Legittimità

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Rivista penale 9/2013
Legittimità
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. IV, 11 LUGLIO 2013, N. 29891
(UD. 5 APRILE 2013)
PRES. BIANCHI – EST. DOVERE – P.M. FODARONI (DIFF.) – RIC. LAMBERTI
Stupefacenti y Coltivazione y Elementi integrativi
del reato y Coltivazione non autorizzata y Sussi-
stenza y Sostanze destinate o meno al consumo
personale y Irrilevanza.
Stupefacenti y Coltivazione y Elementi integrativi
del reato y Coltivazione non autorizzata y Di quanti-
tativi inferiori al limiti della “dose media giornalie-
ra” y Idoneità a modif‌icare l’assetto neuropsichico
dell’utilizzatore y Sussistenza y Fattispecie.
. La coltivazione non autorizzata di piante dalle quali
sia possibile estrarre sostanze stupefacenti costituisce
sempre reato, indipendentemente dalla circostanza
che dette sostanze siano o meno destinate a consumo
personale. (Mass. Redaz.) (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309,
art. 26; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 27; d.p.r. 9 otto-
art. 73) (1)
. L’offensività del reato di coltivazione non autorizzata
di piante da cui sia possibile estrarre sostanze stupefa-
centi non può essere esclusa ogni qual volta i quanti-
tativi ricavabili di dette sostanze, ancorchè inferiori ai
limiti della “dose media giornaliera” prevista dall’ap-
posito decreto ministeriale, siano comunque idonei,
quanto alla presenza del principio attivo, a poter in-
durre una pur trascurabile, modif‌icazione dell’assetto
neuropsichico dell’utilizzatore (principio affermato,
nella specie, in un caso in cui era rimasto accertato
che da una sola delle dodici piante di marijuana seque-
strate era possibile ricavare mg. 37 di TRC, pari a 1,5
dosi medie singole). (Mass. Redaz.) (d.p.r. 9 ottobre
1990, n. 309, art. 26; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art.
27; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 28; d.p.r. 9 ottobre
1990, n. 309, art. 73) (2)
(1) In senso conforme si veda Cass. pen., sez. VI, 23 dicembre 2009,
P.M. in proc. Lanzo, in questa Rivista 2010, 1319; nello stesso senso
anche Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 2008, P.G. in proc. Serrao, ivi
2009, 639.
(2) Nello stesso senso si veda Cass. pen., sez. IV, 8 giugno 2010,
Renna, in questa Rivista 2011, 595. Si veda in dottrina, DOMENICO
GIANNELLI, La coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze
stupefacenti ad “uso domestico” alla luce del principio di offensività,
ivi 2011, 125.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. All’esito di rito abbreviato, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Locri dichiarava l’impu-
tato responsabile del reato di concorso nella coltivazione
di piante di marijuana, nonché di furto di energia elettrica,
e unif‌icati i medesimi con il vincolo della continuazione,
computata la diminuente per il rito, lo condannava alla
pena di anni tre di reclusione ed euro 14.000 di multa.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello
di Reggio Calabria riformava parzialmente tale decisione
riconoscendo l’attenuante di cui all’articolo 73, comma 5
T.U. Stup. e rideterminando la pena di anni uno mesi otto
di reclusione ed euro 4000 di multa.
2.1. Ricorre per cassazione il Lamberti a mezzo del
difensore avvocato Antonio Nocera, che con un primo
motivo deduce vizio di motivazione con riferimento alla
inoffensività della condotta. Si rappresenta che le analisi
tecniche condotte sul reperto, costituito da una sola delle
dodici piante di marijuana sequestrate, hanno evidenziato
che da esso possono essere ricavati mg. 37 di TRC puro,
pari a 1,5 dosi medie singole. Pertanto la Corte di Appello
avrebbe dovuto ritenere provata la irrilevante potenzialità
dello stupefacente ricavabile dalle piantine domestiche
sequestrate, tale che la loro coltivazione non può essere
ritenuta penalmente rilevante. Peraltro i giudici del meri-
to non hanno motivato sul punto della destinazione a terzi
del modesto quantitativo di marjuana ricavabile dalle
piantine coltivate.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso si deduce viola-
zione della legge processuale ed ancora vizio motivazio-
nale per avere il giudice del merito utilizzato ai f‌ini della
decisione una prova inesistente, cioè la capacità drogante
delle plantine domestiche distrutte dalla polizia giudi-
ziaria prima dell’espletamento dell’accertamento tecnico
e quindi non esaminate dal consulente tecnico d’uff‌icio.
