Le investigazioni informatiche nella lotta contro l'evasione fiscale. Internet: la nuova frontiera dei «paradisi fiscali»

AutoreAntonio Del Sole
Pagine507-518

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@1. Il caso della «lista di Vaduz»

- Tutto inizia con un'e-mail. Il 24 gennaio del 20061 un ex impiegato tecnico addetto ai servizi informatici di uno dei principali istituti finanziari del Liechtenstein, la LGT Treuhand AG con sede a Vaduz (si tratta di una fiduciaria specializzata nella gestione di fondazioni, facente parte del gruppo LGT di proprietà della Casa regnante), invia (utilizzando un account registrato - secondo notizie riportate dalla stampa - sotto falso nome)2 un messaggio di posta elettronica all'indirizzo dei servizi segreti tedeschi (Bundesnachrichtendienst-BND) con cui propone la vendita di un DVD contenente nominativi ed informazioni su contribuenti, non soltanto tedeschi, che avrebbero occultato, sottraendole al fisco, ingenti somme di denaro nelle casseforti del piccolo Principato. Il BND, verificata la serietà della proposta ed esaminati alcuni dati campione, si accorda con il tecnico informatico per l'acquisto del materiale - tradottosi nel giugno del 2007 in quattro DVD - dietro pagamento della somma di oltre 4 milioni di euro3. I dischetti con i dati trafugati dei clienti della LGT Treuhand conterrebbero (il condizionale anche qui è d'obbligo, sebbene i numeri risultino confermati in un comunicato della LGT del 24 febbraio 2008)4 ben 1.400 nominativi di soggetti fiscali e 4.527 informazioni, per lo più sigle apparentemente prive di significato, relative a fondazioni costituite nel Principato dai clienti della banca ed operative nel 2002, anno in cui sarebbe avvenuto il furto dei dati5. Poiché alcune delle informazioni sarebbero ricollegabili alla criminalità organizzata internazionale, il tecnico informatico, che - sempre secondo quanto riportato dalla stampa nonché dal citato comunicato del gruppo LGT - risponderebbe al nome di Heinrich Kieber, ottiene garanzie per la tutela della propria incolumità fisica6. L'amministrazione finanziaria della Germania, alla quale vengono trasmessi i dati, procede alle verifiche sui circa 600 contribuenti tedeschi della lista, che, in tempi ragionevoli, vista la complessità del materiale, conducono ai primi risultati ed al contestuale intervento dell'autorità giudiziaria7.

Il 15 febbraio di quest'anno il presidente del gruppo Deutsche Post, Klaus Zumwinkel, si vede costretto a rassegnare le dimissioni di fronte all'accusa di aver evaso il fisco per 1 milione di euro utilizzando una Stiftung (fondazione) del Liechtenstein8. Zumwinkel è solo il primo ad essere smascherato: dopo di lui, la «lista di Vaduz» porta gli agenti del fisco ad individuare altri presunti evasori, e le indagini finiscono per coinvolgere anche alcuni dipendenti di prestigiose banche private tedesche9. Finora sarebbero «163 gli evasori che hanno confessato o si sono autodenunciati», una parte dei quali avrebbe subito riparato versando all'erario 27,8 milioni di euro10. Il settimanale Der Spiegel definisce la vicenda «uno dei più grandi scandali finanziari nella storia tedesca del secondo dopoguerra»11, perpetrato, come titola la copertina di Stern del 21 febbraio 2008, da un'«Èlite senza morale» (Elite ohne Moral)12.

La lista, che inizialmente era stata rifiutata dai servizi segreti inglesi, ritenendoli troppo esose le richieste dell'offerente13, dalla Germania viaggia verso gli altri Stati europei e giunge persino negli USA14, ovunque suscitando un forte clamore nell'opinione pubblica ed un altrettanto forte interesse nelle autorità finanziarie15.

Alla fine di febbraio la «lista di Vaduz» approda in Italia sulle scrivanie dell'Agenzia delle entrate16. Secondo quanto riportato in quei giorni dalla stampa, nell'elenco degli italiani vi sarebbero 400 indicazioni di soggetti finanziari, «tra persone fisiche, società-fondazioni, sigle, nomi di fantasia e conti cifrati»17. Ed in effetti, stando alla successiva pubblicazione dei dati relativi ai soggetti italiani, sarebbero 157 le posizioni contemplate nella lista, a cui corrisponderebbero 388 persone fisiche e 2 società, per un deposito complessivo presso la LGT di 1,3 miliardi di euro18. Risulta però alquanto difficile stimare in concreto l'ammontare che il fisco riuscirà a recuperare, atteso che sarà necessario verificare (ed a parte l'ovvia considerazione che il trasferimento di fondi all'estero di per sè non costituisce un illecito né tributario né penale) quanti fra gli interessati abbiano aderito al c.d. «scudo fiscale»19. Oltre all'amministrazione finanziaria, della questione si sta occupando la magistratura: si rammenta che in fattispecie del genere, per la legislazione penale italiana, sono ipotizzabili i reati di «dichiarazione infedele» ePage 508 «omessa dichiarazione», di cui agli artt. 4 e 5 del decreto legislativo n. 74/200020; tuttavia, poiché entrambe le fattispecie sono punite con la reclusione da 1 a 3 anni, sui relativi procedimenti penali (i depositi nella LGT risalirebbero al 2002) incombe il rischio della prescrizione, che in questi casi si perfeziona in 7 anni e mezzo21. Seri ostacoli alle richieste di rogatoria dall'Italia, inoltre, potrebbero essere frapposti dalle autorità giudiziarie del Liechtenstein: i reati di evasione configurabili, infatti, probabilmente non saranno ritenuti sufficienti per la consegna dei documenti processualmente «utilizzabili»22. Ciononostante, la repressione penale delle eventuali condotte criminose potrebbe passare attraverso altre ipotesi criminose, qualora cioè assumessero rilevanza ulteriori fattispecie di reato, ad iniziare dal riciclaggio del denaro di provenienza illecita, che di frequenza si ricollega tanto all'evasione fiscale quanto ai vari traffici della criminalità organizzata.

