Massimario di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine489-508

    I testi dei documenti qui riprodotti sono desunti dagli Archivi del Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione. I titoli sono stati elaborati dalla redazione.


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@Abusivo esercizio di una professione - Attività professionale di psicologo - Esercizio da parte di pranoterapeuta - Configurabilità del reato

Costituisce esercizio abusivo di una professione la commissione da parte di soggetto non in possesso dei requisiti professionali dell'attività riservata in via esclusiva a soggetti ai quali la legge ha riconosciuto la possibilità di svolgerla per le particolari competenze professionali possedute. Spesso l'attività professionale tipica è preceduta, accompagnata o seguita da atti necessari od utili, ma non tipici, pertanto spetta al giudice valutare se tali atti siano comunque espressione della competenza e del patrimonio di conoscenze che il legislatore ha inteso tutelare attraverso l'individuazione della professione protetta. Così l'attività di dialogo con i propri clienti, volta a chiarire gli eventuali disturbi di natura psicologica ed anche a fornire consigli, svolta da un mero pranoterapeuta, prima della fase della "seduta" relativa alla pranoterapia, costituisce un'attività di diagnosi e di terapia che, nonostante la genericità delle indicazioni contenute nella legge professionale 18 febbraio 1989, n. 56, è certamente intimamente connessa alla professione di psicologo, costituendo espressione della specifica competenza e del patrimonio di conoscenze della psicologia, e comunque può agevolmente essere ricompresa tra le attività della professione medica, soprattutto quando sia diretta alla guarigione di vere e proprie malattie (nel caso di specie: anoressia).

    Cass. pen., sez. VI, 16 aprile 2004, n. 17702 (ud. 3 marzo 2004), Bordi. (C.p., art. 348; L. 18 febbraio 1989, n. 56). [RV228472]


@Abusivo esercizio di una professione - Professione forense - Soggetto che abbia superato l'esame di abilitazione ma non sia iscritto ad albo professionale - Configurabilità del reato

Commette il reato di esercizio abusivo di una professione (nella specie, quella di procuratore legale) colui il quale, pur avendo superato l'esame di Stato necessario a conseguire la relativa abilitazione, non sia (o non sia piú) iscritto al relativo albo professionale. Tale disciplina non contrasta con il comma quinto dell'art. 33 della Costituzione, nella parte in cui prescrive un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, in quanto la norma non vieta al legislatore la previsione di condizioni aggiuntive per detto esercizio.

    Cass. pen., sez. VI, 28 aprile 2004, n. 19658 (ud. 5 marzo 2004), Piscicelli. (C.p., art. 348). [RV228430]


@Acque pubbliche e private - Inquinamento - Responsabilità penale - Legale rappresentante della persona giuridica

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, il legale rappresentante dell'ente imprenditore non può andare esente da responsabilità, quale persona fisica attraverso la quale la persona giuridica agisce nel campo delle relazioni intersoggettive, adducendo incompetenza tecnica o ignoranza dello stato degli impianti, atteso che tali eventuali condizioni gli impongono di astenersi dall'assumere incarichi dirigenziali oppure di conferire in modo formale ad esperti l'osservanza delle norme di settore.

    Cass. pen., sez. III, 28 aprile 2004, n. 19560 (ud. 25 marzo 2004), Buriola. (D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152; D.L.vo 18 agosto 2000, n. 258). [RV228460]


@Acque pubbliche e private - Inquinamento - Scarichi - Impianto di depurazione

L'impianto di depurazione di un normale insediamento produttivo costituisce parte integrante del medesimo ed ove limiti la propria funzione depurativa alle sole acque reflue del ciclo produttivo dà luogo ad uno scarico in senso tecnico disciplinato dal decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, atteso che solo ove il collegamento fra fonte di riversamento e corpo recettore sia interrotto si esula dal concetto di scarico ed i reflui vanno sottoposti alla disciplina sui rifiuti di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22.

    Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2004, n. 18347 (ud. 11 marzo 2004), P.M. in proc. Cravanzola. (D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152; D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22). [RV228457]


@Acque pubbliche e private - Inquinamento - Scarichi - Reflui industriali

L'immissione non autorizzata di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 59, comma primo, del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, e successive modificazioni, sia che lo sversamento avvenga in fognatura sia che sia effettuato in un pozzo a perdere, atteso che la fattispecie in questione punisce ogni indebita immissione di acque reflue nel suolo, nel sottosuolo ed in rete fognaria.

