Locazioni non abitative: problemi aperti

AutorePaolo Scalettaris
Pagine441-446

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@1. Introduzione

Mentre per le locazioni abitative si è avuta nell'anno 1998 una completa e radicale riforma con l'introduzione della legge n. 431, la disciplina delle locazioni non abitative non ha visto l'intervento di alcuna importante modifica normativa rispetto alla legge n. 392 del 1978.

Con riguardo alla situazione normativa fissata dalla legge del 1978 si sono avuti per la verità alcuni interventi legislativi diretti alla modifica del testo dell'art. 69 della legge n. 392: ma è questa una norma che, facendo parte della disciplina transitoria, in questa sede non interessa, essendone comunque oramai da tempo venuta meno la concreta possibilità di applicazione a seguito del progressivo maturare della scadenza dei contratti sorti nel corso dell'applicazione della disciplina normativa previgente (e dunque con il venire meno di quelle situazioni - caratterizzanti appunto la disciplina transitoria - che imponevano la necessità di un raccordo tra le due discipline).

A parte ciò, gli interventi modificativi della disciplina originaria impartita alla materia delle locazioni non abitative dalla legge n. 392 sono risultati rari e di portata assai limitata. Tra essi merita ricordare:

- l'intervento con il quale l'art. 1, comma 9 sexies della legge n. 118 del 1985 ha modificato il testo dell'art. 32 della legge n. 392: si è trattato peraltro di un intervento di portata assai modesta che si è limitato a consentire l'aggiornamento Istat del canone - pur nella misura del solo 75% della variazione degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati - a far tempo dal secondo anno della locazione e con cadenza annuale anziché a far tempo dall'inizio del quarto anno e con cadenza biennale, come era previsto dalla norma originaria;

- l'intervento di modifica dell'art. 34: articolo al quale la legge n. 61 del 1989, di conversione in legge del decreto legge n. 551 del 1988, ha aggiunto un nuovo e ulteriore comma che prevede che nel giudizio relativo alla spettanza o alla determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale le parti abbiano l'onere di indicare l'ammontare della somma richiesta ovvero offerta e che il pagamento - salvo conguaglio - della somma richiesta dal conduttore oppure, in difetto, della somma indicata dal locatore o comunque della somma risultante dalla sentenza di primo grado concreti la condizione imposta dallo stesso art. 34 per l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile;

- infine l'intervento (di cui all'art. 1, comma 9 septies del decreto legge 7 febbraio 1985 n. 12 convertito in legge con L. 5 aprile 1985 n. 118) che ha introdotto la regola secondo cui «si ha locazione di immobile, e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore».

Per tutto il resto la disciplina delle locazioni non abitative è rimasta sostanzialmente ferma ed immutata rispetto alle previsioni originarie della legge n. 392.

Nonostante ciò, vi sono però ancora oggi alcuni problemi interpretativi e applicativi per i quali non si è pervenuti ancora ad una precisa e definitiva soluzione.

Faremo cenno qui di seguito - peraltro non già in chiave di approfondimento dei temi ma piuttosto solamente in termini di semplice spunto di riflessione - ad alcuni di tali problemi.

@2. L'adibizione dell'immobile ad uso diverso dall'abitazione e l'ipotesi della foresteria

Una prima questione può prospettarsi con riguardo alla determinazione dei confini dell'ambito di applicazione della disciplina delle locazioni non abitative.

Come è noto, la legge n. 392 ha previsto la ripartizione della materia nelle due grandi categorie delle locazioni abitative e delle locazioni non abitative.

L'art. 1 della legge n. 392 - per definire l'ambito di applicazione delle disposizioni del capo I del titolo I della legge - fa (o meglio: faceva, dal momento che la norma è stata abrogata dall'art. 14 della legge n. 431 del 1998) riferimento agli «immobili urbani per uso abitazione».

A sua volta l'art. 27 della legge n. 392 - per definire l'ambito di applicazione della disciplina di cui al capo II dello stesso titolo I della legge - fa riferimento agli «immobili... adibiti» ad attività industriale, commerciale, artigianale, di interesse turistico, oltre che «all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo».

Da notare poi che lo stesso art. 1 della legge n. 431 del 1998, al fine di definire l'ambito di applicazione della stessa legge, fa riferimento ai «contratti di locazione di immobili adibiti ad uso abitativo».

Come si vede, l'elemento chiave ai fini della differenziazione delle due categorie e della individuazione della disciplina da applicare nel caso concreto è costituito dal dato consistente nella «adibizione» dell'immobile ad un preciso uso, e cioè dal dato derivante dalla concreta utilizzazione dell'immobile. Il discorso vale - come si è visto - sia con riferimento alla disciplina dettata dalla legge n. 392, sia con riferimento alla disciplina dettata dalla successiva legge n. 431.

