Linee operative sul danno biologico

AutoreDomenico Potetti
CaricaMagistrato, Tribunale di Camerino
Pagine1269-1277

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@1.Definizione del danno biologico

- Il danno biologico è argomento di estremo interesse per il giudice civile come per il giudice penale (nel caso di costituzione di parte civile), dato che in entrambe le sedi il danno alla persona è un protagonista assoluto.

Il danno cosiddetto biologico consiste nella menomazione (oggetto e suscettibile di accertamento medico-legale, al contrario del danno esistenziale) della integrità psicofisica della persona in sè e per sè considerata; danno incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si compone della somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo economica ma anche spirituale, affettiva, biologica, sociale, culturale, sportiva ed estetica; in sostanza si compone della somma delle funzioni realizzatrici della persona umana (v. Corte cost. n. 356/91, 184/86, 233/03).

Proprio perché si tratta di danno oggetto e suscettibile di accertamento medico-legale, va esclusa ogni ipotesi di liquidazione di danno biologico presunto, in mancanza di una lesione psicofisica medicalmente accertata.

In particolare, la Cassazione ha affermato il principio secondo il quale il danno alla salute, per quanto normalmente si risolva in un peggioramento della qualità della vita, presuppone pur sempre una lesione dell'integrità psicofisica, di cui quel peggioramento è solo la conseguenza.

Non, dunque, la minore godibilità della vita è in sè risarcibile come danno biologico, ma solo la lesione della salute, costituente il bene giuridicamente tutelato dall'art. 32 Cost. (v. Cass. civ., n. 911 del 1999, in Resp. civ. e prev. 1999, da p. 753, nonché Cass. civ., n. 10628 del 1998).

Dopo un'ampia elaborazione giurisprudenziale, il suddetto concetto di danno biologico è stato codificato dallo stesso legislatore, che lo ha definito come «... lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito» (v. art. 138, comma 2, lett. A e 139 comma 2 del D.L.vo n. 209 del 2005 che - anche secondo Cass., sez. III civile, n. 24451/05, in Guida al dir., 2006, n. 6, p. 54 - non hanno innovato alla precedente tradizionale elaborazione giurisprudenziale).

Il danno biologico (che è suscettibile di autonoma valutazione rispetto al danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come diminuzione di guadagno conseguente alla ridotta capacità lavorativa, e rispetto al danno morale soggettivo, costituito dalla somma delle sofferenze fisiche e morali conseguenti alle lesioni subìte) è comprensivo del cosiddetto danno estetico (quando questo non costituisca causa di minor guadagno per la particolare attività svolta dall'infortunato) e degli altri impedimenti alla vita sociale del soggetto infortunato (attività sportiva, ricreativa, culturale, rapporti sentimentali, ecc.) (v. Cass. civ., sez. lav., 5 settembre 1988, n. 5033, in Giust. civ. Mass., 1988, fasc. 8/9; in particolare, sostengono che il danno alla sfera sessuale è componente del danno biologico Cass. civ., n. 3686/96, 10153/93, 3867/92).

Si è infatti ritenuto che il danno alla salute (o «danno biologico») è un pregiudizio (diverso da quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito) consistente nella lesione del bene-salute provocata alla vittima, e non è concettualmente diverso dal danno estetico o dal danno alla vita di relazione, che rispettivamente rappresentano, l'uno, una delle possibili lesioni dell'integrità fisica, e l'altro uno dei possibili risvolti pregiudizievoli della menomazione subìta dal soggetto.

Di entrambi il giudice deve tenere conto nella liquidazione del danno alla salute complessivamente considerato, al fine di assicurare il corretto ed integrale risarcimento dell'effettivo pregiudizio subìto dalla vittima, ma non è tenuto all'analitica indicazione delle somme che a suo avviso valgono ad indennizzare ciascuno dei virtualmente infiniti pregiudizi nei quali la lesione del bene salute si risolve (v. Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 1999, n. 256, in Giust. civ. Mass., 1999, 59).

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Quanto alla definizione del danno alla vita di relazione si è ritenuto che esso (componente del danno biologico) si concretizza nella impossibilità o nella difficoltà, per chi abbia subìto menomazioni fisiche, di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale (v. Cass. civ. n. 6023/01; 3266/03; 15034/01).

Nello specifico del danno estetico, giova tuttavia precisare che non sempre esso rimane nel solo perimetro del danno biologico.

Infatti, i postumi di carattere estetico, conseguenti ad un fatto lesivo della persona (nella specie, l'alterazione della armonica fisionomia del viso), in quanto incidenti in modo negativo sulla vita di relazione, possono ricevere un autonomo trattamento risarcitorio, sotto l'aspetto strettamente patrimoniale, allorché, pur determinando una così detta «micropermanente» sul piano strettamente biologico, eventualmente provochi negative ripercussioni non soltanto su un'attività lavorativa già svolta, ma anche su un'attività futura, precludendola o rendendola di più difficile conseguimento, in relazione all'età, al sesso del danneggiato ed ad ogni altra utile circostanza particolare, sì da non identificarsi con il danno biologico (v. Cass., n. 6895/01; sul danno estetico v. anche Cass. n. 6383/04; 15589/00).

