Lettera ad un comparatista di razza

AutoreOronzo Mazzotta
Pagine201-205
Lettera ad un comparatista di razza
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Caro Bruno,
ho letto con deplorevole ritardo il Tuo bel saggio su letteratura e diritto del
lavoro1 e qui ne faccio pubblica ammenda. Nonostante che il volume in cui è
contenuto stazionasse su un ripiano della mia libreria da un bel po’ di tempo, è
solo il meritorio stimolo offerto dall’occasione festosa del tuo settantennio che
ha smosso la mia pigrizia e mi ha coinvolto in un viaggio appassionante.
Nel saggio infatti guidi il lettore con mano sicura in un universo solo parzial-
mente consueto al giurista. Un universo nel quale la regolazione giuridica del
fenomeno del lavorare alle altrui dipendenze è inserita nel circuito della storia
e della rappresentazione degli eventi umani che ne hanno fatto i grandi scrittori
dell’Ottocento.
Sono molte le idee forti che fanno da sfondo al Tuo racconto.
La prima è che il diritto costituisce parte non irrilevante della cultura uma-
nistica o, forse, della cultura tout court. Diritto e letteratura si avvalgono della
stessa materia prima costituita dalla «parola scritta», ma il diritto non si riduce
alla sola dimensione «linguistica».
Il diritto emerge come componente essenziale dell’umanità: «se il chimico,
il sico, il naturalista leggono nel libro aperto del cosmo le trame delle proprie
scienze, non altrettanto può fare il giurista: in una natura fenomenica priva di
uomini non c’è spazio per il diritto, il quale – come ci avverte con stringente
efcacia già un antico giurista romano [Ermogeniano] – hominum causa si è
originato, sviluppato, consolidato; il che vuol dire che è nato con l’uomo e per
l’uomo, inscindibilmente legato alla vicenda umana nello spazio e nel tempo»2.
E se questa osservazione di un autorevolissimo storico del diritto è calzante ri-
spetto al fenomeno giuridico in generale lo è, a più forte ragione, rispetto al
diritto del lavoro, calato, quant’altri mai rami dell’ordinamento, dentro il sudore
ed il sangue della fatica umana e con lo sguardo rivolto all’affermazione della
dignità delle persone.
Il che consente di riscattare la dimensione propriamente giuridica da quell’a-
lone di misticazione che le deriva dalla sua identicazione con la retorica3,
collocandola in una posizione preminente rispetto ad altre scienze sociali come
l’economia e la statistica4.
Il cattivo diritto è retorica, che cela, dietro l’abilità nell’uso delle parole, la
realtà di un sopruso; il buon diritto è arte della convivenza, è traduzione delle
scelte della collettività in regole intelligibili e dense di effettività.

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