La responsabilità del libero professionista: oltre il formalismo

AutoreMaria Elena Quadrato
Pagine111-131
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rivista di diritto privato Saggi e pareri
1/2012
La responsabilità del libero professionista:
oltre il formalismo*
di Maria Elena Quadrato
SOMMARIO: 1. La “ducia” nel contratto con il libero professionista: la “scelta delibe-
rata”. – 2. La cooperazione informativa. – 3. La gabbia del consenso informato. – 4.
Oltrepassare il formalismo: la voce dei giudici. – 5. Riscoprire la diligenza.
1. La “ducia” nel contratto con il libero professionista: la “scelta deliberata
Il problema del formalismo nei contratti con il libero professionista deve necessa-
riamente prendere le mosse dalle peculiarità che caratterizzano il rapporto tra chi eser-
cita una attività professionale e chi si avvale della sua opera: connotati che conferisco-
no al rapporto una colorazione particolare, ne fanno una relazione speciale. È un
rapporto che potrebbe esaurirsi in una singola prestazione quando, ad esempio, si ri-
chiede una semplice consulenza, ma che, normalmente, si snoda in una serie di incon-
tri, atti, interventi, cadenzati nel tempo, e tutti volti a soddisfare l’interesse del debito-
re. Si potrebbe quasi pensare, infatti, ad un contratto di durata1 o, quanto meno, ad
una “relazione continuativa tra le parti”2. Se ci si soerma sulla “sostanza” della relazio-
* Il presente lavoro è frutto della ricerca, nanziata con i fondi dell’Ateneo di Bari, dal titolo “Evoluzione ed
involuzione del dovere di informazione nella prassi contrattuale”.
1 Di “durata” come “caratteristica della relazione tra professionista e cliente” parla F. Cafaggi, Responsabilità del
professionista, in Digesto (Disc. Priv.), Sez. Civ., Torino, 1998, 162, per il quale tale relazione “tendenzialmen-
te, ma non necessariamente… può concernere una serie indenita o comunque una pluralità di prestazioni”.
Sui contratti di durata v., in particolare, C. De Martini, Obbligazioni di durata, in NN.D.I., XI, Torino, 1965,
655 ss., A. Chianale, Obbligazioni di durata, in Digesto (Disc. Priv.), XII, Torino, 1995, 394, G. Oppo, I
contratti di durata, in Scritti giuridici, III, Padova, 1992, 200 ss., part. 235 s., che manifesta delle perplessità
sulla congurazione del contratto d’opera come contratto di durata perché “la locatio operis è un contratto in
cui un certo tempo è necessario ad adempiere, non un contratto in cui la durata sia utile agli interessi delle
parti. Il tempo vi funziona come termine dell’adempimento e non come durata dell’adempimento, inteso
questo come soddisfazione degli interessi contrattuali”. Qualica il contratto d’opera come contratto “ad
esecuzione prolungata” F. Santoro Passarelli, Opera (Contratto di), in NN.D.I., XI, 1965, 982 ss., part. 989.
