Il matrimonio e i rapporti tra i coniugi

AutoreStefano Ambrogio
Pagine105-122

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@1 Il matrimonio come atto e come rapporto

L’art. 29 Cost. stabilisce che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il termine matrimonio, come risulterà evidente nel prosieguo di questo Capitolo, può essere inteso in due sensi:
come atto giuridico con il quale si costituisce il vincolo matrimoniale (al matrimonio-atto si riferisce la disciplina che riguarda le condizioni necessarie per contrarre il vincolo, la celebrazione del matrimonio, le cause di invalidità dello stesso);
come rapporto che, a seguito della costituzione del vincolo, si instaura tra i coniugi (al matrimonio-rapporto si riferisce la disciplina dei diritti e dei doveri dei coniugi, dei rapporti patrimoniali tra gli stessi, della separazione personale e dello scioglimento del matrimonio).

@2 Il matrimonio come atto

Per quanto concerne il matrimonio come atto, va innanzitutto evidenziato che a partire dal 1929 i cittadini italiani hanno la possibilità di scegliere tra due forme di celebrazione del matrimonio, entrambe le quali hanno o possono avere rilievo giuridico. L’11 febbraio 1929, infatti, lo Stato Italiano e la Santa Sede hanno stipulato un Concordato (i cd. Patti Lateranensi) diretto a regolare i loro rapporti. Tale Concordato, poi confermato da un nuovo Concordato nel 1984, ha previsto la possibilità di attribuire effetti civili al matrimonio religioso attraverso la sua trascrizione nei registri dello stato civile.

In virtù di tale accordo, dunque, le due forme di matrimonio rilevanti agli effetti civili e riconosciute dall’ordinamento giuridico italiano sono:
il matrimonio civile, celebrato davanti all’ufficiale di stato civile e interamente regolato dal diritto civile per quanto riguarda la forma, i presupposti e gli effetti;

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- il matrimonio concordatario, celebrato davanti ad un ministro del culto cattolico secondo le norme del diritto canonico. Il matrimonio concordatario può acquistare effetti civili a seguito della sua trascrizione. In assenza di quest’ultima, il matrimonio rimane un atto puramente religioso, vincolante come sacramento ma irrilevante dal punto di vista giuridico.

@3 La promessa di matrimonio

La promessa di matrimonio può definirsi, in termini generali, come la dichiarazione con la quale due persone promettono, l’una nei confronti dell’altra, di prendersi in matrimonio. Nell’ambito della promessa di matrimonio, però, è necessario distinguere tra:
la promessa solenne (i cd. sponsali), caratterizzata dalla presenza dei requisiti di forma e di sostanza indicati dall’art. 81 c.c.;

È definita solenne la promessa:
fatta da un uomo ed una donna vicendevolmente (non è dunque giuridicamente vincolante, ai fini della previsione dell’art. 81 c.c., la promessa unilaterale);
contenuta in un atto pubblico o in una scrittura privata oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione; tale forma evidenzia, infatti, la serietà della promessa (Finocchiaro).

- la promessa semplice, che non presenta tali requisiti di forma e di so-stanza e che si risolve in un mero fatto sociale.

In entrambi i casi, la promessa non determina il sorgere dell’obbligo di contrarre matrimonio e/o di eseguire le prestazioni eventualmente pattuite per l’ipotesi di inadempimento (art. 79 c.c.); il promittente, però, può doman-dare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto (art. 80 c.c.).

Solo la promessa solenne, invece, obbliga al risarcimento del danno il promittente che senza giusto motivo rifiuti di eseguirla o che, con il proprio comportamento colpevole, dia un giusto motivo di rifiuto all’altro (art. 81 c.c.).

Sono considerati giusti motivi di rifiuto quei fatti che, se conosciuti al momento della promessa, avrebbero dissuaso il promittente dal prestarla (ad esempio, infedeltà, malattie sessuali, condotta immorale, commissione di reati). I danni risarcibili sono le spese fatte e le obbligazioni assunte a causa della promessa (si pensi all’acquisto dell’abito da sposa o alle spese anticipate per il ricevimento).

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@4 Il matrimonio civile

Affinché possa essere contratto un valido matrimonio, è necessario che sussistano i seguenti requisiti:
la maggiore età, sia per l’uomo sia per la donna. Il tribunale per i minorenni, però, può ammettere al matrimonio chi abbia compiuto i sedici anni, purché esistano gravi motivi e venga accertata la maturità psicofisica del minore;
la sanità mentale di colui che intende sposarsi. Ai sensi dell’art. 85 c.c., infatti, l’interdetto per infermità di mente non può contrarre matrimonio. Inoltre, può essere impugnato il matrimonio contratto da un soggetto che si provi essere stato incapace di intendere e di volere, per qualsiasi causa, anche transitoria, al momento della celebrazione (art. 120 c.c.);
la libertà di stato, nel senso che non può contrarre matrimonio chi è già unito in matrimonio con un’altra persona, salvo che tale precedente matrimonio sia stato sciolto, sia nullo o sia stato annullato (art. 86 c.c.).

