La “mala gestio” in assicurazione

AutoreEdgardo Colombini
CaricaIspettore assicurativo, Pino Torinese

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Di “mala gestio” si parla non infrequentemente nel campo della assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ma non possiamo dimenticare che si tratta di una patologia individuabile anche al di fuori del predetto ambito.

La “mala gestio” si può invero riscontrare nella gestione di qualsiasi sinistro relativo a contratto di assicurazione della responsabilità civile.

Come si concretizza la cattiva gestione in una pratica di liquidazione di un sinistro da parte della compagnia di assicurazione cui il sinistro stesso sia stato denunciato?

La casistica è assai variegata.

Può essere la conseguenza di inerzia o lentezza di fronte alle richieste risarcitorie del danneggiato; può realizzarsi attraverso una eccessiva fiscalità e litigiosità della compagnia assicuratrice o dello stesso personale periferico; può essere dovuta ad una organizzazione sul territorio deficitaria. Ne consegue che per i ritardi nello svolgimento di trattative volte a conseguire una soluzione transattiva della vertenza oppure per il rifiuto di provvedere al pagamento del massimale assicurato, da considerare insufficiente, si determinano oneri risarcitori maggiori in funzione delle spese legali del danneggiato (che fanno parte integrante della liquidazione del danno e non possono essere conteggiate a parte entro il limite del quarto previsto per le spese di resistenza alle domande avversarie, ai sensi del terzo comma dell’art. 1917 c.c.). Se si aggiungono poi - quando del caso - rivalutazione monetaria del danno e interessi si può arrivare al superamento del massimale garantito in polizza. Ed è allora che, se l’assicurato non ritiene di acconciarsi al pagamento di tale supero, nasce la questione circa la possibile “mala gestio” della vertenza da parte della compagnia dia assicurazione.

Ma - si noti - era ed è nel rapporto contrattuale assicuratore-assicurato che prendono corpo questi contrasti e possibili controversie giudiziarie, contrasti e controversie che - come intuibile - non hanno ragion d’essere sino a quando non sia travalicato nell’onere risarcitorio il limite del massimale assicurato: infatti, sino a quando non ci si ritrovi al di là di quel limite, qualsiasi malaccorta condotta, sia stragiudiziale che giudiziale, colpisce soltanto l’assicuratore. Talora si parla anche, in queste situazioni, di “mala gestio”, ma in senso lato, dal momento che l’espressione si ricollega - come abbiamo detto - essenzialmente al rapporto contrattuale fra compagnia di assicurazione e assicurato. Questo rende anche ragione del motivo per il quale appare ravvisabile nella gestione del sinistro da parte dell’assicuratore - specialmente al di fuori del set- tore RC Auto, attese le peculiari caratteristiche introdotte dalla legislazione in materia - la figura del mandato irrevocabile nell’esclusivo interesse dell’assicuratore stesso (“procurator in rem propriam”) come già si leggeva in lontane pronunce della Suprema Corte, fra cui Cass. 22 ottobre 1963, n. 2817 (in Assicurazione 1964, mass. 4) ricordata dal MONTEL (Polizza tipo per l’assicurazione dei rischi automobilistici, in Assicurazione 1965, 1, 254); teoria alla quale aderì - sempre in epoca lontana - il CAVATORTA (vedi in Casi pratici in materia di assicurazione, Ed. Casa Molisana del libro, pp. 236 ss.).

Alquanto omogeneo poi, già in passato come in epoca più recente, l’orientamento di considerare la necessità di valutare il contegno della compagnia di assicurazione non in base alle successive conclusioni della vertenza, ma in relazione agli elementi di valutazione esistenti al momento in cui la compagnia stessa aveva effettuato la sua scelta operativa: non quindi un giudizio “secundum exitum litis”, ma “ex ante”.

Ed in questo senso ebbe a pronunciarsi la Corte di cassazione (sez. III, 5 febbraio 2004, n. 2195, in questa Rivista 2005, 71) scrivendo che la responsabilità per “mala gestio” dell’assicuratore della responsabilità civile è configurabile «con valutazione da effettuarsi non già “ex post” (alla stregua dell’esito del giudizio) bensì “ex ante” (con riferimento cioè alla situazione preesistente ed alla probabilità dell’esito del giudizio secondo il parametro della diligenza media che si richiede all’assicuratore».

Da questo criterio si discosta il comma 10 dell’art. 148 del Codice delle Assicurazioni, ma occorre tener presente che la normativa codicistica in questione opera in ambito diverso poiché rappresenta un intervento sanzionatorio eventuale alla conclusione di una causa definita con sentenza a favore del danneggiato, quando la somma in precedenza offerta fosse stata inferiore alla metà di quella liquidata: intervento sanzionatorio eventuale la cui decisione è rimessa all’ISVAP per gli accertamenti relativi all’osservanza delle disposizioni del capo IV del Codice delle

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Assicurazioni sulle procedure liquidative, cui possono seguire le sanzioni previste dall’art. 315 cod. ass.. E tanto avviene a prescindere da qualsiasi possibile pregiudizio economico che l’assicurato abbia riportato a seguito di “mala gestio” della vertenza, relativa al risarcimento del danno, da parte della compagnia di assicurazione.

