E. ad elaborare delle alternative al ricorso alle Autorità Giudiziarie, denominate A.D.R., ossia Alternative Dispute Resolution.

Il ricorso alla mediazione, oltre a deflazionare il carico giudiziario per le liti in corso, contribuisce ad ottenere una minore litigiosità tra i soggetti, in particolare per quelli che sono costretti a “convivere” in maniera duratura in uno stesso ambito. Infatti, poiché i soggetti coinvolti dal conflitto sono posti in condizione di giungere concorde- mente alla risoluzione della controversia, attraverso uno scambio di informazioni basato sul dialogo, la dicotomia dei ruoli “vincitore-vinto” passa in secondo piano, poiché, sebbene i ruoli assumano caratteri propedeutici all’apertura della procedura di mediazione, una volta giunti di fronte al professionista si diventa “esclusivamente” soggetti con interessi e previsioni, sicuramente contrapposti, ma certamente contemperabili. Ne deriva che, all’esito positivo del procedimento di mediazione, non vi sarà una parte soccombente desiderosa di una prossima “rivincita”, ma due persone che, attraverso il dialogo - sapientemente pilotato dal mediatore professionista - sono riuscite a trovare una soluzione di reciproca soddisfazione e, proprio per questo, destinata a durare nel tempo.

In quest’ottica si inserisce la ratio del cit. art. 5 del D.L.vo n. 28/2010, il cui disposto prevede che chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione (…), ferma restando la possibilità di ricorrere a tale istituto per tutte le controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.

Come già detto, nel nostro attuale sistema, l’istituto della mediazione ha natura squisitamente civilistica, tant’è che i fatti costituenti un illecito penale restano esclusi dal D.L.vo n. 28/2010.4

Sebbene in dottrina non manchino numerosi incentivi ad un utilizzo della procedura di mediazione anche in ambito penale,5 sembra esserci ancora qualche remora da parte del legislatore in relazione all’istituto della mediazione propriamente detta, salvo a prevedere ed incentivare la conciliazione in ambito penale, come approfondito nei paragrafi successivi; del resto, ad oggi, anche la media- zione civile è in itinere, con tutte le incognite del caso.

All’estero la mediazione in ambito penale è stata già sperimentata con successo. Il primo caso di mediazione penale storicamente riconosciuto è avvenuto in Canada, non ad opera del legislatore, ma di un probation officer di religione mennonita che, nel maggio del 1974, a Kitchener, nell’Ontario (Canada), dinnanzi a due giovani canadesi che avevano commesso atti di vandalismo in stato di eb-

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brezza, propose al giudice che questi incontrassero le loro vittime al fine di negoziare un risarcimento: la sua proposta non aveva alcun fondamento giuridico ma, ciò nonostante, il giudice prestò il suo assenso; il loro caso fu la scintilla che portò a un movimento di dimensioni internazionali, poi successivamente codificate.6

3. Mediazione e giudice di pace

Nel nostro ordinamento, l’esigenza di risolvere in maniera stragiudiziale le questioni penali per reati perseguibili a querela è avvertito da tempo; infatti il D.L.vo n. 274/2000, recante “Disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace, a norma dell’art. 4 della L. 24 novembre 1999, n. 468” enuncia espressamente che il Giudice ha il compito di promuovere la conciliazione tra le parti attraverso un tentativo obbligatorio, da esperire alla prima...

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