Corte costituzionale, delega legislativa e materia penale: ancora lontani da una lettura sostanziale della riserva di legge

AutoreCristiano Cupelli
Pagine1183-1186

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@1. La questione

La Corte costituzionale, con l'ordinanza in commento 1, torna a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della delega al Governo, contenuta nell'art. 3, comma 1, lett. c) della legge 6 febbraio 1996, n. 52, ad attuare le direttive comunitarie in materia di classificazione, imballaggio ed etichettatura dei preparati pericolosi. Più in generale, si rinnova la discussione su un tema di ampia portata, e cioè la dubbia compatibilità, alla luce dello statuto costituzionale del diritto penale, fra la riserva assoluta di legge - che, come ampiamente noto, presidia la materia penalistica - e l'istituto della delega legislativa, oggi di gran lunga lo strumento di normazione prediletto dal moderno diritto penale 2.

In particolare, la norma impugnata detta i criteri direttivi generali per la determinazione delle sanzioni penali o amministrative conseguenti alle infrazioni delle disposizioni dei decreti legislativi da adottare, prevedendo la possibilità di stabilire sanzioni penali nei soli casi in cui si ledano o espongano a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 L. 24 novembre 1981, n. 689. Sulla base di tale delega, è stato quindi emanato l'art. 13 del D.L.vo n. 285 del 1998, con il quale si punisce l'immissione sul mercato di preparati pericolosi in violazione delle disposizioni in materia di imballaggio, etichettatura e classificazione dei preparati medesimi, contenute nello stesso decreto legislativo e nelle norme da esso richiamate.

I dubbi prospettati dal remittente, il Tribunale penale di Venezia, in composizione monocratica, concernono l'effettivo rispetto della riserva di legge in materia penale. In sostanza, il giudice a quo lamenta la assoluta carenza dei presupposti in seno alla legge di delega, e cioè la sufficiente specificazione dei principi e criteri direttivi (sulla base del canone di «rigore, analiticità e chiarezza» che dovrebbe contraddistinguere le deleghe in materia penale). E ciò, sia per quel che concerne «l'ampiezza esorbitante delle materie» risultanti dalle citate disposizioni della legge n. 689 del 1981 (le quali - ai fini dell'esclusione dalla depenalizzazione di reati, puniti con pene pecuniarie, previsti dalla legislazione preesistente - si riferiscono all'intero codice penale e ad un'amplissima serie di ambiti della legislazione complementare), sia per la «vaghezza e genericità del dettato normativo», che frustrerebbe la necessità che «il precetto penale delegato contenga determinazioni chiare e certe», in quanto i criteri contenuti nella delega, basati sul riferimento agli «interessi generali dell'ordinamento interno del tipo di quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 L. 24 novembre 1981, n. 689», ritenuti dal tribunale «troppo ampi e indeterminati», non consentirebbero di individuare a priori i reali interessi da proteggere, né quali lesioni di questi interessi siano meritevoli di sanzione penale.

Peraltro, in via preliminare, va osservato come già l'esatta individuazione della norma delegante, oggetto di impugnazione, abbia affaticato la Corte in un tortuoso percorso ricostruttivo, all'esito del quale si è giunti ad enucleare una diversa fonte, seppure dal contenuto identico a quella indicata erroneamente dal remittente 3. Tale difficoltà ricostruttiva (per il giudice remittente prima e per la Corte costituzionale poi) è di per sè sintomo di disfunzione nel rapporto legge delega/decreto legislativo, dal momento che quantomeno l'intelligibilità della fonte delegante (e con essa dei principi e criteri direttivi) dovrebbe emergere ictu oculi e non attraverso sottili operazioni ermeneutiche.

@2. Le linee essenziali del controllo della Corte costituzionale sulla delegazione legislativa

Come è noto, sul controllo esterno della Corte costituzionale sono (state e in parte sono ancora) riposte le maggiori aspettative di coloro che non si mostrano del tutto persuasi della congruità costituzionale dell'adozione dello strumento della delega legislativa nell'ambito delle materie coperte da riserva assoluta di legge, prima fra tutte quella penale 4.

Ora, richiamando il percorso disegnato da una storica sentenza della Corte costituzionale 5, si può tentare unaPage 1184 rapida schematizzazione dei contenuti essenziali di tale controllo, potendo il vaglio della Corte sulla legittimità costituzionale delle leggi delegate estrinsecarsi attorno ai seguenti parametri:

a) all'art. 76 Cost., per accertare che il contenuto della delega rispetti i dettami costituzionali (esplicitazione dei principi e criteri direttivi, oggetti definiti e tempo limitato);

b) a qualsiasi norma della Costituzione che si assuma violata direttamente dalla legge delegata;

c) all'art. 77, comma 1, Cost., per sindacare la conformità della norma delegata a quella delegante sotto svariati profili: dall'eccesso di delega in senso stretto, al contrasto con predeterminati criteri direttivi, all'uso, infine, da parte del Governo, del potere normativo oltre il termine fissato, ovvero per uno scopo estraneo a quello per cui la funzione legislativa fu delegata;

d) alla legge di delega, nella parte in cui fornisce indicazioni sui principi e criteri direttivi, nonché sugli oggetti definiti, ricercando i caratteri sistematici che colleghino e valgano a ricondurre nei limiti della norma delegante il contenuto della legge delegata.

