Mediazione obbligat oria: conseguenze per l'avvocat o che 'ignora' il tentat ivo di mediazione

AutoreCorinne Isoni - Pietro Elia
Pagine6-10
6
dott
1/2015 Arch. giur. circ. e sin. strad.
DOTTRINA
mEDiAZioNE obbLiGAToriA:
coNSEGUENZE
pEr L’AvvocATo
chE “iGNorA”
iL TENTATivo Di mEDiAZioNE
di Corinne Isoni (*), Pietro Elia ( **)
SOMMARIO
1. Introduzione. 2. Lite temeraria: art. 96 c.p.c. e la media-
zione civile e commerciale. 3. Il mancato esperimento del
tentativo di mediazione come scarsa tutela degli interessi
della parte: conseguenze per l’avvocato. 4. Il primo incontro
di mediazione: quali conseguenze per la parte istante e l’av-
vocato che non confermano la propria disponibilità a voler
proseguire con la mediazione. 5. Effettività del tentativo di
mediazione: la mediazione non deve essere un mero adempi-
mento burocratico.
1. Introduzione
1. Nonostante la crescente attenzione che, a livello na-
zionale, si sta ponendo nei confronti dei sistemi alternativi
di risoluzione delle controversie, parte degli operatori del
sistema cercano ancor’oggi di “baipassare” il tentativo di
mediazione, preferendo adire direttamente il tribunale ov-
vero dichiarando di non voler procedere nello svolgimento
effettivo della mediazione. Dunque, dopo anni dall’entrata
in vigore della mediazione obbligatoria, non sempre que-
st’ultima viene vista come una reale opportunità di con-
fronto tra le parti coinvolte nel conf‌litto, ma viene spesso
affrontata come un mero adempimento burocratico da
dover svolgere per rivolgersi successivamente al giudice
competente. L’obiettivo del presente contributo è quello
di mettere in luce le conseguenze cui si espongono le parti
e i difensori delegati alla loro rappresentanza che non si
presentino in mediazione ovvero che manifestino la loro
volontà a non voler procedere con il tentativo di media-
zione. Dunque, partendo dall’analisi dell’art. 96 c.p.c., ci
si pref‌igge di evidenziare, attraverso una rassegna delle
più recenti pronunce giurisprudenziali, quella che è la
condotta che gli avvocati son tenuti a mantenere duran-
te la mediazione al f‌ine di non incorrere in conseguenze
sanzionatorie.
2. Lite temeraria: art. 96 c.p.c. e la mediazione civile e
commerciale
2. L’art. 96 c.p.c. disciplina la c.d. lite temeraria, e re-
cita: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resi-
stito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su
istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese,
al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’uff‌icio,
nella sentenza.
Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui
è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta
domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure
iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della
parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni
l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la
normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a
norma del comma precedente.
In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi
dell’articolo 91, il giudice, anche d’uff‌icio, può altresì
condannare la parte soccombente al pagamento, a favore
della controparte, di una somma equitativamente deter-
minata.”
Il primo comma della norma è considerata un’ipotesi
di fattispecie risarcitoria del danno da illecito processuale
cagionato dalla lite temeraria.
Essa va inquadrata come ipotesi di responsabilità aqui-
liana ex art. 2043 c.c., del quale l’art. 96 c.p.c. comma 1 ne
rappresenta una species, ma si differenzia comunque da
questa, in quanto, ai f‌ini della sua conf‌igurabilità, non è
suff‌iciente la colpa lieve, ma, come recita l’art. 96 c.p.c.,
colpa grave o dolo.
La norma in questione, specialmente da quando è stata
novellata dall’art. 45, comma 12 della legge 18 giugno 2009
nr. 69, mira a sanzionare la parte che abbia abusato e quin-
di occupato inutilmente la “macchina del processo” con-
travvenendo altresì al generale dovere di lealtà e probità
di cui all’art. 88 c.p.c..
Attraverso tale ratio, la norma de qua deve fungere sia
da deterrente all’inutile e controproducente instaurazione
di liti temerarie che a condotte processualmente dilatorie.
Quindi, sia pure indirettamente, l’art. 96 c.p.c. vuole, con-
sapevolmente, tutelare anche interessi pubblici, quali il
buon funzionamento e l’eff‌icienza della giustizia civile e
quindi una giusta durata dei processi.
I presupposti ai f‌ini della conf‌igurazione di tale respon-
sabilità, richiedono, in quanto aggravata, una graduazione
estrema dello stato soggettivo riferibile alla colpa grave
o dolo, oltre alla soccombenza dell’avversario e la prova
della malafede di controparte.
Circa l’onere della prova del quantum, in giurispru-
denza registriamo due orientamenti principali. Il primo
afferma che il quantum, una volta assolto l’onere della
prova dell’an, sarebbe determinabile dal giudice in base
alla comune esperienza ed accertabile su presunzioni.
Secondo l’ulteriore orientamento giurisprudenziale, il
giudice potrebbe effettuare la quantif‌icazione equitativa
del danno ex off‌icio solo quando non sia possibile quantif‌i-
care il danno nel suo ammontare. Tale facoltà rispondereb-
be al criterio generale di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., sen-
za alcuna deroga all’onere di allegazione degli elementi di
fatto idonei a dimostrarne l’effettività: tale facoltà, invero,
non trasforma il risarcimento in una pena pecuniaria, né
in un danno punitivo disancorato da qualsiasi esigenza pro-
batoria, restando esso connotato dalla natura riparatoria

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