Malattie professionali e nesso di causalità: oscillazioni tra la necessaria incertezza scientifica e le ambiguità della certezza processuale
Autore | Mattia Miglio - Filippo Ferri |
Pagine | 1099-1106 |
1099
giur
Rivista penale 12/2015
MERITO
MALATTIE PROFESSIONALI
E NESSO DI CAUSALITÀ:
OSCILLAZIONI TRA LA
NECESSARIA INCERTEZZA
SCIENTIFICA E LE
AMBIGUITÀ DELLA CERTEZZA
PROCESSUALE
di Mattia Miglio, Filippo Ferri
SOMMARIO
1. La sentenza del Tribunale di Udine e la sua aderenza ai
principi dettati dalla sentenza Cozzini. 2. Oscillazioni e con-
trasti sulla ricostruzione del nesso di causalità nella recente
giurisprudenza. 3. Un esempio di distorsione della probabilità
logica.
1. La sentenza del Tribunale di Udine e la sua aderenza
ai principi dettati dalla sentenza Cozzini
La sentenza in commento offre l’occasione per qualche
spunto di riflessione all’interno del tormentato percorso
giurisprudenziale in tema di malattie professionali deri-
vanti da esposizione a sostanze cancerogene.
Nella sostanza, l’ex direttore tecnico e di produzione di
un’azienda friulana operante nel settore del ferro e dell’ac-
ciaio veniva rinviato a giudizio per rispondere dell’omici-
dio colposo di due operai che – secondo la ricostruzione
della Pubblica Accusa – avevano contratto il mesotelioma
pleurico a causa della mancata adozione delle adeguate
misure di tutela e di prevenzione volte a prevenire l’inala-
zione delle fibre di amianto.
Già leggendo il capo d’imputazione, emergeva imme-
diatamente che i due operai erano stati sottoposti a espo-
sizioni tossiche ben prima dell’assunzione della carica
dirigenziale da parte dell’imputato, il quale era infatti
succeduto a terzi nella posizione di garanzia rilevante ai
fini penali.
Proprio per tali ragioni, la questione di maggior ri-
levanza sottoposta al vaglio giudiziale consisteva nella
valutazione circa la sussistenza del nesso causale tra
l’accelerazione del decorso di una patologia tumorale e
l’esposizione professionale nel periodo ultradecennale in
cui l’imputato aveva ricoperto tale carica (1).
A tal fine, il Tribunale argomenta le proprie statuizioni
prendendo spunto dall’insegnamento offerto dalla senten-
za Cozzini, precisando che Cass. 43786/10 (2) “ha riman-
dato al Giudice di merito il compito di verificare se presso
la comunità scientifica sia radicata su solide e sufficienti
basi, una legge scientifica in ordine all’effetto accelerato-
re della protrazione dell’esposizione dopo l’iniziazione del
processo cancerogenetico; in caso affermativo, se si sia
in presenza di una legge universale o solo probabilistica
[…]; nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia
solo probabilistica, se l’effetto acceleratore si sia determi-
nato nel caso concreto, alla luce di definite e significative
acquisizioni fattuali […]”(3).
Sennonché, ad avviso dell’organo giudicante, il quadro
probatorio emerso in sede dibattimentale non era stato in
grado di fornire una legge scientifica condivisa unanime-
mente dalla comunità internazionale, che fosse in grado di
provare al di là di ogni ragionevole dubbio la riduzione del
tempo di latenza quale effetto conseguente alla protrazio-
ne temporale dell’esposizione genotossica.
Pertanto, in considerazione dell’impossibilità di attribu-
ire una qualche rilevanza causale alle inalazioni tossiche
avvenute durante la gestione dell’imputato, il Tribunale
escludeva ogni responsabilità penale in capo a quest’ulti-
mo, considerata l’assenza di “elementi per ritenere dimo-
strato al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’esposizione
all’amianto dei lavoratori nel periodo in cui in azienda era
operativo il sig. X., rispetto all’esposizione complessiva alla
sostanza nociva, abbia avuto una efficacia determinante
nella causazione della malattia neoplastica o nella signifi-
cativa anticipazione della sua insorgenza”(4).
Approdando a tale esito, la sentenza ribadisce la ne-
cessità di procedere ad una puntuale e rigorosa indagine
sulla sussistenza della causalità individuale, anche a costo
di constatare che l’indagine su ogni singola patologia tu-
morale è un percorso irto di difficoltà, se non addirittura
impossibile, alla luce dell’incertezza scientifica che con-
trassegna l’intera materia.
Infatti, secondo tale impostazione, uno stato di incer-
tezza scientifica in cui la comunità internazionale non con-
sidera affidabile alcun postulato teorico-scientifico, non
può mai indurre il giudice a divenire lui stesso un creatore
di teorie scientifiche da applicare nel caso concreto (5).
Un atteggiamento rigorosamente scientifico, infatti,
deve ammettere l’ignoranza della scienza in materia e non
può mai spingersi sino alla pretesa di spiegare autonoma-
mente e sulla base di proprie intuizioni ciò che la scienza
non è in grado di spiegare (6).
Certo, dinanzi all’opinione pubblica, tale scelta può
apparire poco accettabile sotto un profilo prettamente
sociologico, in quanto l’organo giudicante di fatto abban-
dona l’applicazione dello strumento penale in tali ambiti
nonostante sia probabile la riconducibilità del meccani-
smo patogentico alle esposizioni professionali (7). A detta
di parte della dottrina, infatti, questa soluzione mette in
secondo piano l’elemento secondo cui la malattia è stata
contratta durante l’attività lavorativa e riduce così il giu-
dice a una sorta di investigatore della c.d. fibra killer che
ha innescato la patogenesi (8) al solo fine di individuare il
garante che ha impedito l’inalazione.
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