Legittimità

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Rivista penale 7-8/2013
Legittimità
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 27 MAGGIO 2013, N. 22922
(UD. 23 MAGGIO 2013)
PRES. AGRÒ – EST. CORTESE – P.M. POLICASTRO (DIFF.) – RIC. P.G. IN PROC.
ZANARDI
Calunnia e autocalunnia y Calunnia y Elemento
soggettivo y Dolo y Erroneo convincimento del-
l’agente circa la colpevolezza dell’accusato y Basato
su elementi seri e concreti y Prof‌ilo soggettivo del
reato y Conf‌igurabilità y Esclusione.
. In tema di calunnia, l’erroneo convincimento nutrito
dall’agente circa la colpevolezza del soggetto da lui ac-
cusato in tanto può escludere la conf‌igurabilità, sotto il
prof‌ilo soggettivo, del reato, in quanto sia basato non su
semplici supposizioni ma su elementi seri e concreti, i
quali siano stati sottoposti ad adeguata verif‌ica e sia-
no stati correttamente rappresentati nella denuncia.
(Mass. Redaz.) (c.p., art. 368) (1)
(1) Nello stesso senso si vedano Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2007,
Parisi e altro, in questa Rivista 2008, 68; Cass. pen., sez. VI, 19 set-
tembre 2000, Cotronei, ivi 2001, 64. In modo ancora più def‌inito,
escludono in toto la conf‌igurabilità del reato, per l’ ipotesi de qua,
Cass. pen., sez. VI, 22 aprile 1983, Mutarelli ed altro, ivi 1983, 962 e
Cass. pen., sez. VI, 16 febbraio 1981, Franzitta, ivi 1981.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 13 dicembre 2010 il Tribunale di Mi-
lano condannava Zanardi Daniele alla pena di anni uno
e mesi quattro di reclusione e al risarcimento del danno
in favore della costituita parte civile Giorgini Sebastiano
per il reato di cui all’art. 368 c.p., per avere, con denuncia
presentata alla Procura della Repubblica di Milano il 22
dicembre 2006, incolpato falsamente Giorgini Sebastiano,
che sapeva innocente, dei reati di ingiurie, minacce e se-
questro di persona.
Su appello del prevenuto, con sentenza del 22 febbraio
2012 la Corte d’appello di Milano assolveva lo Zanardi per-
ché il fatto non costituisce reato, rilevando che la condot-
ta dello stesso era frutto del clima di tensione esistente
fra le parti, che gli aveva potuto indurre la convinzione
di aver subito effettivamente gli illeciti denunciati, con
riferimento in particolare al sequestro di persona. Tanto
portava ad escludere, a sensi dell’art. 530 cpv. c.p.p., la
consapevolezza dell’innocenza dell’accusato.
Contro la sentenza propongono ricorso per cassazione
il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte
d’appello di Milano e la parte civile.
Il P.G. deduce il vizio di motivazione, per avere la Corte
territoriale:
- ribaltato la pronuncia di primo grado senza confutare
in modo analitico e completo la dettagliata e argomentata
valutazione delle risultanze processuali che aveva condot-
to il Tribunale alla decisione di condanna;
- accreditato una distorta percezione della realtà da
parte dell’imputato, mai allegata dal medesimo e contra-
stata dalle prove acquisite, oltre che dalla circostanza che
la denuncia venne presentata tre mesi dopo l’episodio e
dopo che il Giorgini aveva a sua volta denunciato lo Za-
nardi;
- omesso qualsiasi rilievo sui reati di ingiurie e minacce
pur oggetto della denuncia dello Zanardi. La p.c. formula
sostanzialmente gli stessi motivi del P.G
Ha presentato memoria la difesa dello Zanardi, chie-
dendo fra l’altro la condanna del Giorgini alla rifusione
delle spese del giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono infondati.
Per quanto concerne, invero, il delitto di calunnia, deve
osservarsi, in via generale, che, perché si realizzi il dolo
di tale reato, è necessario che chi formula la falsa accusa
abbia certezza dell’innocenza dell’incolpato. L’erronea
convinzione della colpevolezza della persona accusata
esclude, quindi, l’elemento soggettivo.