L’avvenuta distruzione delle piantine oggetto di sequestro
rende inesistente la prova sulla quale si è fondata l’affer-
mazione di responsabilità. Si rileva poi un errore logico
consistente nell’affermazione della preminenza del dato
ponderale cd. virtuale della sostanza stupefacente rica-
vabile all’esito del ciclo produttivo tenuto conto del pre-
vedibile sviluppo delle piantine in sequestro. Si assume
che le modalità della tentata coltivazione domestica, che
dalla confessione resa dall’imputato con missiva inviata al
giudice per le indagini preliminari prima del dibattimento
si dimostra non essere f‌inalizzata alla cessione a terzi del
ricavato, offrirebbe spunti di sostegno alla ritenuta inof-
fensività della condotta.
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3. Quanto al capo B della rubrica si deduce vizio moti-
vazionale in quanto anche ammettendo la consapevolezza
del furto di energia elettrica commesso dal padre dell’im-
putato, non per ciò solo si potrebbe affermare il concorso
di questi in tale reato. L’affermazione secondo la quale il
Lamberti avrebbe goduto del risultato dell’azione paterna
contrasta con il disposto normativo in tema di concorso di
persone nel reato perché il reato di furto è a consumazio-
ne istantanea, determinatasi nel caso di specie mediante
manomissione del contatore Enel, pacif‌icamente realizza-
ta dal padre dell’imputato. Ulteriore difetto di motivazione
sussisterebbe poi in ordine all’asserita mancanza di prova
dello stato di indigenza dell’imputato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Il ricorso è infondato.
4.1. Il delitto di coltivazione domestica risulta integrato
dalla condotta di coltivazione, dalla quale - a differenza di
quanto sostenuto dal ricorrente - esula la destinazione alla
cessione a terzi del prodotto della coltivazione medesima.
In altri termini, ai f‌ini del perfezionamento della fattispe-
cie tipica, è indifferente che il prodotto della coltivazione
sia destinato al consumo personale del coltivatore o di
terzi (fermo restando che nel caso di successiva cessione
a terzi potrà sussistere anche il relativo delitto).
La tesi, sostenuta anche nella giurisprudenza di le-
gittimità, secondo la quale “la coltivazione di piante da
cui possono ricavarsi sostanze stupefacenti, che non sia
riconducibile alla nozione di coltivazione in senso tecnico
- agrario, ovvero imprenditoriale, per l’assenza di alcuni
presupposti, quali la disponibilità del terreno, la sua
preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle
piante, la disponibilità di locali per la raccolta dei prodot-
ti, e che, pertanto, rimanga nell’ambito della cosiddetta
coltivazione domestica, ricade, pur a seguito della L. 21
febbraio 2006, n. 49, nella nozione della detenzione, sicché
occorre verif‌icare se, nel caso concreto, essa sia destinata
ad un uso esclusivamente personale di quanto coltivato”
(Sez. VI, n. 42650 del 20 settembre 2007, P.G. in proc.
Piersanti, Rv. 238153), è stata superata dal consolidarsi
dell’opposto orientamento, che a partire dalle Sezioni
unite della Corte di cassazione, pronunciatasi con due
coeve e identiche decisioni (v. sentenza 24 aprile 2008, Di
Salvia, e sentenza 24 aprile 2008, Valletta), ha risolto la
questione del trattamento sanzionatorio da riservare alla
coltivazione di piante da stupefacente, recependo, tra le
due opzioni possibili, quella di rigore: l’attività di coltiva-
zione è sempre di rilevanza penale (ex articolo 73 del dpr
9 ottobre 1990 n. 309), senza che possa esservi spazio per
una possibile rilevanza solo amministrativa (ex articolo
75 dello stesso dpr) pur in presenza di una possibilmente
accertata destinazione del ricavato all’uso personale del
coltivatore (cfr. sez. VI, n. 24664 del 12 maggio 2008, P.G.
in proc. Serrao, Rv. 240371 e, tra le più recenti, sez. VI, n.
49528 del 13 ottobre 2009, P.M. in proc. Lanzo, Rv. 245648,
per la quale “costituisce condotta penalmente rilevante
qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante
dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche
quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad
uso personale”).
4.2. Il ricorrente medesimo conviene sul fatto che dalla
sostanza vegetale analizzata era possibile ricavare 1,5 dosi
di stupefacente; ed anzi aggiunge che dalle dodici piante
sequestrate si sarebbero potuti ricavare dodici “spinelli”.