2 F. Cafaggi, Responsabilità del professionista loc. cit. Ancora, e con parole “illuminanti”, G. Oppo, Contratti
di durata cit., 221, per il quale “Questa situazione potrebbe denirsi con la proposizione che nell’ipotesi in
esame vi è esecuzione continuata ma non vi è adempimento continuativo (…). Esecuzione continuata dun-
que ma adempimento istantaneo. Se non che la proposizione può accettarsi solo a patto che per esecuzione
continuativa si intenda prestazione di una attività continuativa diretta a rendere possibile l’esecuzione,
prestata “in esecuzione” dell’obbligazione, giacché in senso proprio, e secondo il senso corrente, l’obbliga-
zione non può dirsi eseguita se non quando quell’attività ha condotto al risultato nale cui è diretta”; A. Di
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Saggi e pareri rivista di diritto privato
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ne, in particolare, su quella tra medico e paziente o tra avvocato e cliente emerge, con
chiarezza, che la prestazione medica da una parte, e quella legale dall’altra, sono
“segmenti”3 di un rapporto più ampio che mira non solo a guarire la singola patologia
o a risolvere la singola lite, bensì, piuttosto, a prendersi cura della persona del paziente
o del cliente, a provvedere ai suoi bisogni. C’è, alla base del rapporto, un elemento
importante, spesso trascurato: la scelta del professionista. Che è l’atto consapevole di
chi, fra le tante possibilità, decide di rivolgersi alla persona che reputa la migliore, la
più adatta al suo caso. Una preferenza che è mossa dalla “ducia” in quel professioni-
sta4, nelle sue qualità, nel suo valore: è animata da una sensazione di tranquillità e di
sicurezza, che deriva dalla stima, dall’alta considerazione che si ha di lui, e che spinge
ad adarsi alla sua abilità, alle sue competenze, incoraggia a riporre in lui le speranze
di guarigione, di giustizia, di miglioramento, insomma, delle proprie condizioni di
vita. La sua è, dunque, una scelta meditata, “deliberata” (proaíresis) direbbe Aristotele5:
un atto “volontario” (ekoúsion), ma unito “a pensiero e ragionamento” (metà lógou kaì
dianoías), e diretto “al ne” (pròs tò télos): “un desiderio deliberato di ciò che dipende
da noi” (ē proaíresis àn eíē bouleutikē
` óreksis tō
ˆn eph’ ēmîn).
La ducia è un concetto che viene da lontano. Risale alla des romana6, la pistis
nella lingua greca: un valore al quale la cultura antica attribuisce un ruolo importante,
quello di disciplinare il comportamento di coloro che stringono un accordo, e di mi-
surarne la responsabilità: sia di chi, con la stima e il rispetto di cui gode, del “credito
di cui dispone7, ispira ducia nell’interlocutore, sia di chi si rivolge alla sua persona,
che rappresenta una “garanzia cui far ricorso”8. Per Aristotele, che ne tratta ampia-
mente9, “coloro che fanno accordo sulla base della ducia sanno di dover sopportare
Majo, Delle obbligazioni in generale (Artt. 1173-1176), in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 86
s., il quale, in maniera molto ecace, parla di “rapporti di durata (Dauer-schuldverhältnisse)” in cui “l’obbli-
gazione può soddisfare ad un bisogno durevole del soggetto, rappresentare dunque una situazione, a suo
modo, nale”.
3 F. Cafaggi, op. cit., 163 nt. 128.
4 Per E. Resta, che di recente ha ripercorso l’itinerario del concetto nella losoa, nel diritto, nell’economia,
Le regole della ducia, Roma-Bari, 2009, la ducia è “una sorta di cuore segreto che anima molte dimensio-
ni della vita collettiva”: p. V.
5 Nell’Etica Nicomachea III, 4. 1111b – 1112a – 1113a.
6 È il dem sequi di Ulpiano (in D.12.1.1) e di Paolo (in D.50.17.84.1). V., al riguardo, A. Nicoletti, “Fides,
in Novissimo Digesto Italiano, VII, 1961, 293. La des è per Cicerone (De ociis 1.7.23) fundamentum iusti-
tiae. Sul punto v. anche G. Grosso, Buona fede (Dir. Romano), in Enc. Dir., V, 1959, 662, il quale evidenzia
il passaggio di des dall’ accezione soggettiva – a signicare il modo di comportarsi nella vita di relazione, a
indicare il “concetto di rispondenza ad un adamento, che esprimeva un rapporto di duciarietà” – ad una
rappresentazione obiettiva, di “correttezza commerciale”, a seguito della sua qualica etica, come bona.
7 Sul rapporto tra des e credo v. E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee I, Torino, 1976, 90.
8 Per dirla con E. Resta, op. cit., 28.
9 Nei due libri dell’Etica Nicomachea, l’ottavo e il nono, dedicati alla philia, all’ “amicizia” si potrebbe dire, a
quella “fondata sull’utile” (katà tò khrē
´simon), come la descrive in VIII, 15. 1162 b 5-6, 15, e nella cui sfera

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