Più di recente, sul punto, la Corte costituzionale, con la sentenza 16 aprile 2003, n. 125 6, ha ulteriormente specificato che «il sindacato di costituzionalità della delega legislativa postula, secondo la costante giurisprudenza sull'art. 76 Cost., che il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante si esplichi attraverso il confronto tra due processi ermeneutici paralleli: l'uno relativo alle norme che determinano l'oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e delle ragioni e finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l'altro relativo alle norme poste dal legislatore delegato (sentt. nn. 425 e 163 del 2000). In particolare, va osservato che i principi stabiliti dal legislatore delegante valgono non solo come fondamento e limite delle norme delegate, ma anche come «criterio per la loro interpretazione, in quanto vanno lette, finché possibile, nel significato compatibile con i principi della legge di delega» (sent. n. 15 del 1999)».

Per di più, occorre anche confrontarsi con quel surplus di attenzione che dovrebbe sempre presidiare il controllo della Corte costituzionale in quei settori dell'ordinamento coperti da riserva assoluta di legge e che ineriscono a libertà costituzionali, in primis la libertà personale; tanto che si è arrivati a ribadire, in maniera quanto mai significativa, come, «di fronte all'incisione di beni di tal pregio, il controllo di costituzionalità delle norme di legge contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della libertà sia giustificato dall'effettiva realizzazione di altri valori costituzionali o non vada incontro a ostacoli insormontabili costituiti dalla protezione di altri valori costituzionali» 7.

Così, a non volersi spingere sino al punto di sostenere la radicale inammissibilità della delegazione nelle materie coperte da riserva assoluta di legge 8, si deve quantomeno pretendere un innalzamento degli standards di garanzia della legalità.

Questo, del resto, è l'orientamento della prevalente letteratura penalistica, la quale, nell'acconsentire all'ingresso del decreto legislativo tra le fonti penali 9, esige la massima valorizzazione dei crismi costituzionali dell'istituto.

Nello specifico, da un lato si enfatizza il ruolo svolto dalla Corte costituzionale sul controllo di conformità del decreto delegato ai criteri direttivi 10; dall'altro, rispetto ai c.d. limiti necessari stabiliti dall'art. 76 Cost. per vincolare l'opera del Governo (principi e criteri direttivi, tempo limitato e oggetti definiti), si ritiene necessario, per salvaguardare la legalità penale, richiedere alla delega legislativa «rigore, analiticità e chiarezza» 11.

Su quest'ultimo punto, in sintesi, si può convenire con quanto autorevolmente evidenziato, e cioè che «la scelta fondamentale concernente la tipicizzazione di una figura criminosa deve spettare al legislatore, e a lui solo» 12, con riferimento, quanto meno, «al tipo di reato, al bene giuridico protetto, alla condotta rilevante, alla pena edittale e alla sua misura» 13.

@3. I non ascoltati moniti

Prima di analizzare la specifica questione sottoposta al vaglio di costituzionalità, va ancora osservato, in via generale, come, in relazione a deleghe di ampia portata, fra le quali quella in esame, la Corte costituzionale non abbia mancato di prendere posizione, sottolineandone, in più di una occasione, l'equivocità dei principi e criteri direttivi, pur senza mai spingersi sino al punto di invalidare le norme impugnate.

In questa direzione, si è mossa la sentenza 28 febbraio 1997, n. 53 14, nella quale la Corte - chiamata a valutare la legittimità dell'art. 2, lett. d), L. n. 146 del 1994, che stabilisce i criteri e principi direttivi della delega conferita al Governo (in materia di diritto d'autore), in ordine alle sanzioni per le infrazioni alle norme delegate - ha qualificato la disposizione impugnata non «precipua». Più in particolare, ha rilevato come questa, «riecheggiando l'analoga ma non identica formulazione già utilizzata dal legislatore delegante in occasione di precedenti "leggi comunitarie", che indicavano come criterio per la introduzione di nuove sanzioni penali quello degli "interessi generali dell'ordinamento interno, individuati in base ai criteri ispiratori degli artt. 34 e 35 L. 24 novembre 1981, n. 689" (...), ha fatto riferimento, per definire gli interessi suscettibili di tutela penale, a disposizioni (l'art. 34 e l'art. 35 L. n. 689 del 1981), la prima delle quali conteneva un puntuale elenco di...

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