Si è tuttavia precisato (v., per tutte, Sez. VI, 14 marzo
1996, Gardi) che tale esclusione opera solo se il convinci-
mento dell’ accusatore si basi su elementi seri e concreti
e non su semplici supposizioni. A quest’ultimo riguardo,
occorrono però alcuni chiarimenti. Se, invero, l’erroneo
convincimento sulla colpevolezza dell’accusato riguarda
fatti storici concreti, suscettibili di verif‌ica o comunque di
corretta rappresentazione nella denuncia, la omissione di
tale verif‌ica o rappresentazione determina effettivamente
la dolosità di un’accusa espressa in termini perentori. L’in-
giustif‌icata attribuzione come fatto vero di un fatto di cui
non si è accertata la realtà presuppone infatti la certezza
della sua non attribuibilità sic et simpliciter all’incolpato.
Quando invece l’erroneo convincimento riguarda pro-
f‌ili essenzialmente valutati vi della condotta oggetto di
accusa, l’attribuzione dell’illiceità è dominata da una pre-
gnante inferenza soggettiva, che, nella misura in cui non
risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, è inidonea
a integrare il dolo tipico della calunnia.
Applicando tali principi al caso di specie, deve osser-
varsi che, secondo la ricostruzione della Corte di appello,
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la falsità delle accuse rivolte dal prevenuto attiene pre-
cipuamente all’interpretazione soggettiva dell’operare
dell’accusato , ritenuto dall’imputato - alla stregua delle
sue valutazioni condizionate dal clima di tensione e
dal contesto confuso dell’alterco, oltre che dallo stesso
atteggiamento provocatorio e d i sf‌ida del Giorgini -
come connotato verosimilmente da f‌inalità illecite. Ne
è sc aturita, qui ndi, secondo la detta ricostr uzione, una
rappresentazione falsata di intenti e caratteristiche dei
fatti, determ inata dalla particola rità della vicenda i n
cui il prevenuto si è trovato coi nvolto, che lo ha indotto
a leggere, senza co mprovata malafede, alcuni passaggi
della c ondotta dell’ accusato in una luce ingiustamente
aggressiva. Tale ricostruzione della Corte territoriale ap-
pare logicamente motivata e idonea a vincere le obiezio-
ni sollevate nei ricorsi, che insistono sul diverso svolgi-
mento dei fatti, quale scaturente dalla valutazione delle
risultanze probatorie quale compiuta dal primo giudice,
che non è oggettivamente in discussione, laddove è sul
piano della non dolosa errata interpretazione degli stessi
che si colloca il percorso a rgomentativo del la decisione
di appello.
Le argomentazioni giustif‌icative quivi sviluppate nella
sentenza, pur se appaiono formalmente riferite solo alla
calunnia di sequestro, ricomprendono in realtà nella so-
stanza anche l’imputazione della calunnia di ingiurie e
minacce.
Le ragioni dell’assoluzione e la situazione di prolungata
conf‌littualità, anche giudiziaria, che caratterizza i rappor-
ti fra le parti, giustif‌ica l’integrale compensazione fra le
stesse delle spese del giudizio. (Omissis)
I
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 24 MAGGIO 2013, N. 22459
(UD. 15 MARZO 2013)
PRES. AGRÒ – EST. DI STEFANO – P.M. D’ANGELO (CONF.) – RIC. CANGEMI
Stupefacenti y Coltivazione y Natura del reato y
Offensività della condotta y In concreto y Piante di
canapa indiana non ancora giunte a maturazione y
Rilevanza penale y Esclusione
. Ai f‌ini della conf‌igurabilità del reato di coltivazione
illegale di canapa indiana, deve escludersi che possa
assumere rilievo, per escludere la offensività in con-
creto della condotta, il fatto che le piante non siano
ancora giunte a maturazione, dovendosi soltanto aver
riguardo alla loro conformità al tipo botanico previsto
dalla legge ed alla loro idoneità a raggiungere la matu-
razione ed a consentire la produzione della sostanza
stupefacente. (Mass. Redaz.) (d.p.r. 9 ottobre 1990, n.
309, art. 73) (1)
II
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. III, 16 MAGGIO 2013, N. 21120
(UD. 31 GENNAIO 2013)
PRES. TERESI – EST. FIALE – P.M. DELEHAYE (CONF.) – RIC. COLAMARTINO
Stupefacenti y Coltivazione y Elementi integrativi
del reato y In caso di uso personale y Individuazione
y Sussistenza.
. Costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi
attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle
quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quan-
do sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso
personale. (Mass. Redaz.) (d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309,
(1) In senso conforme si veda Cass. pen., sez. IV, 27 novembre 2008,
P.G. in proc. Taormina, in questa Rivista 2009, 1339. In senso con-
trario si esprime Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2009, Nicoletti, in
Ius&Lex dvd n. 4/13, ed. La Tribuna, che sostiene come sia necessario
accertare l’effettiva offensività della condotta per poter individuare
il reato di coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano
estraibili sostanze stupefacenti. Nel caso in cui infatti le piantine
non abbiano ancora raggiunto il grado di maturazione necessario
per poter produrre sostanze dopanti o aff‌ini, la pronuncia in oggetto,
non ritiene che possa ravvisarsi un’ipotesi concreta di offensività
o pericolo per la salute altrui e quindi una condotta penalmente
rilevante.
(2) In materia, in senso conforme, si veda su tutte l’importante pro-
nuncia della Corte cost., 24 luglio 1995, n. 360, in questa Rivista 1995,
1302, con ampia nota di riferimenti alla quale si rinvia, che ritiene
che la condotta della coltivazione di piante da cui sono estraibili i
principi attivi di sostanze stupefacenti, sia inquadrabile in un reato
di pericolo presunto, quindi caratterizzato dalla necessaria offensivi-
tà della fattispecie criminosa astratta. In senso contrario si esprime
Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2009, Nicoletti, ivi 2009, 470, che
esclude, alla luce dei principi di offensività e di ragionevolezza, la
rilevanza penale della condotta, costituita nella specie, dalla coltiva-
zione di piante di cannabis, quando le stesse non siano ancora venute
a maturazione, non essendo ancora il prodotto, in quel caso, idoneo
a produrre sostanze stupefacenti o psicotrope propriamente dette.
Sull’argomento, in dottrina si veda D. GIANNELLI, La coltivazione
di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti ad “ uso dome-
stico” alla luce del principio di offensività, ivi 2011, 125 .
I
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - La Corte di Appello di Palermo con sentenza del 4
giugno 2012 confermava la condanna di Cangemi Giusep-
pe per i reati di coltivazione e detenzione di stupefacente
ad uso di terzi e furto di energia elettrica rilevando:
- quanto al primo reato, consistente nella coltivazione
di 52 piante di canapa indiana e detenzione di 1,2 kg di
rami e foglie essiccate delle medesime piante, che, pacif‌i-
co il possesso, le condizioni della coltivazione e la quantità
di piante e di raccolto già effettuato dimostravano univo-
camente la f‌inalità all’uso di terzi, trattandosi peraltro di
materiale la cui capacità drogante era stata adeguatamen-
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te valutata con l’attività tecnica della p.g., mediante l’uso
di reagenti.
- Quanto al reato di furto, che questo era dimostrato
dall’allaccio abusivo f‌inalizzato ad alimentare l’impianto
di irrigazione della coltivazione.
2 - Avverso tale sentenza Cangemi propone ricorso
personalmente.
Con primo motivo deduce la violazione di legge non
essendo stata offerta prova adeguata della destinazione
della droga ad uso di terzi e della capacità drogante della
sostanza in questione, non risultando quindi dimostrata
l’offensività della condotta.
Con secondo motivo deduce la violazione di legge per
l’omessa concessione della attenuante del 7° comma del-
l’articolo 73 d.p.r 309/90 avendo il ricorrente offerto piena
collaborazione agli inquirenti.
Con terzo motivo deduce la violazione di legge per la
mancata applicazione delle attenuanti generiche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato.
3 - Nella prima parte del primo motivo si insiste su un
argomento al quale la Corte di merito ha dato piena rispo-
sta, ovvero la prova della destinazione ad uso di terzi dello
stupefacente.
4 - La Corte ha innanzitutto espressamente affermato
il corretto principio secondo il quale la prova della desti-
nazione della droga allo spaccio è a carico dell’accusa in
quanto elemento della condotta contestata. Ha poi coe-
rentemente svolto un’ampia argomentazione che fa leva
sulla entità e sulle modalità di coltivazione, indicative di
una produzione non certo limitata al necessario per l’uso
proprio, nonché sulle stesse dichiarazioni del ricorrente
che, pur volendo sminuire il rilievo della propria attività,
ha riconosciuto che, comunque, almeno una parte della
sostanza prodotta era destinata allo spaccio. Tale motiva-
zione è certamente adeguata, tenuto anche conto che il
ricorso non si confronta in alcun modo con la stessa, non
indicandone né carenze né vizi logici.
