Mandato di arresto europeo e condizioni carcerarie in belgio: le incertezze della Suprema Corte

AutoreStefano Maffei
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giur giur
Rivista penale 10/2018
LEGITTIMITÀ
MANDATO DI ARRESTO
EUROPEO E CONDIZIONI
CARCERARIE IN BELGIO:
LE INCERTEZZE DELLA
SUPREMA CORTE
di Stefano Maffei (*)
SOMMARIO
1. Mandato d’arresto europeo tra cooperazione giudiziaria e
politiche penitenziarie transnazionali. 2. MAE, diritti umani
fondamentali e condizioni di detenzione nello Stato emitten-
te. 3. Omesso esame delle condizioni carcerarie allegate dal
ricorrente: sentenza 21 febbraio 2018, n. 8916 . 4. Mancata
allegazione di “concreti elementi” circa l’esistenza di un pe-
ricolo di violazione ex art. 3 CEDU: la sentenza 28 febbraio
2018, n. 9391.
1. Mandato d’arresto europeo tra cooperazione giudi-
ziaria e politiche penitenziarie transnazionali
Un quindicennio fa, ai tempi dell’approvazione della
decisione quadro 2002/584/GAI, il mandato di arresto eu-
ropeo venne salutato da più parti non soltanto come l’oc-
casione di un deciso superamento delle regole di estradi-
zione allora in vigore (f‌issate dalla Convenzione europea
di estradizione del 2017) ma addirittura come una rivo-
luzione “culturale” (1), tesa a garantire una più stretta
cooperazione giudiziaria tra i Paesi dell’Unione europea.
Permeava quella disciplina il concetto chiave dell’elevato
“grado di f‌iducia reciproca tra i Paesi membri” (2), im-
plicitamente riconosciuto dal legislatore europeo come
dato di realtà già consolidato e raggiunto. Il MAE nasceva
quindi in primo luogo come strumento di lotta alla crimi-
nalità transnazionale (3) e non è un caso che l’attenzione
fosse tutta rivolta alla semplif‌icazione delle procedure di
consegna, alla velocizzazione dei tempi e all’estromissio-
ne def‌initiva della politica da qualsiasi interferenza in
materia.
Restava inevitabilmente sullo sfondo, colpevolmente
trascurato dalla logica emergenziale post 11 settembre
2001, il tema della protezione dei diritti individuali dei
soggetti sottoposti alle procedure di consegna a seguito di
MAE. Quel tema riemergerà invece con forza negli anni
successivi, a fronte delle diverse modalità di recepimento
della Decisione quadro negli Stati dell’Unione, della cre-
scente crisi di f‌iducia tra gli Stati (anche a fronte di nume-
rose prove evidenti dei malfunzionamenti sistemici di vari
sistemi di giustizia penale domestica) nonché di numerosi
interventi della Corte di giustizia UE e di corti costituzio-
nali nazionali che hanno via via riallineato la disciplina
del MAE al valore della piena tutela dei diritti individuali
fondamentali dei soggetti interessati.
Se è innegabile come la normativa sul mandato di ar-
resto europeo si sia effettivamente tradotta in una velo-
cizzazione e semplif‌icazione delle procedure di consegna
(4), tra le conseguenze forse non volute (né previste) nel
2002 deve annoverarsi la crescita di attenzione delle auto-
rità giudiziarie richieste della consegna verso le politiche
penitenziarie e gli standard minimi assicurati ai detenuti
negli Stati emittenti. Questioni quali il sovraffollamento
carcerario, il livello delle condizioni igieniche degli isti-
tuti, la determinazione dello spazio individuale minimo
intramurario di una cella, il conteggio o meno degli arredi
nella superf‌ice lorda della cella stessa - un tempo di esclu-
sivo interesse per esperti di diritto penitenziario transna-
zionale e comparato - sono oggi assolutamente cruciali nel
giudizio sulla consegna a seguito di MAE.