Ma conclude che nella condotta dell’imputato non è ravvi-
sabile alcuna offensività.
L’assunto è palesemente erroneo.
Anche la coltivazione risulta punibile sempre che la
condotta risulti offensiva in concreto del bene giuridico
tutelato; pertanto il dato ponderale non è irrilevante, dal
momento che esso può dare indicazioni sulla offensività o
meno della condotta oggetto del giudizio.
Ed invero, la giurisprudenza di legittimità ha più volte
precisato che “ai f‌ini della punibilità della coltivazione non
autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze
stupefacenti, spetta al giudice verif‌icare in concreto l’of-
fensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza
ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile” (sez.
un. 28605 del 24 aprile 2008, Di Salvia, Rv. 239921; sez.
un. 24 aprile 2008, Valletta; Sez. IV, n. 1222 del 28 ottobre
2008, Nicoletti, Rv. 242371; Sez. IV, n. 25674 del 17 febbraio
2011, P.G. in proc. Marino, Rv. 250721).
Le sez. un. (Di Salvia) insegnano che “la condotta è
“inoffensiva” soltanto se il bene tutelato non è stato leso
o messo in pericolo anche in grado minimo (irrilevante,
infatti, è a tal f‌ine il grado dell’offesa), sicché, con rife-
rimento allo specif‌ico caso in esame, la “offensività” non
ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione
non è idonea a produrre un effetto stupefacente in con-
creto rilevabile” .
Se si conviene che la consumazione del reato di coltiva-
zione richiede che la sostanza ricavabile dalla coltivazione
sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto
rilevabile, resta ancora da precisare con miglior dettaglio
il parametro di riferimento.
Questa Corte reputa che sia corretto il principio di di-
ritto posto da altra decisione di questa sezione, secondo la
quale il decreto ministeriale che individua la dose “media”
con riferimento al “principio attivo per singola assunzione
idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente
un effetto stupefacente e psicotropo chiama in causa i bi-
sogni medi di un soggetto assuefatto. Ma non esclude che
dosi inferiori a quella media siano prive di rilievo penale.
Diverse norme del T.U. richiamano l’azione “narcotico -
analgesica” dell’oppio e degli oppioidi; l’“azione eccitante”
della coca; l’azione “eccitante sul sistema nervoso cen-
trale” degli anfetaminici; gli “effetti sul sistema nervoso
centrale ed .., (la) capacità di determinare dipendenza
f‌isica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore”;
le “allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali”.
Pertanto, quel che rileva al f‌ini della conf‌igurazione
dell’incriminazione è la concreta attitudine della sostanza
in questione ad inf‌luenzare in qualche (anche lieve) mi-
sura l’attività neuropsichica del consumatore.
Pertanto, esulano dalla sfera dell’illecito solo le con-
dotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente te-
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nui, quanto alla presenza del principio attivo, da non poter
indurre, neppure in misura trascurabile, la modif‌icazione
dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore; per converso,
anche dosi inferiori a quella media singola ben possono
conf‌igurare il delitto in esame (sez. IV, n. 21814 del 12
maggio 2010, Renna, Rv. 247478).
Tali conclusioni confutano il risalente orientamento,
cui si richiama il ricorrente, per il quale “in materia di
coltivazione non autorizzata di piante stupefacenti, una
volta accertata l’idoneità di una pianta a produrre il te-
traidrocannabinolo (thc) che è l’elemento produttivo
degli effetti psicotropi, essa deve essere considerata, agli
effetti f‌inali, alla stessa stregua di una “cannabis indica”, a
nulla rilevando la sua particolare, diversa denominazione,
e la maggiore o minore concentrazione di principio attivo,
purché non inferiore allo 0,5 per cento. (sez. VI, n. 16648
del 20 ottobre 1989, Siscardi, Rv. 182682).
5. Nel caso che occupa l’accertamento tecnico ha sta-
bilito che già la sola pianta esaminata permetteva di rica-
vare mg. 37 di TRC, pari a 1,5 dosi medie singole. Non vi è
quindi alcun dubbio in ordine alla capacità del quantita-
tivo di principio attivo presente nelle piante (ma già nella
sola pianta sottoposta ad analisi) coltivate di produrre gli
effetti di alterazione neuropsichica sopra descritta.