Va osservato per inciso che quello ora segnalato è un concetto che corrisponde ad uno dei principi cardine dell'intera legge n. 392: si consideri a questo proposito la previsione dell'art. 80 della legge (norma che, appunto in questo senso, ha natura di vera e propria norma «di chiusura» dell'intera disciplina delle locazioni urbane) che elegge l'elemento costituito dall'«uso effettivo» dell'immobile ad elemento dal quale deve derivare il regime giuridico da applicarsi al contratto di locazione.

Orbene: un problema delicato può porsi - in relazione a quanto ora si è detto - con riferimento a tutti quei casi nei quali l'oggetto della locazione sia costituito da un immobile destinato bensì ad alloggio od abitazione, ma in favore di soggetti diversi dal conduttore. Page 442

La questione si pone innanzitutto con riguardo all'ipotesi della locazione dell'immobile adibito ad abitazione dei dipendenti del conduttore quale alloggio di servizio ovvero comunque all'interno e nell'ambito di una organizzazione imprenditoriale.

Al proposito va ricordato che costituisce principio consolidato quello secondo cui è locazione «commerciale» ovvero «non abitativa» (soggetta dunque alle disposizioni del capo II del titolo I della legge n. 392) quella che ha ad oggetto non soltanto i locali nei quali vengano svolte direttamente e specificamente le attività comprese nell'elencazione di cui all'art. 27, ma anche quella che abbia ad oggetto gli immobili che siano collegati «funzionalmente e/o spazialmente» ad una di tali attività, quali per esempio i locali destinati a magazzino ovvero comunque adibiti ad altre utilizzazioni all'interno dell'organizzazione imprenditoriale finalizzata allo svolgimento di una delle attività anzidette 1.

Orbene: sulla base di tale principio deve ritenersi che anche la locazione che abbia ad oggetto i locali destinati ad alloggio di servizio dei dipendenti dell'imprenditore conduttore - trattandosi dunque di locazione avente ad oggetto un immobile che risulta essere appunto collegato quanto meno «funzionalmente» (se non anche «spazialmente») ad una delle attività comprese nell'elencazione di cui all'art. 27 - abbia natura di locazione «non abitativa».

Peraltro non vi è ragione perché a tale conclusione debba giungersi solamente nel caso dell'alloggio di soggetti legati all'imprenditore da un rapporto di lavoro subordinato: le medesime considerazioni potrebbero farsi infatti anche nel caso di locali destinati all'alloggio di collaboratori dell'imprenditore conduttore che pure non fossero legati a lui da vincolo di subordinazione.

Accanto a quella ora segnalata può prospettarsi poi l'ipotesi della locazione di immobile - che pure sia costituito sotto il profilo della materialità e funzionalità da un appartamento di abitazione - che venga locato per essere destinato all'alloggio di ospiti o clienti del conduttore.

Si pensi per esempio al caso dell'albergatore che stipuli quale conduttore un contratto di locazione relativamente ad uno o più alloggi per insediarvi la dependance del proprio albergo.

Si pensi poi all'ipotesi (non infrequente nel caso di grandi complessi turistici) dell'appartamento che venga locato dal suo proprietario ad una società che lo gestisca nell'ambito dell'attività di residence 2.

Si pensi ancora all'ipotesi - che ricorre frequentemente nelle località turistiche e di villeggiatura - dell'agenzia immobiliare che assuma direttamente in locazione gli appartamenti dai singoli proprietari e quindi li sublochi a villeggianti e turisti, gestendo direttamente i rapporti con questi.

Sono tutti casi nei quali l'immobile, pur essendo in concreto adibito ad uso di alloggio ed abitazione, sarà oggetto - per le ragioni che si sono sottolineate - di un contratto di locazione «non abitativo», come tale soggetto alla disciplina di cui al capo II del titolo I della legge n. 392.

Quanto fino ad ora osservato potrebbe condurre ad ipotizzare che il rapporto tra la figura della locazione non abitativa e quella della locazione abitativa sia in qualche modo diverso da quello che tradizionalmente si suole considerare: potrebbe infatti vedersi non già un ruolo paritario delle due categorie di locazione, divise tra loro da una linea verticale, ma invece una sorta di «prevalenza» della locazione non abitativa su quella abitativa, nel senso che - potendo ipotizzarsi l'esistenza di locazioni di immobili destinati in concreto ad abitazione che siano riconducibili però alla disciplina delle locazioni non abitative (mentre non sembra possibile prospettare l'ipotesi inversa) - la definizione della locazione abitativa verrebbe a dipendere in definitiva dalla presenza non di uno ma di due distinti requisiti, costituiti l'uno dall'elemento positivo dato dalla concreta utilizzazione dell'immobile quale alloggio e l'altro dell'elemento (di carattere negativo) consistente nella estraneità dell'immobile alla soddisfazione di...

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