Persistono peraltro diff‌icoltà e incertezze interpreta-
tive, dovute tanto ai diversi contesti locali quanto all’i-
nevitabile diff‌icoltà a reperire informazioni aggiornate e
aff‌idabili sui sistemi penitenziari stranieri. Non stupisce
quindi come anche la Corte di cassazione italiana, chia-
mata a valutare se la detenzione nelle carceri del Belgio
ponga un concreto rischio di trattamento ‘inumano e de-
gradante’ sia giunta a conclusioni pressoché opposte in
due recentissime pronunce, rese peraltro a pochi giorni di
distanza l’una dall’altra.
2. MAE, diritti umani fondamentali e condizioni di de-
tenzione nello Stato emittente
È noto come la disciplina di recepimento del mandato
d’arresto europeo (Legge 22 aprile 2005, n. 69 (5)) elenchi
una serie di “cause ostative”, ossia di motivi in presenza
dei quali la Corte d’appello che pure abbia accertato l’esi-
stenza di gravi indizi di colpevolezza ovvero una sentenza
irrevocabile di condanna, debba rif‌iutare la consegna del
soggetto ricercato. Nell’assetto delineato dalla Decisione
quadro, alcune delle cause sono riferite al mandato “pro-
cessuale”, altre a quello “esecutivo”, alcune sono obbliga-
torie e altre facoltative.
Tra i venti casi di rigetto contemplati dall’art. 18 legge
69/2005 (a cui peraltro se ne aggiungono altri previsti in
svariate disposizioni della medesima legge) l’attenzione si
appunta in questo scritto sulla disposizione secondo cui
il MAE non debba essere eseguito quando sussiste un se-
rio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla
pena di morte (6), alla tortura o ad altre pene o tratta-
menti inumani o degradanti (art 18, comma 1, lett. h), leg-
ge 69/2005). Tale norma peraltro traspone, pressoché let-
teralmente, il considerando n. 13 della Decisione quadro.
La causa ostativa in esame richiama evidentemente
principi già affermati dall’art. 3 della CEDU e dall’art. 4
della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e pare riferirsi
all’ipotesi di una sopravvenuta "crisi di f‌iducia" tra Paesi
membri dell’UE - ossia al caso in cui quello richiesto della
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tipo strutturale che possono tradursi nella sottoposizione
dei detenuti a trattamenti inumani o degradanti, eviden-
ziata dalla sentenza Vasilescu c. Belgio del 25 novembre
2014 della Corte Europea dei diritti dell’uomo, impone
all’autorità giudiziaria richiesta della consegna di verif‌ica-
re in concreto la sussistenza di tale rischio, correlata alla
condizione degli istituti carcerari dello Stato di emissione,
attraverso la richiesta di informazioni individualizzate
allo Stato richiedente relative al tipo di trattamento car-
cerario cui sarebbe, specif‌icamente, sottoposto il soggetto
interessato (sez. VI, n. 22249 del 3 maggio 2017, Bernard
Pascale, Rv. 269920).
In vero, a fronte di informazioni provenienti da fon-
ti autorevoli e accreditate e prima di tutto alla luce di
quanto rilevato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo
in sentenze riguardanti lo Stato di emissione del M.A.E.,
deve essere verif‌icato e ponderato il concreto rischio che il
soggetto, di cui è chiesta la consegna, possa trovarsi espo-
sto all’eventualità della sottoposizione a trattamenti inu-
mani o degradanti, correlati alle condizioni degli istituti
carcerari del Paese di emissione, in ragione del sovraffol-
lamento o di altri strutturali e non puramente contingenti
problemi.
D’altro canto, in presenza di una situazione di allarme,
originato dall’accertata esistenza di condizioni di rischio,
la necessaria verif‌ica implica che siano acquisite specif‌i-
che assicurazioni dallo Stato di emissione, che non posso-
no solo concernere prof‌ili di carattere generale, ma devono
essere individualizzate in relazione alla situazione riguar-
dante il soggetto interessato alla procedura di consegna.
Nel caso di specie, la sentenza Vasilescu contro Belgio
della Corte Europea dei diritti umani, pur non avendo as-
sunto la forma della sentenza c.d. pilota, ha tuttavia posto
in luce, tanto più con riguardo a taluni stabilimenti peniten-
ziari, problemi che ha def‌inito di tipo strutturale, cui sono
riconducibili situazioni che possono tradursi nella sottopo-
sizione dei detenuti a trattamenti inumani e degradanti.