Va solo aggiunto, sul punto, che per il reato di colti-
vazione deve farsi riferimento non solo alla quantità di
stupefacente presente nella materia vegetale al momento
del sequestro, ma altresì al quantitativo potenzialmente
ricavabile dalla coltivazione. Questa Corte ha infatti enun-
ciato il principio secondo il quale “ai f‌ini della punibilità
della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono
estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verif‌icare
in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità
della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante
rilevabile” chiarendo che a tal f‌ine rileva non già che al
momento dell’accertamento del reato le piante non siano
ancora giunte a maturazione, atteso che la coltivazione ha
inizio con la posa dei semi, quanto l’idoneità anche solo
potenziale delle stesse a produrre una germinazione ad ef-
fetti stupefacenti (sez. IV, n. 44287 del 8 ottobre 2008 - dep.
27 novembre 2008, P.G. in proc. Taormina, Rv. 241991 ).
Pertanto, il primo motivo di ricorso è infondato.
6. Tal’è anche il secondo motivo.
Sul fatto che il quantitativo complessivo di sostanza
stupefacente presente nelle piante cadute in sequestro
potesse essere accertato attraverso l’analisi su un campio-
ne non è legittimo dubbio alcuno.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che nel
caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla
produzione di sostanze stupefacenti, la polizia giudiziaria
ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a
campione, procedendo contestualmente alla distruzione
delle altre. Peraltro, essa nella selezione delle piante da
sottoporre al vincolo, non deve adottare le modalità previ-
ste dall’art. 87 D.P.R. n. 309 del 1990, atteso che tale di-
sposizione disciplina la campionatura dello stupefacente
già oggetto di cautela reale e non l’estrazione preliminare
alla sua apposizione (sez. IV, n. 16097 del 21 gennaio 2009
dep. 16 aprile 2009, Varone e altro, Rv. 243635).
Che il dato emergente dal campione possa essere as-
sunto per la valutazione della complessiva quantità del
principio attivo è parimenti indiscutibile, dovendosi peral-
tro rilevare come la difesa non abbia mosso alcun rilievo
alle modalità di selezione del campione, alla eventuale
eterogeneità tra questo e le restanti piante o consimili.
Inoltre, mette conto ricordare che il giudizio è stato
celebrato nelle forme del rito abbreviato.
7. Quanto al terzo motivo di ricorso, esso pure è infon-
dato.
Infatti, non è ravvisabile alcun vizio nella sentenza im-
pugnata, che correttamente indica nel protratto utilizzo
dell’energia elettrica per la coltivazione non autorizzata
l’elemento dal quale scaturisce la responsabilità dell’im-
putato. Si rammenti che trattasi di delitto a condotta fra-
zionata, o a consumazione prolungata, sicchè le captazioni
successive alla prima non costituiscono “post factum” pe-
nalmente irrilevante, nè singole ed autonome azioni costi-
tuenti altrettanti furti, ma atti di un’unica azione furtiva
(sez. IV, n. 18485 del 23 gennaio 2009 - dep. 5 maggio 2009,
P.M. in proc. Falcone, Rv. 243978).
8. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorren-
te al pagamento delle spese processuali. (Omissis)
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SEZ. I, 11 LUGLIO 2013, N. 29776
(UD. 22 MAGGIO 2013)
PRES. CHIEFFI – EST. MAZZEI – P.M. IACOVIELLO (CONF.) – RIC. P.G. IN PROC.
PENDELA
Sicurezza pubblica y Stranieri y Reato di ingres-
so e soggiorno illegale nel territorio dello Stato y
Contrasto con la direttiva rimpatri n. 2008/115/CE
y Esclusione.
. In tema di immigrazione clandestina, deve escludersi,
anche alla luce della decisione della Corte di giustizia
dell’Unione europea in data 6 dicembre 2012, in causa
C-430/11, Md Sagor, che sussista alcun contrasto tra il
disposto di cui all’art. 10 bis del T.U. sull’immigrazio-
ne, che prevede come reati l’ingresso ed il soggiorno
illegali dello straniero nel territorio dello Stato, e la
direttiva europea sui rimpatri n. 2008/115/CE. (Mass.
Redaz.) (d.l.vo 24 luglio 1998, n. 286, art. 10 bis; dir. 16
dicembre 2008, n. 115) (1)
(1) In senso conforme si veda Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 2012,
Gueye Modou, in questa Rivista 2013, 359.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza pronunciata il 13 giugno 2011 il giudice
di pace di Udine ha dichiarato non doversi procedere nel
confronti di Pendela Lyubov, cittadino ucraino, imputato
del reato previsto dall’art. 10 bis d.l.vo 25 luglio 1998, n.
286, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

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