    Cass. pen., sez. III, 23 marzo 2004, n. 13967 (c.c. 11 febbraio 2004), Scarabello. (D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152; D.L.vo 18 agosto 2000, n. 258). [RV228449]


@Appello penale - Dibattimento - Rinnovazione dell'istruzione - Condizioni

Il giudice di appello ha l'obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento quando la richiesta di parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, che non sia stato esercitato o per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, o perchè la ammissione della prova, ritualmente richiesta nel giudizio di primo grado, sia stata irragionevolmente negata da quel giudice. (Nella fattispecie, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza di appello di rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento, in quanto doveva essere applicato il comma secondo dell'art. 603 c.p.p. - con conseguente obbligo di rinnovazione del dibattimento - avendo il giudice di primo grado, su istanza della parte civile, dichiarato la decadenza dal potere di richiedere l'ammissione dei testi ritualmente indicati dall'imputato nelle liste ex art. 468 c.p.p., solo adducendo l'omessa citazione degli stessi all'udienza, con ciò negandoPage 490 irragionevolmente il diritto alla prova, in quanto la valutazione circa l'ammissione dei testimoni prescinde dalla loro effettiva presenza all'inizio dell'udienza, presenza che è unicamente funzionale a garantire un piú ordinato svolgimento del processo, e che diviene necessaria dopo che sia stata disposta dal giudice l'assunzione della testimonianza stessa).

    Cass. pen., sez. VI, 19 febbraio 2004, n. 07197 (ud. 10 dicembre 2003), Cellini. (C.p.p., art. 603; c.p.p., art. 495; c.p.p., art. 468; att. c.p.p., art. 145). [RV228462]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Richiesta - Termine - Richiesta in appello

La richiesta di applicazione della pena formulata in base all'art. 5 della legge 12 giugno 2003 n. 134 (modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti) è inammissibile nei giudizi di appello, in quanto la norma, che consente detta richiesta nei procedimenti in corso di dibattimento per i quali sia decorso il termine di cui al primo comma dell'art. 446 c.p.p., è dettata con esclusivo riguardo ai giudizi di primo grado.

    Cass. pen., sez. VI, 28 aprile 2004, n. 19672 (ud. 26 marzo 2004), Cannistrà. (C.p.p., art. 444; c.p.p., art. 446; L. 12 giugno 2003, n. 134, art. 5). [RV228431]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Sentenza - Qualificazione giuridica del fatto e ricorrenza di circostanze - Sindacabilità in cassazione

In tema di patteggiamento, una volta che l'accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di applicazione della pena, non è consentito, fuori dai casi di palese incongruenza, censurare il provvedimento in punto di qualificazione giuridica del fatto e di ricorrenza delle circostanze, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione, ricorrendo in proposito un dovere di specifica argomentazione solo per il caso che l'accordo abbia presupposto una modifica dell'imputazione originaria. (Con l'occasione la Corte ha specificato che l'inammissibilità dell'impugnazione non viene meno per la sua eventuale provenienza dal procuratore generale, il quale - pur non essendo partecipe dell'accordo ed essendo titolare, a mente dell'art. 570 c.p.p., di un autonomo potere di impugnazione - non può far valere per il solo pubblico ministero una sorta di "ripensamento" che non è consentito all'imputato e non può essere oggetto di discriminazione tra le parti del negozio processuale).

    Cass. pen., sez. VI, 29 luglio 2003, n. 32004 (c.c. 10 aprile 2003), P.G. in proc. Valetta. (C.p.p., art. 444; c.p.p., art. 445; c.p.p., art. 606; c.p.p., art. 570). [RV228405]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Sentenza - Sussistenza della continuazione tra i reati - Motivazione

In tema di patteggiamento, una volta che l'accordo tra le parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza di applicazione della pena, non è consentito censurare il provvedimento con riguardo alla disciplina della continuazione tra i reati, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione, poichè il giudice è tenuto in proposito a verificare soltanto la corretta quantificazione della pena per il reato ritenuto piú grave, tenuto conto di eventuali circostanze, ed il contenimento entro il triplo dell'aumento applicato per i reati satellite. (Con l'occasione la Corte ha specificato che l'inammissibilità dell'impugnazione non viene meno per la sua eventuale provenienza dal procuratore generale, il quale - pur non essendo partecipe dell'accordo ed essendo titolare, a mente dell'art. 570 c.p.p., di un autonomo potere di impugnazione - non può far valere per il solo pubblico ministero una sorta di "ripensamento" che non è consentito all'imputato e non può essere oggetto di discriminazione tra le parti del negozio processuale).

    Cass. pen., sez. VI, 29 luglio 2003, n. 32004 (c.c. 10 aprile 2003), P.G. in proc. Valetta. (C.p.p., art. 444; c.p.p., art. 546; c.p., art. 81; c.p.p., art. 445;...

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