Legittimità

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Rivista penale 5/2013
Legittimità
CORTE DI CASSAZIONE PENALE
SEZ. VI, 8 APRILE 2013, N. 16154
(UD. 11 GENNAIO 2013)
PRES. DE ROBERTO – EST. CARCANO – P.M. SPINACI (CONF.) – RIC. PIERRI
Concussione y Induzione indebita a dare o promet-
tere utilità y Estremi y Conf‌igurabilità.
. Il reato previsto dall’art. 319 quater c.p., introdotto
dalla legge 6 novembre 2012 n. 190 (induzione indebita,
da parte del pubblico uff‌iciale o dell’incaricato di pub-
blico servizio, a dare o promettere utilità), richiede, al
pari di quello previsto dall’art. 317 c.p. (concussione),
tanto nella formulazione introdotta dalla stessa legge n.
190/2012 quanto in quella preesistente, che il pubblico
uff‌iciale o l’incaricato di pubblico servizio abbia agito
con abuso della sua qualità o dei suoi poteri e quindi
prof‌ittando, quali che siano le specif‌iche modalità
della condotta, dello stato di diff‌icoltà e di soggezione
in cui si trova il privato; condizione, questa, in difetto
della quale, può ravvisarsi soltanto il reato di istigazio-
ne alla corruzione previsto dall’art. 322 , commi terzo
e quarto, c. p., qualora vi sia stata una sollecitazione
non accolta, ovvero quello di corruzione, qualora la
sollecitazione sia stata invece accolta. (Nella specie, in
applicazione di tale principio, la Corte, in un caso in
cui l’imputato, all’esito del giudizio di merito, era stato
dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 317 c.p.,
nella formulazione all’epoca vigente, perché, con abu-
so della sua qualità di funzionario dell’azienda muni-
cipalizzata di distribuzione dell’acqua potabile, aveva
indotto un utente a versargli una somma di danaro in
cambio della riduzione dell’importo di una bolletta che
allo stesso utente era apparsa esosa e tale da metterlo
in diff‌icoltà, ha ritenuto che fosse, nella fattispecie,
applicabile, la nuova f‌igura di reato prevista dall’art.
319 quater c.p., sussistendo, sulla base della suindicata
interpretazione, anche il requisito della c.d. “continui-
tà normativa”). (Mass. Redaz.) (c.p., art. 317; c.p., art.
319 quater; l. 6 novembre 2012, n. 190, art. 1) (1)
(1) Interessante sentenza che tratta alcune delle novità introdotte
dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 recante “Disposizioni per la pre-
venzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pub-
blica amministrazione”. Ci si riferisce alla ridef‌inizione del reato di
concussione ed alla introduzione della nuova fattispecie di induzione
indebita a dare o promettere utilità, di cui all’art. 319 quater c.p..
Sul tema si rimanda alle recenti pronunce Cass. pen., sez. VI, 21
febbraio 2013, Nardi, con nota di P. DIGLIO, Induzione indebita è
più vicina alla concussione o alla corruzione? pubblicata in que-
sto stesso fascicolo e Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2013, Roscia, in
questa Rivista 2013, 432 con nota di P. DIGLIO, Primi chiarimenti
giurisprudenziali in ordine alla “nuove “ f‌igure di concussione (art.
317 c.p.) e induzione indebita (art. 319 - quater c.p.), ivi 2013, 439
e Cass. pen., sez. VI, 21 gennaio 2013, P.G. e Aurati, pubblicata in
questo stesso fascicolo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Ferdinando Pierri impugna la sentenza della Corte
d’appello di Venezia con la quale è stata confermata la de-
cisione del giudice di primo grado che, all’esito del giudizio
abbreviato, lo condannò per il delitto di concussione.
Il fatto enunciato nell’imputazione ascritta a Ferdinan-
do Pierri - dipendente dell’azienda municipalizzata acque-
dotto addetto al controllo della fatturazione delle bollette
di pagamento e alla ricezione dei reclami - e, come tale,
pubblico uff‌iciale o incaricato di pubblico servizio - è di
avere indotto, abusando dei suoi poteri e violando i suoi
doveri, Teresa Piromalli a corrispondergli indebitamente
mille Euro per modif‌icare l’importo delle somme dovute
dalla Piromalli per il consumo idrico. In Messina, il 23
dicembre 2009.
In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto che la
vicenda ricostruita dai giudici di merito conf‌igurasse il
delitto di concussione e non quello di corruzione, poichè
la Piromalli - destinataria di una richiesta esosa di Euro
10.000, dopo averne già pagato in precedenza Euro 5.000
- era di fronte all’alternativa di corrispondere la notevole
somma indicata nei bollettini e in ogni caso subirne l’esa-
zione coattiva e la sospensione dell’erogazione dell’acqua
ovvero versare a Ferdinando Pierri la somma richiesta di
mille Euro per sistemare la situazione debitoria, in tal
modo evitando un pregiudizio maggiore.
Per il giudice d’appello è da escludere anche la conf‌igu-
rabilità del delitto di truffa, poichè Teresa Piromalli non fu
indotta in errore a versare la somma dovuta, bensì era ben
consapevole di pagare un “tangente” per estinguere il debi-
to nei confronti nell’azienda municipalizzata acquedotto.