L’art. 148 cod. ass. ha infatti apportato al comma 10 una sostanziale modifica di quanto era stato disposto al comma 15 dell’art. 3 della L. n. 39/1977 secondo il quale, in caso di sentenza a favore del danneggiato, il giudice, quando vi fosse stata una notevole sproporzione fra la somma liqui- data e quella offerta dall’impresa di assicurazione e avesse accertato che la sproporzione era dovuta a dolo o colpa grave dell’impresa stessa, d’ufficio condannava l’impresa a pagare all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della strada, una somma non superiore alla differenza fra l’offerta e il liquidato al netto di rivalutazione e interessi.

Si trattava di una disposizione alquanto rigida nei confronti delle compagnie di assicurazione che aveva dato adito a controversie giudiziarie sulle quali era intervenuta la Suprema Corte anche a Sezioni Unite.

Valga il richiamo, fra le altre, alla decisione del 17 giugno 1992, n. 7452 delle S.U. (in questa Rivista 1992, 812) secondo la quale “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, la condanna dell’impresa assicuratrice, in caso di notevole sproporzione (per dolo o colpa grave) fra l’importo da essa offerto al danneggiato e quello liquidato, al pagamento di una somma all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, secondo le previsioni dell’art. 3, comma 9, del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857 (convertito, con modificazioni, in L. 26 febbraio 1977, n. 39) non integra una sanzione pecuniaria, irrogabile ed opponibile in base alla disciplina fissata per le pene pecuniarie amministrative (come invece quella di cui ai commi ottavo, decimo e undicesimo di detto art. 3), ma configura una pronuncia giudiziale, inclusa nella sentenza resa a favore del danneggiato, che l’obbligato può impugnare con i nor- mali mezzi e nei confronti degli originari contraddittori (non nei confronti dell’INA il quale è mero destinatario del versamento, non parte nel giudizio di formazione del titolo)”.

Analogo orientamento si era registrato in una succes- siva sentenza che si era anche pronunciata sulle sanzioni pecuniarie previste dai commi 10, 11 e 12 dell’art. 3 della L. n. 39/1977 e successive interazioni (non più esistenti nel testo dell’art. 148 cod. ass.. Recitava, infatti, questa sentenza del 26 ottobre 1993, n. 10637 (in questa Rivista 1994, 13) che “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, la condanna della impresa assicuratrice (in caso di notevole sproporzione, per dolo o colpa grave, fra l’importo dall’impresa offerto al danneggiato e quello liquidato) al pagamento di una somma all’Istituto nazionale delle assicurazioni, gestione autonoma del Fondo di garanzia per le vittime della strada, secondo la previsione del nono comma dell’art. 3 D.L. 23 dicembre 1976, n. 857 (convertito, con modifiche, in L. 26 febbraio 1977, n. 39) configura una pronuncia giudiziale inclusa nella sentenza resa in favore del danneggiato che l’obbligato può impugnare con i normali mezzi nei confronti degli originari contraddittori; al contrario, la sanzione pecuniaria prevista per l’inosservanza, da parte dell’assicuratore, dei termini prescritti nello stesso art. 3 è irrogabile dall’ufficio provinciale per l’industria, il commercio e l’artigianato (che ne versa ugualmente l’importo all’Istituto nazionale delle assicurazioni, Fondo di garanzia per le vittime della strada) ed è opponibile in base alla disciplina fissata per le pene pecuniarie amministrative”.

Il 16 maggio 1995, sempre le Sezioni Unite, avevano invece annullato con rinvio una decisione di un Conciliatore con la quale “nel condannare una compagnia di assicurazione al risarcimento dei danni nei confronti del danneggiato da un sinistro stradale, era stata inflitta alla compagnia medesima una sanzione pecuniaria di importo pari alla somma liquidata al danneggiato, in quanto tale statuizione, essendo in astratto corrispondente all’applicazione della sanzione prevista dall’art. 3 della L. n. 39/1977 per il caso di inerte o dilatorio comportamento dell’assicuratore (che ometta di effettuare alcuna offerta al danneggiato, ovvero gli trasmetta in ritardo la somma accettata), riguarda una violazione non sanzionabile dal giudice della causa risarcitoria, essendo competenti, al riguardo, gli uffici provinciali per l’industria, il commercio e l’artigianato ed applicandosi alle indicate sanzioni le disposizioni della L. n. 689 del 1981 (Cass. civ., S.U., n. 5390, in questa Rivista 1996, 205).

Arrivando così ad una più recente decisione nella quale si precisava che “il potere di irrogare la sanzione...

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