5 - L’altro argomento difensivo è quello che segue ed
è posto con riferimento alle “sostanze coltivate”, anche
se non è del tutto chiaro se il ricorso si riferisca alle sole
piante che, dalle sentenze di merito, risultano a vari stadi
di maturazione, ovvero anche alla discreta quantità di
prodotto già raccolto.
Con riferimento a tale materiale, il ricorrente osserva:
a) non vi è prova della presenza di principio attivo
nella sostanza.
b) Non vi è prova comunque che l’eventuale principio
attivo fosse “tale da offendere o mettere in pericolo il bene
tutelato dalla norma”.
6 - In riferimento a tale ultimo prof‌ilo, il ricorrente
osserva che la qualità del prodotto f‌inale dipende dalle
modalità con le quali sono state coltivate le piante. Per
questa ragione non è suff‌iciente individuare il requisito
dell’essere la pianta conforme al tipo botanico che contie-
ne le sostanze indicate quale stupefacente nelle tabelle del
d.p.r. 309/90, ma è anche necessario valutare in concreto
che la sostanza prodotta abbia reale eff‌icacia psicotropa.
Ovvero, è necessario valutare la “offensività in concreto”
consistente nella capacità del prodotto coltivato di offrire
un effetto stupefacente. Si sostiene nel ricorso che non
sia possibile ritenere la offensività con riferimento ad “una
pianta il cui ciclo non si è completato o completato solo in
parte e che quindi non ha prodotto sostanza idonea a co-
stituire oggetto del concreto accertamento della presenza
di principi attivi”.
7 - Per la parte consistente in foglie già raccolte la ri-
sposta è semplice e si desume agevolmente dalle stesse de-
cisioni di merito; infatti, che il materiale prodotto e posto
a seccare contenesse principio attivo, è stato pienamente
accertato in quanto la sentenza impugnata riferisce della
utilizzazione di test con reagenti che consentono di indivi-
duare la presenza del principio attivo della canapa india-
na. Dalle lettura della sentenza di primo grado, poi, risulta
che non soltanto vi è stato tale accertamento con reagenti
nella immediatezza ma anche “successive indagini chimi-
che effettuate dal laboratorio regionale di analisi”.
8 - Quanto alla richiesta in sede di appello di una nuo-
va perizia sulla sostanza, vi è stata una risposta negativa
suff‌icientemente argomentata da parte della Corte e su
tale punto non è stata sviluppato un adeguato motivo di
ricorso non essendo tale il breve e generico riferimento
che si legge in coda al primo motivo.
9 - Mentre, quindi, non residuano argomenti per conte-
stare la adeguatezza della motivazione in ordine alla qua-
lità della sostanza già prodotta, va esaminato il problema
posto dal ricorso rispetto alle pianti ne in quanto certa-
mente per una parte delle stesse risulta dalla sentenza di
primo grado, più analitica sul punto, che non si era ancora
raggiunta una fase di maturazione che consentisse di ri-
tenere la sostanza pronta per l’uso; le piante più giovani
presumibilmente non avevano ancora prodotto il principio
attivo (thc) o non lo avevano prodotto in quantità ade-
guata.
10 - In tale modo si introduce il tema della “offensività”
della condotta nel modo in cui è stato spesso sviluppato
proprio in riferimento alla particolare materia degli stupe-
facenti, soprattutto con riferimento alla coltivazione ed ai
casi minimi di essa, anche per bilanciare una interpreta-
zione che vede incriminata qualsiasi forma di coltivazione,
quindi pur se destinata ad uso personale.
10.1 Il collegio ritiene che, in base alla formulazione
delle norme ed alla ratio della disciplina repressiva in ma-
teria di stupefacenti, la offensività della condotta di colti-
vazione consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza
per il consumo; perciò non rileva la quantità di principio
attivo bensì la conformità del tipo botanico e la concreta
idoneità della pianta a giungere a maturazione e produrre
la sostanza stupefacente.
10.2 Il tema deve essere affrontato più ampiamente per
confutare il motivo di ricorso che ricollega l’offensività

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