Il danno da lutto: considerazioni psicologiche e giuridiche sul pregiudizio alla qualità della vita

AutoreDanilo Riponti/Laura Spinazzè
Pagine1063-1069

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La morte è l'evento che pone termine alla vita dell'Uomo e gli incute profondo timore, un timore ancestrale legato alla fine di una esperienza e al mistero di ogni dimensione o considerazione «oltre la vita».

La paura della morte è universale e la nostra società, razionalista e prevalentemente incentrata su valori materialistici, ne ha fatto un tabù per molti sino ad ora insuperabile. Esiste una vera e propria tendenza a rimuovere la morte, perciò essa tende a venire confinata dietro le quinte della vita collettiva, isolando i morenti stessi. Oggi, siamo in grado, in molti casi, di attenuare il dolore fisico, ma non di partecipare alla morte in termini di solidarietà collettiva.

La stessa religione cristiana, che vede nella morte il traguardo e il premio per chi ha conformato la propria vita ai valori cristiani, non ha nella generalità dei casi fugato la grande apprensione per questo momento cruciale, finale dell'esperienza vitale, e ciò anche in relazione alla morte di persone congiunte o comunque legate da vincoli affettivi.

Il dolore derivante dalla morte di una persona cara è forse una delle più intense esperienze che dobbiamo affrontare durante la nostra vita. Esso penetra in profondità la nostra persona, tocca le nostre emozioni, può modificare le relazioni interpersonali e persino il nostro aspetto fisico.

La vita, sin dal suo inizio, è marcata da continue separazioni. Queste dovrebbero promuovere nell'essere umano quel processo di maturazione psichica e di individuazione tale da renderlo capace di affrontare adeguatamente il distacco e le sensazioni di vuoto e solitudine profonda causate dall'evento.

In ogni gruppo umano, la sua specifica cultura si è incaricata di codificare un processo di lutto, di dare cioè origine e forma ad un insieme di atteggiamenti, di comportamenti e di riti atti ad esprimere il cordoglio (inteso come l'insieme delle reazioni emozionali e comportamentali che caratterizzano il travaglio psicologico della persona che ha subito la perdita). I riti e le forme del lutto hanno sovente un significato correlabile direttamente alla dimensione religiosa dell'evento (e talvolta alla sua sacralità), e comunque rivestono la funzione di permettere e di facilitare l'espressione del dolore soggettivo, in modi culturalmente accettati e riconosciuti, costituendo una forma di sostegno psicosociale.

Il lutto ha la funzione di aiutare la persona ad effettuare il passaggio attraverso l'esperienza del cordoglio, rendendola collettiva, e quindi condivisa con altri esseri. Tale condivisione ha la funzione di renderla più tollerabile ed accettabile, evitando che si vengano a strutturare danni, della natura più varia, conseguenti all'evento della morte.

Il cordoglio è un processo caratterizzato da alcune fasi fondamentali attraverso le quali l'essere umano deve passare, sperimentando varie difficoltà e avendo bisogno di tempi diversi, a seconda del suo stato di maturità psichica ed esistenziale e a seconda dell'armonia interiore sviluppata. Bowlby riconosce le seguenti fasi:

- shock: stordimento

- protesta: incredulità e negazione

- disperazione: collera

- separazione: depressione, accettazione, elaborazione dell'esperienza.

Il cordoglio è legato non solo alla perdita della persona cara ma anche a tutto quello che essa offriva al superstite in quanto a condivisione di aspetti fisici, psicologici, sociali e spirituali:

- il suo appoggio affettivo

- le sue capacità intellettuali e professionali

- i progetti e le aspettative costruiti insieme

- il suo reddito economico

- il suo appoggio morale e spirituale.

Lo stress psico-fisico causato dal cordoglio può arrivare ad influire negativamente sullo stato di salute fisica e psichica dei sopravvissuti. L'elaborazione positiva del cordoglio consiste in un «far morire il morto dentro di sé», che non significa abbandonare o dimenticare la figura del congiunto per evitare la sofferenza del ricordo e della deprivazione, ma invece prevede l'affievolirsi delle manifestazioni di dolore, lo scioglimento dei rimorsi e dei sensi di colpa e la ristrutturazione di un nuovo ordine di interazioni sociali e di attività. Si crea nella persona una sempre più marcata disponibilità a vivere il presente volta al futuro, invece che al passato.

Attraverso questa elaborazione la figura del congiunto persiste quale patrimonio affettivo e ricordo positivo, in assenza di negatività o complicazioni irrisolte.

La «crisi del cordoglio» si presenta come il rischio di non poter trascendere lo stato della situazione luttuosa. Tale rischio consiste nel restare fissati in essa, causandosi una perdita ancor più irreparabile e decisiva: quella di se stessi alla vita, al compito della continua crescita psichica, sociale e spirituale. Significa riportare un grave pregiudizio alla qualità della propria vita, percepita come senza senso a seguito del venir meno del congiunto, la cui mancanza sopprime ogni progettualità vitale.

