In tema di mediazione nelle controversie in materia di condominio e di locazioni (D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28)

AutoreVittorio Raeli

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1. La mediazione: generalità

Con l’entrata in vigore del D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28 è stato introdotto nel nostro ordinamento, in maniera così ampia, il tentativo di conciliazione delle controversie civili e commerciali.1

L’art. 2, comma 1, generalizza il tentativo (facoltativo) di conciliazione per le controversie (civili e commerciali)2 su “diritti disponibili”.3

La scelta forse più controversa della disciplina dettata dal legislatore delegato per la mediazione4 si identifica con la istituzione della obbligatorietà della mediazione,5 configurandosi l’attivazione del procedimento secondo le regole del D.L.vo 4 marzo 2010 n. 28 o, alternativamente, del D.L.vo 8 ottobre 2007 n. 179, ovvero del D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385, limitatamente per le materie ivi rego- late, quale condizione di procedibilità6 della domanda giudiziale relativa alle materie indicate nell’art. 5.7

Si tratta delle azioni concernenti le seguenti materie8:

1) condominio;

2) diritti reali;

3) divisione;

4) successioni ereditarie;

5) patti di famiglia;

6) locazione;

7) comodato;

8) affitto di azienda;

9) risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti;

10) responsabilità medica;

11) diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità;

12) contratti assicurativi;

13) contratti bancari;

14) contratti finanziari I “criteri-guida” seguiti nella scelta delle materie sono indicati nella Relazione illustrativa al decreto delegato e risultano suddivisi in tre gruppi:

1) cause in cui il rapporto tra le parti è destinato, per ragioni sociali od economiche, a prolungarsi nel tempo (condominio, ai contratti di locazione, comodato ed affitto di azienda) ed ai rapporti in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, allo stesso gruppo sociale, alla stessa area territoriale (diritti reali, divisione, successioni ereditarie, nuovamente condominio e patti di famiglia);

2) cause riferite a rapporti che si contraddistinguono per l’elevato livello di conflittualità, rispetto ai quali è particolarmente fertile il terreno della composizione stragiudiziale (risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli o natanti, responsabilità medica e diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità);

3) cause riferite a talune tipologie contrattuali (contratti assicurativi, bancari e finanziari) che, oltre a sottendere rapporti di durata tra le parti, conoscono una diffusione di massa e sono alla base di una parte non irrilevante del contenzioso.

Seguendo un’altra prospettiva,9 che guarda più al tipo di conflitto (e alle tecniche di mediazione) che alla identificazione delle materie, le controversie soggette all’obbligo della motivazione sono suddivisibili in tre gruppi diversi.

Al primo gruppo appartengono le liti per le quali la modalità “satisfattiva”, imperniata cioè sulla necessità di trovare una soluzione al problema, sebbene non in termini distributivi o aggiudicativi, si presenta come la più adeguata e in grado di raggiungere il progressivo dissolvimento del conflitto.10

Del secondo gruppo fanno parte, invece, le controversie per le quali il metodo “trasformativo” si presenta come il più adatto, in quanto, nel ripercorrere la storia della disputa con il fine di cambiare la qualità della relazione, tenta di sciogliere i nodi psicologici che interferiscono nella comunicazione tra le parti.11

Il terzo gruppo di controversie, infine, comprende quelle per le quali la mediazione finisce per avere tutti i caratteri della negoziazione distributiva diretta ad accertare il valore della pretesa e decidere la distribuzione dei torti e delle ragioni, tanto che, in questo caso, la mediazione assumerà, verosimilmente, i caratteri di una riproduzione in forma privata del processo.12

2. Il condominio: definizione della materia e casistica

Il condominio costituisce la prima materia presa in considerazione dal legislatore delegato e la dizione della norma fa ritenere che siano sottoposte al tentativo (obbligatorio) di conciliazione soltanto le controversie aventi ad oggetto i rapporti fra i condòmini, con esclusione delle liti fra il condominio e i soggetti terzi, in quanto tali ultime liti, pur coinvolgendo il condominio, non riguardano la materia del condominio in sé considerata. Diversamente si conclude, invece, per quanto riguarda i rapporti fra il condominio (o i condòmini) e i conduttori nelle materie in

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cui questi ultimi hanno diritto di voto nell’assemblea condominiale in base all’art. 10 della legge n. 392/1978.13

Secondo le rilevazioni statistiche del Censis sul contenzioso instaurato nel 2007, le cause riguardanti il condominio ammontavano a circa 185 mila, pari al 4,5% del totale delle cause civili introdotte quell’anno.