Sul piano della cronaca occorre dar conto che, al momento in cui si scrive, vi sarebbe un altro DVD con oltre 2.000 nominativi di presunti evasori fiscali tedeschi. Si tratterebbe di un elenco di correntisti della Liechtensteinische Landesbank (LLB)23, contenente informazioni «copiate» (negli anni dal 2000 al 2003) anche in questo caso da un dipendente della banca24.

@2. Abuso dei «paradisi fiscali» e risorse di Internet

- I dischetti elettronici con i dati sottratti alla LGT Treuhand hanno riportato sul palcoscenico mondiale la realtà dei «paradisi fiscali» e di tutte le problematiche ad essi connesse25. E non potrebbe essere diversamente, considerato che i tax havens rappresentano pur sempre un arduo ostacolo nella difficile battaglia contro l'evasione fiscale26, ma anche contro le multiformi attività del crimine organizzato, le pratiche di money laundering (il riciclaggio del denaro «sporco») ed il terrorismo internazionale27, oltre a costituire motivo di concorrenza fiscale dannosa tra gli Stati28.

Non è comunque da escludere «un impiego lecito dei paradisi fiscali ai fini di mera pianificazione fiscale»29.

La sfida dei paradisi fiscali nei confronti degli Stati a fiscalità «normale» richiede oggigiorno di essere affrontata con un impegno al contempo rinnovato ed innovativo, in una prospettiva cioè che tenga conto, da un lato, dell'utilizzo delle tecnologie informatiche e di Internet da parte degli evasori fiscali e, dall'altro, delle opportunità che le medesime tecnologie offrono a supporto dell'azione di contrasto svolta dalle amministrazioni finanziarie e dagli organi investigativi e giudiziari.

La criminalità finanziaria, d'altra parte, si è adeguata ai tempi. La figura dello «spallone» che attraversava le Alpi caricandosi sulle spalle gli zaini pieni di valuta, sembra oramai avviata verso il tramonto, relegata negli annali delle cronache giudiziarie sulle violazioni tributarie30. Come ci racconta l'attualità, il trasferimento di fondi nei paradisi fiscali può oggi realizzarsi sfruttando le nuove strade progressivamente indicate dallo sviluppo della «società dell'informazione». In questo contesto, Internet rappresenta uno strumento straordinariamente suscettibile delle più diverse utilizzazioni, tanto lecite quanto illecite31.

Ed in effetti, fra le infinite possibilità di Internet ce ne sono alcune, a dir poco, sorprendenti.

Navigando nella Rete delle reti possiamo renderci conto del variegato numero di siti web di studi professionali che propongono consulenze on-line finalizzate ad una rapida ed efficace pianificazione fiscale, consulenze che talvolta si rivelano una frode per il malcapitato cliente, senza contare i siti di equivoci istituti finanziari che «consigliano» ai clienti le modalità di tax planning da porre in essere (anche) ricorrendo alle risorse offerte dalla rete.

Possiamo poi incontrare, in una prospettiva di nuova frontiera per quanti intendano sfuggire al fisco, siti web di studi e società che a loro volta vendono già confezionate e pronte all'uso società dalle forme giuridiche più varie, dalle più semplici alle più sofisticate, ma tutte rigorosamente offshore32. Non senza rilevarsi che i medesimi siti web spesso allocano i loro server in centri offshore.

Ecco allora che per costituire una società a cui affidare la gestione dei propri risparmi, o peggio per occultare i capitali non dichiarati al fisco, non è più necessario recarsi di persona nello studio di un professionista per ottenere illuminanti pareri, né prendere un aereo per volare fino alle lontane e blasonate Isole Vergini Britanniche o alle Cayman, alle Seychelles o alle Bahamas. E neppure salire su un auto per raggiungere il più vicino Liechtenstein. Più semplicemente, basta disporre di un computer e di una connessione ad Internet. Il resto lo si fa con un «clic» del mouse, stando comodamente seduti davanti alla propria scrivania o sulla poltrona di un treno.

Il fenomeno è stato preso in esame, nel 2006, in una relazione della Sottocommissione Investigazioni, facente capo alla Commissione Homeland Security and Governmental Affairs, del Senato degli Stati Uniti elaborata in tema di abusi nell'utilizzo dei paradisi fiscali33. Nel documento si analizza, quale caso paradigmatico delle pratiche diffuse nel settore, la Equity Development Group (EDG), una società con sede a Dallas, nel...

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