È necessaria, inoltre, l’assenza di alcune situazioni ostative al matrimonio. Si parla a tale proposito di impedimenti.

Alcuni impedimenti sono definiti dirimenti, in quanto la loro presenza renderebbe invalido il matrimonio. Essi sono:
l’esistenza di un vincolo di parentela, affinità o adozione tra l’uomo e la donna che intendono sposarsi (art. 87 c.c.). Tuttavia esistono alcuni vincoli che impediscono sempre il matrimonio ed altri vincoli per i quali è ammessa dispensa, nel senso che il Tribunale può autorizzare il matrimonio (può essere autorizzato il matrimonio tra zii e nipoti o tra affini in linea collaterale);
il cd. impedimentum criminis di cui all’art. 88 c.c., in base al quale chi ha ucciso o tentato di uccidere una persona non può sposare il coniuge di questa.

Altri impedimenti sono definiti impedienti, in quanto la loro presenza non rende invalido il matrimonio, ma determina solo l’irrogazione di una sanzione agli sposi. Essi sono:
il mancato decorso del periodo di tempo definito lutto vedovile (art. 89 c.c.). La donna che vuole contrarre un nuovo matrimonio - dopo lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio - deve attendere trecento giorni, al fine di impedire dubbi sulla paternità di un eventuale figlio nato durante questo periodo di tempo;
l’omissione delle pubblicazioni, salvi i casi di esonero concesso dal Tribunale per gravissimi motivi (art. 100 c.c.) e salvo il caso di matrimonio celebrato in imminente pericolo di vita.

Il matrimonio deve essere preceduto da una formalità preliminare consistente nelle cd. pubblicazioni, che hanno lo scopo di portare a conoscenza di tutti il progettato matrimonio, in modo tale che chiunque vi abbia interesse e sia a conoscenza di un impedimento allo stesso possa fare opposi-

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zione. Le disciplina delle pubblicazioni è contenuta negli artt. 93 e ss. c.c. e nel d.P.R. 3-11-2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato civile).

Esse consistono nell’affissione presso il Comune di residenza degli sposi di un atto che contenga le loro generalità e una serie di altre indicazioni richieste dalla legge.

La celebrazione del matrimonio avviene pubblicamente dinanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune del luogo in cui è stata fatta la richiesta di pubblicazioni e alla presenza di due testimoni (art. 107 c.c.).

@5 L’invalidità del matrimonio

Gli artt. 117 e ss. c.c. fanno esclusivo riferimento, in caso di vizi dell’atto, alla nullità del matrimonio.

Nonostante la terminologia adottata e pur non esistendo in dottrina uniformità di opinioni, però, è possibile distinguere tra diverse ipotesi di invalidità dell’atto e, precisamente, tra semplice irregolarità, inesistenza, nullità e annullabilità.

Le irregolarità non incidono sulla validità dell’atto, ma determinano solo l’irrogazione di una sanzione amministrativa (si tratta delle ipotesi previste dagli artt. 134 e ss. c.c., quali l’inosservanza del lutto vedovile e l’omissione delle pubblicazioni).

Si ha inesistenza del matrimonio quando manca la stessa parvenza di un atto matrimoniale (es.: celebrazione avvenuta senza la presenza dell’ufficiale di stato civile) ovvero quando si attesta un consenso degli sposi che non è mai stato dato (Trabucchi, Gazzoni).

Più complessa risulta la distinzione tra ipotesi di nullità e ipotesi di annul-labilità, in quanto il codice civile utilizza sempre i termini "impugnazione" dell’atto e matrimonio "dichiarato nullo" (e tanto ciò è vero che alcuni autori qualificano tutte le ipotesi previste dalla legge come casi più o meno gravi di nullità).

In linea generale, può dirsi che si ritiene nullo:
il matrimonio contratto in assenza della libertà di stato richiesta dall’art. 86 c.c.;
il matrimonio contratto in presenza di un vincolo di parentela, affinità o adozione non dispensabile;
il matrimonio contratto in presenza dell’impedimentum criminis di cui all’art. 88 c.c.

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Sono legittimati all’impugnazione i...

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