Luci ed ombre della nuova normativa penale contro il maltrattamento di animali

AutoreVincenzo Musacchio
Pagine15-18

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Le nuove disposizioni concernenti il divieto di maltrattamenti agli animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate riportate in legge 20 luglio 2004, n. 189 (G.U. n. 178 del 31 luglio 2004) sono ora entrate in vigore. Si tratta di un provvedimento atteso da qualche tempo. Molte sono le associazioni che hanno contribuito alla realizzazione della nuova legge con la presentazione di diverse proposte e l'accompagnamento dell'iter legislativo presso la Commissione Giustizia 1. Il movimento animalista nel suo complesso si è espresso con favore sulla nuova normativa ritenendo di individuarvi il rimedio alle inadeguatezze del precedente art. 727 del codice penale 2.

La nuova legislazione ha, senza dubbio, alcuni aspetti positivi. Si affronta finalmente la spinosa questione dei combattimenti tra cani, ricorrendo ad una serie di sanzioni penali (pecuniarie e detentive) che possono costituire un efficace deterrente. Le pene detentive, addirittura, compaiono in tutte le nuove fattispecie di reato. Questa è sicuramente una novità che mette l'Italia al passo con altre legislazioni europee 3. Un altro aspetto corretto è la sistemazione della normativa dopo il Titolo IX del Libro II del codice penale. Al contrario, la legislazione precedente (modifica del vecchio 727 c.p.), aveva lasciato la norma nella parte del codice riguardante i reati contravvenzionali. Il mantenimento della stessa all'interno di un ambito attinente comportamenti umani contravvenzionali, contrastava con l'intento del legislatore di salvaguardare specificamente la soggettività animale. Questo era stato un punto molto criticato al quale, oggi, la nuova legge pone rimedio. Ora, l'attacco alla vita e all'incolumità degli animali configura un «delitto» e non più una «contravvenzione» 4.

Queste osservazioni preliminari non possono tuttavia nascondere un giudizio critico su alcune discrasie che indeboliscono la ratio della legge.

La prima osservazione riguarda l'art. 544 quater. Si ricorderà come la precedente modifica dell'art. 727 avesse evidenziato la protezione dal «sentimento di ripugnanza» che poteva invadere uno spettatore a seguito di casi di maltrattamento, alla vera e propria soggettività animale che tale maltrattamento subiva. Ora, nel nuovo testo di legge appare un nuovo articolo, il 544 quater, che tratta di spettacoli o manifestazioni vietati e che stabilisce sanzioni più gravi. Si è preferito introdurre un articolo nuovo, con conseguenze penali più gravi del precedente, anziché aggiungere un comma al 544 ter che avrebbe prefigurato un aggravamento della fattispecie di reato: ciò induce a ritenere che la vecchia impostazione, che attribuiva più importanza alle ragioni d'aspetto sociale rispetto alla difesa della soggettività animale, rientri dalla finestra dopo essere uscita dalla porta. A ben vedere, in effetti, la presenza dell'articolo de quo si giustifica poco ed è possibile che possa non garantire una maggiore copertura degli interessi degli animali impiegati in spettacoli, manifestazioni e/o feste 5.

Alcune osservazioni possono essere mosse anche all'art. 727 che il legislatore ha scelto di mantenere. Francamente, non si comprende perché tale norma debba avere ancora diritto d'esistenza riducendosi ad un'enclave depotenziata. Le fattispecie incluse nell'art. 727 potrebbero, in effetti, essere inserite nella norma precedente. Non sembra proprio di ravvisare motivi per i quali questa scelta non è stata fatta. Ma, a prescindere da questa considerazione, c'è un altro aspetto che non convince. Esso attiene alla parziale mancanza di corrispondenza tra il titolo del 727 e il successivo dettato normativo.

Questi sono alcuni elementi che meritavano di essere evidenziati. Ma, come osservato, non sono aspetti fondamentali: occorre dirigere altrove l'attenzione.

Ad un più attento esame del testo legislativo si nota un difetto dell'impianto costruttivo che rende la medesima legge regressiva rispetto alla norma precedente e apre alcuni interrogativi sull'entusiasmo iniziale per essa 6.

L'art. 544 ter è quello su cui deve concentrarsi la nostra attenzione. Ma prima di affrontare il problema occorre fare un passo indietro e ritornare al vecchio dettato (art. 727 c.p.) che recitava così: «Chiunque incrudelisce verso animali senza necessità o li sottopone a strazio o sevizie o a comportamenti e fatiche insopportabili per le loro caratteristiche, ovvero li adopera in giochi, spettacoli o lavori insostenibili per la loro natura, valutata secondo le loro caratteristiche anche etologiche, o li detiene in condizioni incompatibili con la loro natura o abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'ammenda da lire due milioni a lire dieci milioni. La pena è aumentata se il fatto è commesso con mezzi particolarmente dolorosi, quale modalità del traffico, del commercio, del trasporto, dell'allevamento, della mattazione o di uno spettacolo d'animali, o se causa la morte dell'animale: in questi casi la condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca degli animali oggetto del maltrattamento, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Nel caso di recidiva la condanna comporta l'interdizione dall'esercizio dell'attività di commercio, di trasporto, di allevamento, di mattazione o di spettacolo. Chiunque organizza o partecipa a spettacoli o manifestazioni che comportino strazio o sevizie per gli animali è punito con l'ammenda da lire due milioni a lire dieci milioni. La condanna comporta la sospensione per almeno tre mesi della licenza inerente l'attività commerciale o di servizio e, in caso di morte degli animali o di recidiva, l'interdizione dall'esercizio dell'attività svolta. Qualora i fatti di cui ai commi precedenti siano commessi in relazione all'esercizio di scommesse clandestine la pena è aumentata della metà e la condanna comporta la sospensione della licenza di at-Page 16tività commerciale, di trasporto o di allevamento per almeno dodici mesi 7».

Si tratta, dunque, di sei fattispecie di reato che tentano di coprire, con una certa elasticità, le attività d'aggressione alla soggettività animale. Sicuramente la prima fattispecie, assai generica, potrebbe comprendere tutte le altre, le quali si caratterizzano per una maggiore determinatezza del contenuto normativo. Si può addirittura pensare che quell'espressione centrale, «senza necessità», prolunghi la sua ombra anche nei punti successivi.

Sul termine «necessità» si è scritto molto. Spesso si stenta ad andare in profondità, ma si presume che la necessità sia socialmente determinata, in altre parole sia costruita, prima ancora che sul piano giuridico, intorno ad una serie d'atti sociali che si traducono in leggi soltanto in ultima istanza. Il concetto di necessità, dunque, è un concetto ampio. Ma proprio perché tale, diventa un campo di tensione in cui i difensori degli animali e i sostenitori della società specista possono combattersi nel tentativo, degli uni, di affermare diritti ancora inespressi; degli altri, di mantenere i vantaggi che la società specista comporta.

Secondo parte della dottrina, la nozione di necessità deve intendersi come una situazione di cogenza verificata non in conformità ad usi o pratiche generalmente accettate, ma in base alla valutazione comparativa degli interessi umani e animali coinvolti, e alla constatazione che: a) i primi, riguardano beni vitali o in ogni caso d'estrema importanza per l'uomo; b) non vi sia altro modo per soddisfarli; c) vi siano fondate ragioni per ritenere che il sacrificio degli interessi animali coinvolti sia idoneo a consentire il soddisfacimento degli interessi umani in questione 8.

Purtroppo, l'introduzione del concetto di...

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