La Corte territoriale ha dunque svalutato tale sentenza
ritenendo in maniera del tutto congetturale e indimostra-
ta - e senza procedere ai necessari accertamenti integra-
tivi previsti dalla L. n. 69 del 2005, art. 16 - che i problemi
strutturali rilevati dalla Corte e.d.u. siano stati risolti.
Oggetto di infondata ed illogica svalutazione da parte
della Corte territoriale deve inoltre ritenersi l’allegazione
del ricorrente circa il concreto rischio di sottoposizione
a trattamenti inumani o degradanti derivante dalle gra-
vi conseguenze prodotte nelle carceri belghe a seguito
di scioperi o altre azioni collettive degli agenti peniten-
ziari. Si tratta infatti di situazioni più volte segnalate dal
Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio
d’Europa e che hanno recentemente condotto il Comitato,
in mancanza dell’adozione di misure idonee, a emettere
in data 13 luglio 2017, ai sensi dell’art. 10 (2) della Con-
venzione istitutiva di detto Comitato, una Dichiarazione
Pubblica con la quale si denuncia il rischio di assoggetta-
mento di un gran numero di detenuti a trattamenti inu-
mani e degradanti, ovvero all’aggravamento di condizioni
detentive già intollerabili e all’esposizione dei detenuti a
pericolo per la loro salute e la loro stessa vita.
Da tutto ciò discende la sussistenza della violazione
della L. n. 69 del 2005, art. 16, in relazione all’art. 18, lett.
h) della stessa legge, e del denunciato vizio di motivazione
della sentenza impugnata. Si rende pertanto necessario
l’annullamento della sentenza in esame con rinvio ad altra
Sezione della Corte di appello di Napoli perché proceda
a nuovo giudizio circa l’eventuale sussistenza del motivo
di rif‌iuto di cui al citato art. 18, lett. h) in relazione al
tipo di trattamento carcerario cui sarebbe specif‌icamente
sottoposto il ricorrente (si veda Cass. sez. VI, n. 23277 del
1 giugno 2016, Barbu, rv. 26729, per il tipo di informazioni
necessarie e le conseguenze che possono discendere dalla
mancanza di risposte adeguate allo scopo) e alle misure
adottate dal Belgio per eliminare i rischi segnalati dal Co-
mitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Eu-
ropa con Dichiarazione Pubblica emessa in data 13 luglio
2017 ai sensi dell’art. 10 (2) della Convenzione istitutiva
di detto Comitato.
4. L’ulteriore motivo di ricorso risulta assorbito, doven-
do la valutazione delle condizioni per l’eventuale rinvio
della consegna ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 24, es-
sere svolta alla stregua della concreta situazione esistente
al momento del giudizio di rinvio, anche, eventualmente,
sulla base della documentazione di cui si rendesse neces-
saria l’acquisizione (sez. VI, n. 14764 del 27 marzo 2013,
Furman, Rv. 257020).
Il Collegio rammenta a tale riguardo che la facoltà
riconosciuta alla Corte d’appello di rinviare la consegna
per consentire alla persona richiesta di essere sottoposta
a procedimento penale in Italia per un reato diverso da
quello oggetto del mandato d’arresto, implica una valu-
tazione di opportunità che deve tener conto non solo dei
criteri desumibili dalla L. n. 69 del 2005, art. 20, (ossia, la
gravità dei reati e la loro data di consumazione), ma anche
di altri parametri, quali, ad esempio, lo stato di restrizio-
ne della libertà, la complessità dei procedimenti, la fase o
il grado in cui essi si trovano, l’eventuale def‌inizione con
sentenza passata in giudicato, l’entità della pena da scon-
tare e le prevedibili modalità della sua esecuzione (sez.
VI, n. 26877 del 25 maggio 2017, P.G. in proc. Alexe, Rv.
270164; sez. VI, n. 10892 del 5 marzo 2014, B., Rv. 259340).
Del tutto generica e in ogni caso infondata l’eccezione
riguardante la notif‌ica al ricorrente dell’avviso di f‌issazio-
ne dell’odierna udienza, notif‌icato regolarmente al ricor-
rente presso il difensore di f‌iducia.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui alla
L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5. (Omissis)

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