Sulla stessa linea si è ritenuta censurabile l'affermazione del giudice di merito, formulata in sede di liquidazione del danno alla persona (nella specie, del danno subìto da una bambina) secondo la quale la perdita totale della capigliatura non incide in astratto sulla capacità lavorativa e quindi sulla capacità di produrre reddito, perché tale grave menomazione (incidente sulla vita di relazione) comporta, oltre ad una componente strettamente psicofisica, che rientra nell'ambito del danno alla salute, anche una componente patrimoniale, che si ricollega all'incidenza negativa che la menomazione ha nell'esplicazione di attività complementari o integrative della normale attività lavorativa, determinando una riduzione della cosiddetta capacità di concorrenza dell'individuo (Cass., sez. 3 civ., n. 755/1995, in Arch. civ. 1995, 1412).

Come risulta dalla sua stessa definizione legislativa, il danno biologico può essere temporaneo o permanente.

Il concetto di danno biologico temporaneo è infatti riconosciuto dagli artt. 138, comma 2 lett. A) ed E), nonché dall'art. 139, comma 1 lett. B), del D.L.vo n. 209/05.

Quanto alla sua quantificazione, si può dubitare che gli importi fissati per le lesioni di lieve entità valgano anche fuori dalle c.d. micropermanente, e cioè le lesioni di lieve entità previste dall'art. 139 del D.L.vo 209/05 (v. BONA-OLIVA, in Il Giudice di pace, 4/2001, p. 327).

In giurisprudenza, sull'argomento si è ritenuto che la liquidazione del danno biologico con importi distinti, in relazione ai due momenti della inabilità temporanea (con euro 67,36 al giorno per inabilità assoluta, secondo le tabelle milanesi: v. Guida al dir., dossier n. 7 del luglio-agosto 2007, p. 48; v. inoltre D.M. 12 giugno 2007, emesso ai sensi dell'art. 139 del D.L.vo n. 209/05) e della invalidità permanente del danneggiato, non comporta duplicazione di una voce di danno ontologicamente unitaria, ma adozione di un criterio di liquidazione ammissibile, se il riferimento alla inabilità temporanea e alla invalidità permanente non è finalizzato alla individuazione della diminuita capacità di guadagno del danneggiato (criterio non utilizzabile per la liquidazione del danno biologico), ma alla individuazione di periodi diversi, che corrispondono a una diversa intensità della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto, ai quali rapportare la liquidazione di un danno, risarcibile per equivalente con una prestazione patrimoniale, atta a reintegrare un valore leso che non ha di per sè immediata natura patrimoniale (v. Cass. civ., n. 9725 del 1995, in questa Rivista 1996, 299).

A quest'ultimo proposito, pare preferibile la tesi della natura non patrimoniale del danno biologico, dovuta all'impossibilità di una diretta valutazione monetaria e alla connotazione areddituale dell'integrità psicofisica (v. Corte cost., n. 293/96 in questa Rivista 1997, 235).

Il danno biologico risarcibile può sussistere non solo nella responsabilità extracontrattuale, ma anche in quella contrattuale (v. ad esempio Cass., sez. lav., n. 1307/00, in Arch. civ. 2001, 327 con nota di G.G. GRECO, Danno alla salute e responsabilità contrattuale del datore di lavoro per «superlavoro» del dipendente. Riflessioni sulla rilevanza della figura del danno esistenziale da inadempimento nell'ambito del rapporto di lavoro, in tema di rapporto di lavoro, e specificamente per l'ipotesi di eccessivo carico di lavoro, in relazione all'art. 2087 c.c.), e ciò mi pare valga per tutto il danno non patrimoniale (in tal senso v. Trib. Palmi, 21 maggio 2004, in Giur. it., 2005, p. 46, in tema di responsabilità medica, e TAR Lombardia, sez. II, 27 luglio 2005, in Giur. merito 2006, con nota ZAPPIA, e soprattutto ora Sez. un. civili, n. 6572 del 2006, in Giust. civ., 2006, p. 1443).

@2. Il danno biologico psichico

- La componente psichica del danno biologico è riconosciuta testualmente dalle definizioni (del medesimo danno biologico) contenute negli artt. 138 e 139 del D.L.vo n. 209/05.

Possiamo considerare il danno biologico psichico come una compromissione durevole (ma non necessariamente permanente) e obiettiva (cioè suscettibile anch'essa di accertamento medico-legale) che colpisce la psiche della vittima, provocando un'alterazione significativa dei processi psicologici.

Si tratta di un danno...

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