Profili penali di malpractice medico-chirurgica connessa all’impiego di strumentazione diagnostica radiologica o derivante dalla somministrazione di radiofarmaci in situazioni fisiologiche peculiari: uno sguardo particolare al reato speciale di «omessa anamnesi» del paziente in stato di gravidanza o durante la fase dell’allattamento al seno (art. 10/1 E 14/3 D.L.vo 26 maggio 2000, n. 187)

AutoreFrancesco Crimi
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@1. I termini della vicenda empirico-fattuale ed il sentiero ermeneutico seguito dal codice delle leggi

– La sentenza da cui trae spunto il presente contributo riguarda la corretta individuazione della condotta doverosa richiesta dal legislatore nel caso in cui debbano attendersi attività medico-chirurgiche di tipo diagnosticio o terapeutico, le quali comportino l’impiego di strumentazioni radianti ovvero la somministrazione di radiofarmaci nei confronti di soggetti che versino in particolari condizioni fisiologiche o patologiche.

Segnatamente, si tratta di comprendere quale sia la condotta doverosa rientrante nella nozione di «accurata anamnesi» intorno a cui ruota l’intero modulo incrimiantore della fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 10, comma primo, D.L.vo 26 maggio 2000 n. 187 ed il cui disattendimento attiva il detonatore sanzionatorio della fattispecie omissiva propria in parola (id est art. 14, comma terzo, D.L.vo cit.).

Ma prima di addentrarci nello studio della fisionomia tipica della figura criminosa in discorso, appare opportuno entrare in medias res, esaminando la concreta vicenda da cui ha tratto linfa l’epilogo condennatorio del giudice della nomofilachia e che qui si commenta.

Il giudice di legittimità ha confermato la condanna irrogata precedentemente dai giudici del merito ad un medico di base per avere, il medesimo, prescritto ad una paziente un esame a raggi X ionizzanti interessante un distretto anatomico ed organico-funzionale particolarmente delicato e caratterizzantesi per un elevato coefficiente di assorbimento delle stesse radiazioni ionizzanti.

Nel caso sub judice l’intervento medico-diagnostico (id est un esame ecografico) aveva, infatti, interessato il basso ventre e l’apaprato urinario del paziente, il quale accusava forti dolori in corrispondenza dell’apparato scheletrico-vertebrale.

Ebbene, in ipotesi di tal genere, trattandosi peraltro di paziente di sesso femminile, il medico di base avrebbe dovuto – secondo gli organi giusdicenti susseguitisi nel corso dell’intera vicenda processuale – procedere ad un’accurata anamnesi volta a stabilire se la paziente versasse in stato di gravidanza ovvero se la stessa fosse uscita da poco da una gestazione e attraversasse la fase fisiologica dell’allattamento al seno. Invero, il medico di base, nel corso della prima visita, si era limitato a formulare quesiti volti ad accertare eventuali elementi sintomatologici di patologie in atto; segnatamente, l’imputato si limitava ad accertare l’eventuale presenza di dolori mestruali e/o l’irregolarità del ciclo; domande, queste ultime, volte ad elaborare una diagnosi del processo morboso intuituivamente in atto, inferendo da reperti sintomatologici precisi meccanismi eziopatogenici; quesiti non certo volti a stimare la sussistenza, nello specifico, di condizioni proibitive dell’esposizione a procedere diagnostiche o trattamentali caratterizzatesi per l’impiego di agenti radianti ad elevato assorbimento da parte di determinati organi e da parte di soggetti particolarmente esposti in ragione delle proprie condizioni fisiologiche (come, appunto, lo stato di gravidanza o l’allattamento al seno del neonato).

La paziente, quindi, valutando la persistenza di dolori in corrispondenza della schiena, si rivolgeva ad un medico specialista, il quale consigliava l’effettuazione di un esame dell’apparato urinario. L’esame ecografico, quindi, veniva prontamente prescritto dal proprio medico di base senza in alcun modo valutare, neanche nel corso della seconda visita, la sussistenza di un possibile stato di gravidanza.

La condotta omissiva serbata dal medico di base è stata qualificata antidoverosa alla stregua del parametro normativo di cui all’art. 10, comma primo, D.L.vo 26 maggio 2000 n. 187. Il custode delle leggi, infatti, allineandosi con il dictum del giudice del merito, osservava come il medico di base non avesse, al momento della prescrizione, espletato alcuna doverosa anamnesi per accertare un possibile stato di gravidanza della paziente e (valorizzando impropriamente una condotta positiva anteatta rispetto all’assunzione della qualifica soggettiva imposta dalla previsione penale complementare) come le domande rivolte alla paziente nel corso della prima visita in ordine alla sussistenza di dolori mestruali ed alla regolarità del ciclo non presentassero in alcun modo la finalizzazione preventiva pur richiesta dalla norma incriminatrice concretamente disattesa, essendo semplicemente volte ad individuare la causa del dolore lamentato dalla paziente e non certo la sussistenza di...

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