L’oggetto di tali procedimenti ha riguardato principal- mente: il recupero del credito derivante dalla morosità dei condòmini; l’impugnazione di delibere condominiali, ai sensi dell’art. 1137 c.c.; provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c.; procedimenti per accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c.; azioni di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c..

3. (Segue) La clausola di conciliazione e la condizione di procedibilità

Per comprendere appieno la novità e la reale portata della obbligatorietà in materia condominiale della mediazione, quale condizione di procedibilità, si tenga presente che già prima della previsione di legge non era infrequente riscontrare nei regolamenti condominiali la presenza di clausole di conciliazione che prevedessero l’obbligo di esperire un tentativo di amichevole composizione, da effettuarsi il più delle volte con l’intervento di una “commissione” di condò- mini all’uopo nominata (c.d. conciliazione ad hoc).14

E tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto che, in considerazione della natura contrattuale del regolamento di condominio, ad una siffatta prescrizione regolamentare non potesse conseguire l’effetto di una “rinuncia all’azione” e, inoltre, se il condomino agisce in sede giudiziaria senza avere preventivamente adito il tentativo di conciliazione l’unica conseguenza possibile è la nascita di una obbligazione di risarcimento del danno.15

Si comprende, dunque, che la previsione legislativa della mediazione in materia di condominio, come condizione di procedibilità, abbia determinato un significativo mutamento di disciplina dei rimedi alla inosservanza della clausola di conciliazione, in quanto la conseguenza non è più di ordine sostanziale (risarcimento del danno) ma di ordine processuale (improcedibilità della domanda).16

4. (Segue) tipo di conflitto e tecniche di mediazione

Secondo la dottrina,17 il condominio è l’ambito d’elezione della mediazione, essendo nel condominio riscontrabile un aspetto che rende quasi “inevitabile” la risoluzione bonaria della contrapposizione: l’edificio è oggetto di coabitazione da parte di un insieme di soggetti che si mantiene sostanzialmente stabile nel lungo periodo.

Si può dire, infatti, che “tale circostanza, da una parte fa diventare particolarmente distruttivo (e, quindi, da evitare) l’instaurarsi o la non composizione del conflitto (che evolve, non di rado, nella cronicizzazione della contrapposizione, la quale, a sua volta, col tempo può venire estesa dai contendenti ad ogni altra possibile ipotesi di confliggenza di pretese, siano essere reali ovvero strumentali/ritorsive) e, dall’altra parte, dà luogo ad una permanente coesistenza di plurimi e variegati interessi (che, nell’edificio, nascono, si modificano, si realizzano, interagiscono tra di loro, ecc.); coesistenza che costituisce il terreno migliore sul quale reperire le soluzioni per la conciliazione”.18

Riprendendo quanto detto a proposito dei criteri-guida seguiti dal legislatore delegato nella individuazione delle materie soggette a mediazione obbligatoria, si afferma, nel descrivere le caratteristiche che il conflitto presenta con riferimento alle controversie in materia di condominio, che “l’alta conflittualità che spesso le caratterizza è frequentemente dovuta, più che ad una reale divergenza fra gli interessi sottostanti a problemi nelle interazioni individuali dovuti a unilateralità delle percezioni, scarsa capacità di immedesimazione, modi diversi di vedere e interpretare i problemi comuni, diverse capacità economiche, diverse esigenze familiari, diversa provenienza sociale e culturale. La comunicazione fra le parti, aggravata da una convivenza forzata che favorisce atteggiamenti estremi, arroccamenti su posizioni di principio e, quindi, esasperazione del conflitto, è solitamente molto difficile e l’arretramento delle posizioni assunte reso arduo dall’esistenza di una pluralità di persone di fronte alle quali si finisce per assumere dei “ruoli” e nei confronti delle quali di può anche sentire di dover “salvare la faccia”.19

In relazione alle caratteristiche del conflitto si sostiene, quindi, che “la mediazione dovrà tendenzialmente articolarsi in due fase fondamentali, quella del racconto e dell’ascolto, e quella della elaborazione di una soluzione al problema. Fondamentale sarà nella prima fase la capacità del mediatore di gestire la discussione dando a tutti il tempo e il sostegno necessari per parlare e per essere disposti ad ascoltare e di superare l’ostacolo rappresentato da posizioni estremizzate, profondamente radicate, esasperate e condivise in gruppi, nonché quello rappresentato da una conflittualità ormai cronicizzata … Se tramite l’ascolto il mediatore riesce a ricostruire lo spirito comune e il sentimento del gruppo, allora sarà più facile dopo, nella seconda fase, esortare tutti a un lavoro comune per generare ipotesi di soluzione che si adattino alle esigenze di ognuno in particolare e del gruppo nel suo complesso...

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