Maltrattamenti familiari e diversa religione praticata dai coniugi

AutoreMaria Rosaria Piccinni
Pagine89-116

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@1. Incidenza della disparità di religione tra coniugi nella definizione degli indirizzi di vita familiare

La diversità di credo religioso tra i coniugi può dar luogo a profonde divergenze in ordine alla definizione degli indirizzi di vita in comune fino a sfociare in atti, sia pure episodici, di violenza. La VI Sezione Penale della Corte di Cassazione, con Sentenza del 14 dicembre 2006, n. 407891 ha ritenuto di non Page 90 ascrivere tale condotta alla fattispecie di reato di maltrattamenti, in quanto priva del carattere di abitualità e del dolo uni Page 91 tario di vessazione, ma espressione di un più profondo disagio derivante appunto dalle diverse convinzioni in materia religiosa.

Il primo profilo da esaminare è dunque relativo all'esercizio della libertà religiosa all'interno del nucleo familiare, ed alle problematiche cui può dar vita una diversità di impostazione confessionale nell'ambito della coppia. Il fattore religioso ha una valenza peculiare nel complesso dei diritti dell'uomo, in quanto è una prospettiva privilegiata adatta a riempire di contenuti la dignità stessa della persona umana2 ed inevitabilmente influisce sulle scelte, sulle convinzioni più profonde dell'essere e sulla sua vita sociale. Nell'epoca attuale, in particolar modo, si riscontra una particolare forma di incidenza sociale della religione e dei valori religiosi che, indipendentemente dal grado della pratica, esistono sempre sullo sfondo dell'esistenza umana e sono sottoposti ad interpretazione soggettiva3.

La nostra Costituzione, primo e fondamentale riferimento per l'ordinamento giuridico italiano, riconosce nei suoi artt. 29, 30 e 31 la famiglia come una società naturale fondata sul matrimonio: essa è una "formazione sociale", come recita l'art. 2, nella quale si svolge e si completa la personalità. La famiglia, per la nostra tradizione civile, non è istituto esclusivamente privatistico, ma uno snodo tra persona e società, e perfino tra persona e Stato, se già il pensiero romano antico la considerava principium urbis et quasi seminarium rei publicae, "principio della città e una specie di vivaio dello Stato"4. Essa, dunque, non è solo un "ambiente" in cui si muove la somma degli individui che la compongono, ma è "sede" in cui si apprendono e si sviluppano gesti di responsabilità interindividuali che toccano la sfera degli altri, primariamente dentro un rapporto di amore e di fedeltà liberamente accettata da cui nasce anche la caratteristica della donazione, che si riversa sulla società e ne diminuisce la conflittualità. Page 92

In una società come quella attuale, che sull'onda dei processi di globalizzazione si va caratterizzando in senso sempre più multiculturale e pluralista, va diffondendosi il fenomeno dei matrimoni in cui i coniugi sono ispirati da tradizioni religiose appartenenti a visioni antropologiche diversificate5, e pertanto diventa fondamentale affrontare la questione della libertà religiosa all'interno della famiglia, che è il luogo privilegiato in cui il costume sociale filtra nell'individuo e viene fissato nella coscienza, diventando abitudine o ethos6.

Il caso di specie è emblematico perché la «questione religiosa» viene ad essere considerata alla base di altri più gravi episodi di violenza familiare, ponendosi in rapporto di causaeffetto rispetto alla condotta ingiuriosa e lesiva del coniuge nei confronti della moglie.

A questo proposito occorre preliminarmente sottolineare che il nostro ordinamento riconosce e tutela il bisogno di trascendenza dell'individuo ad ogni livello; infatti, l'art. 19 della Costituzione estende il suo raggio di protezione fino a ricomprendere qualsiasi professione di fede e riguarda non solo l'esercizio dei relativi e specifici atti di culto, ma anche la propaganda e il proselitismo, con l'unico limite per i riti derivante dal buon costume7.

La libertà religiosa, come diritto indisponibile, inalienabile, inviolabile, intransigibile e personalissimo, vige senza riserve Page 93 anche nel rapporto coniugale, nel senso che ciascun coniuge è libero di credere o non credere, aderire o non aderire ad una religione positiva, e può cercare di influire sull'altro, in modo lecito e nella salvaguardia della pacifica convivenza e dell'unità familiare8. Ciò deve avvenire con tutte le cautele richieste dalla delicatezza del caso, nel massimo rispetto della personalità dell'altro coniuge9, senza ombra di fanatismo o integralismo, nell'interesse preminente della pacifica ed ordinata convivenza e dell'unità familiare. Poiché l'ordinamento italiano si configura come essenzialmente laico e rispettoso delle scelte individuali, rientra nel diritto di ciascun coniuge anche cercare di modificare la convinzione dell'altro in materia religiosa, cercare di fargli acquisire una fede perduta o mai posse- duta, avvicinarlo ad una autentica esperienza religiosa, allontanarlo dalla miscredenza o da superstizioni.