L'aspra fatica di «far morire il morto dentro se stessi» conduce a quella esperienza di progressivo distacco e di accettazione della realtà, che gradualmente aiuta la reintegrazione dell'essere nella continuità della sua storia umana.

Il lutto permette alle persone di acquisire, per un certo periodo, un «ruolo in parte definito e protetto» uscendo dal quale la persona dovrebbe avvertire come un senso di «purificazione e liberazione da debiti col passato». Per effettuare positivamente questo passaggio l'individuo deve poter ricorrere alle sue capacità psicofisiche, oltre che all'appoggio degli altri. Quando questo non accade il cordoglio si trasforma in un trauma permanente che può portare a patologie psicosomatiche e persino alla morte. La persona in questo stato si allontana dalla realtà del suo mondo esterno attuale e futuro, rimanendo con lo sguardo e il cuore ancorati al passato.

Il lutto è il lento processo di ridefinizione del nostro mondo e della nostra realtà privati della presenza di una persona che ci era particolarmente cara. Rimarginare una ferita così profonda richiede tempo e pazienza, tanto maggiore quanto importante era il legame con la persona che manca. L'elaborazione del lutto consiste nel tornare più volte sull'immagine, o sentimenti e le memorie legate alla persona che amavamo, fino a che quella perdita non ci risulta più così intollerabile e dolo-Page 1064rosa. In genere la prima reazione di fronte ad una morte sconvolgente è spesso un senso di stordimento. Questa reazione naturale, da una parte attutisce il colpo e dall'altra, spostando la nostra attenzione, ci consente di dedicarci a tutte le concrete incombenze legate ad un decesso.

Moltissime persone sperimentano una sorte di negazione del fatto traumatico mentre il cuore e la mente cercano di riadattarsi alla nuova realtà, priva, adesso, di quella persona. I sentimenti del lutto sono un miscuglio di dolorose emozioni, di malinconia, pena, rabbia, colpa, rimpianto, vuoto desiderio e stato di abbandono. Alcune di queste emozioni ci assalgono e travolgono come potenti ondate, lasciandoci affranti e provati dietro di esse. Altre sembrano radicarsi e persistere a lungo nel tempo. Senza contare che una perdita di una persona amata può risvegliare un senso generale di doloroso abbandono radicato in precedenti episodi della nostra vita. Non esistono sentimenti rispettabili o sentimenti deprecabili. Ciascuna emozione gioca un suo ruolo specifico nel processo di elaborazione. I sentimenti del lutto possono anche avere degli effetti fisici come un senso di tensione nei muscoli o di oppressione nel petto, stanchezza, ansia, difficoltà nel dormire e calo dell'appetito.

Il modo come la persona amata muore, può avere effetti vistosamente diversi sul tipo di lutto che dovremmo affrontare. Il dolore può mescolarsi a un senso di colpa per essere sopravvissuti e continuare a godere di buona salute.

Le morti improvvise, soprattutto se violente e accidentali, possono provocare shock, ansia e stress in misura ancora maggiore. Possono generare un senso di impotenza e fragilità venato da rabbiosa aggressività. Un suicidio, per esempio, spesso produce un senso di colpa o di fallimento tra i sopravvissuti.

Una delle ragioni che rendono particolarmente difficile l'elaborazione del lutto risiede nel fatto che il congiunto scomparso, in quanto immagine agente nello psichismo dei sopravvissuti, continua ad esistere, per lo meno fin tanto che la coordinazione energetica di quegli elementi formali che danno significato a quell'insieme rappresentazionale-affettivo cui corrispondeva quella data entità storica può essere conservata. Si pensi solo alla difficoltà che abbiamo di rappresentarci un mondo in cui la persona scomparsa non sia più presente: per mesi, a volte per anni, percepiamo la sua fisionomia tra la folla o ci proponiamo, magari nei primi confusi momenti che seguono il risveglio mattutino, di telefonargli per condividere quella data emozione.

Nell'espressione «lavoro del lutto», introdotta da Freud nel 1915 in Lutto e Melanconia, è insita la nozione di processo energetico di trasformazione che è strettamente connessa a quella di elaborazione psichica che indica il lavoro compiuto dalla mente per dominare il surplus energetico derivante dall'evento traumatico attraverso lo stabilirsi di operazioni di connessione e vincolamento. L'esperienza del lutto è ovviamente una esperienza di perdita: nella nostra esistenza vi sono alcuni oggetti su cui abbiamo fatto degli investimenti libidici.

Improvvisamente qualcuno viene a dirci che abbiamo perso tutto il patrimonio che avevamo depositato su quell'azione. Ci sentiamo distrutti e amputati: un grave furto energetico è stato perpetrato ai nostri danni. Nessuno accetta mai volentieri una perdita e usualmente si ricorre al rigetto della realtà; è proprio l'esame di realtà che ci dice che quell'oggetto non esiste più e che quindi la libido investita dovrà essere sottratta dall'oggetto in questione. Un lavoro doloroso e impegnativo che le persone tentano di...

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