Non potrebbe essere diversamente, dato il principio di eguaglianza giuridica e morale dei coniugi senza distinzione di religione, che si sostanzia anche nella leale e costruttiva collaborazione per quanto riguarda la definizione degli indirizzi di vita comune, senza però che il dialogo ed il confronto sfocino in esacerbati contrasti e diano luogo ad episodi di violenza come nel caso in esame.

In virtù del diritto di libertà religiosa, infatti, ciascuno ha il diritto di mantenere o di mutare la propria fede, e di parteci- pare altresì, con il proprio bagaglio culturale e confessionale, alla determinazione dell'indirizzo della vita familiare, ed in particolare all'educazione della prole, facendo conoscere, senza imporla, Page 94 la nuova religione, purché non si traduca in pratiche contrarie alla morale ed all'ordine pubblico10.

Per questo la giurisprudenza ha più volte statuito, non solo che ciascun coniuge è libero di cambiare la propria fede senza che ciò possa costituire motivo di addebito dell'eventuale separazione (ancorché «tale mutamento, non condiviso né tanto meno apprezzato dall'altro, abbia ad incidere sull'armonia del ménage familiare»)11, ma anche che un tale cambiamento non può, di per se stesso, influire sull'eventuale regolamentazione dell'affidamento dei figli, poiché dal matrimonio non nasce alcun dovere di conformità e stabilità al credo professato al momento della celebrazione12.

Il considerare la disparità di culto o la successiva conversione di un coniuge come fattore scatenante della crisi familiare, tanto da motivare di per sé una richiesta di separazione o addirittura, come nel caso che stiamo esaminando, un comportamento vessatorio e lesivo nei confronti del coniuge, è grave e pericoloso per le conseguenze che può produrre: in primis perché una valutazione di questo genere, che si basi sull'identificazione dei soggetti in funzione della loro appartenenza religiosa, rischia di trasformarsi in un giudizio di valore sul contenuto etico e ideologico delle singole confessioni religiose, andando di conseguenza a minare l'identità dell'individuo che si forma nell'esercizio dei suoi diritti personalissimi e fondamentali13, i quali devono trovare il loro luogo di svolgimento privilegiato proprio all'interno del nucleo familiare. Page 95

L'esame della sentenza in oggetto, quale caso emblematico, evidenzia come i contrasti tra marito e moglie fossero motivati da profonde divergenze che riguardavano anche l'educazione dei figli, che la moglie, Testimone di Geova, intendeva allevare secondo la propria fede, in contrasto con il marito; strettamente legata alla questione della disparità di culto tra coniugi è l'ipotesi nella quale il coniuge e genitore voglia coinvolgere nella pratica del proprio culto anche i figli minori14.

Anche per ciò che riguarda l'importante aspetto dell'educazione religiosa dei figli, è pacifico che tra i diritti e i doveri che discendono dal diritto di libertà religiosa rientra quello di educare i figli nella propria fede: ciò non può essere assolutamente impedito, a meno che il messaggio religioso che si voglia far assimilare ai figli contrasti con i fondamenti giuridici dello Stato e del suo ordinamento, non essendo possibile stabilire, fuori di un'ipotesi siffatta, una gerarchia di valore tra le diverse confessioni religiose, fermo restando, tuttavia, che se il minore è già sufficientemente maturo, i genitori dovranno attribuire prevalenza alla volontà del figlio15. Ê una scelta rispetto alla quale i poteri pubblici rimangono doverosamente neutrali, salvo i casi di intervento delle autorità, come previsto dall'art. 316 c.c. diretto a tutelare la salute fisica o psichi Page 96 ca del minore, laddove le opzioni religiose dei genitori possano essere di grave nocumento ad essa, oppure in caso di grave contrasto tra i genitori nella scelta dell'educazione religiosa da impartire ai propri figli, soprattutto in seguito alla separazione personale dei coniugi, se tale contrasto può determinare un pregiudizio nella crescita equilibrata del minore16. Ciò che è importante è che l'educazione religiosa avvenga nel rispetto delle inclinazioni e della libertà degli stessi figli che, ancor prima della maggiore età, devono poter scegliere liberamente se e in cosa credere17, e che dall'osservanza dei precetti religiosi non conseguano atteggiamenti di vita che comportino violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, verso il coniuge o verso i figli, tali da rendere intollerabile la convivenza coniugale.

Se la facoltà di prendere liberamente parte alle assemblee ed ai riti ed il recarsi abitualmente nei luoghi di preghiera non può trovare alcun limite, rientrando pienamente tra le modalità di esercizio del diritto di libertà religiosa previste dall'art. 19 Cost., qualche profilo di incompatibilità con i doveri derivanti dalla vita familiare può derivare per esempio nel caso in cui il coniuge pretenda di stabilire la residenza familiare in una determinata città proprio per la vicinanza con il luogo di culto, in contrasto con le esigenze degli altri membri della...

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