Alcun rilievo riveste il fatto che le sarebbe stato prospet-
tato che la somma richiesta avrebbe dovuto essere data ad
altro “fantomatico” impiegato infedele, trattandosi soltanto
di una falsa giustif‌icazione prospettata dall’imputato.
Ad avviso del giudice d’appello, la concussione è stata
consumata e non solo tentata, poichè fu perfezionata la
consegna del danaro, sebbene il danaro fu per poco tempo
nella disponibilità di Pierri per il tempestivo intervento
della polizia cui la Piromalli ebbe a denunciare l’accaduto.
Nonostante la somma offerta a titolo di risarcimento
danni, pari a centomila Euro, non sia stata ritenuta dal-
la Corte suff‌iciente, può comportare, tenuto conto della
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confessione, l’applicazione delle attenuanti generiche e
la riduzione della pena, rispetto a quella inf‌litta in primo
grado, a tre anni e sei mesi di reclusione, su cui applicare
la diminuente del rito, e così determinare in due anni e sei
mesi di reclusione la pena inf‌litta.
2. Il Difensore del ricorrente deduce:
- violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto è
del tutto ingiustif‌icata la omessa riqualif‌icazione del fatto,
mancando del tutto la prova di una condizione di soggezio-
ne di Filomena Piromalli.
Uno stato di agitazione non può essere confuso con una
soggezione, perchè non fu usata nè alcuna violenza nè
forma di costrizione, non essendo stato prospettato nulla
di pregiudizievole se Teresa Piromalli non avesse accetta-
to la proposta e pagato le somme richiesta dall’azienda.
La Piromalli ebbe a rendersi conto che si trattava di una
“tangente” richiesta per estinguere il presunto debito nei
confronti dell’azienda.
Tale ricostruzione è stata disattesa dal giudice d’ap-
pello, senza una espressa motivazione, al pari dell’ipotesi
di tentativo del quale non si è considerato correttamente
e razionalmente se la vittima avesse accettato o meno la
proposta. Un dato certo, per la difesa, è che la donna non
ha accettato la proposta, in quanto il suo unico obiettivo
era quello di fare arrestare Pierri.
- mancato riconoscimento della diminuente del risar-
cimento del danno.
La Corte d’appello, nonostante dia atto che la persona
offesa non abbia subito alcun danno, ritiene insuff‌iciente
l’offerta di risarcimento.
Il giudice d’appello non giustif‌ica perchè la pena sia
stata determinata in misura superiore ai minimi edittali,
nonostante l’espressa censura con i motivi d’appello.
Ulteriore prof‌ilo è la censura relativa alle pene acces-
sorie, poichè essendo stata inf‌litta una pena inferiore ai
tre anni: a) la sanzione accessoria ex art. 317 bis, comma
2, dell’interdizione dai pubblici uff‌ici non avrebbe potuto
essere perpetua, ma temporanea; b) ex art. 32 quinquies
c.p., non avrebbe potuto essere applicata la sanzione
dell’estinzione d’uff‌icio del rapporto di lavoro, applicabile
solo là dove sia inf‌litta una pena non inferire a tre anni di
reclusione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è infondato. Ciononostante la sentenza
impugnata va annullata con rinvio, poichè il fatto va ri-
condotto ex art. 2, comma 4, c.p. nell’ambito del delitto
di “induzione indebita” prevista dall’art. 319 quater c.p.,
punito con pena inferiore rispetto al previgente art. 317
c.p., in base al quale è stata determinata ab origine la
sanzione inf‌litta.
Non può che essere ribadito quanto già affermato da
questa Corte nel senso che la induzione, richiesta per la
realizzazione del delitto previsto dall’art. 319 quater c.p.,
così come introdotto dall’art. 1, comma 75, della L. n. 190
del 2012, non è diversa, sotto il prof‌ilo strutturale, da quel-
la che già integrava una delle due possibili condotte del
previgente delitto di concussione di cui all’art. 317 c.p.,
e consiste, quindi, nella condotta del pubblico uff‌iciale o
dell’incaricato di pubblico servizio che, abusando del po-
tere o della qualità, attraverso le forme più varie di attività
persuasiva, di suggestione, anche tacita, o di atti inganna-
tori, determini taluno, consapevole dell’indebita pretesa
e, è utile ancora sottolinearlo, “non indotto in errore dalla
condotta persuasiva dell’agente pubblico” - altrimenti non
potrebbe che conf‌igurarsi il delitto di truffa aggravata
ex art. 61, n. 9 c.p., - a dare o promettere, a lui o a terzi,
denaro o altra utilità. (Sez. VI, 4 dicembre 2012, dep. 21
febbraio 2013, n. 8695).
Il Collegio esprime perplessità sul diverso signif‌icato
“strutturale” di induzione che altra decisione ha ritenuto
di individuare nel precetto racchiuso nell’art. 319 quater,
comma 1, c.p. secondo cui l’induzione, che costituisce
l’elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 319
quater c.p., così come introdotta dall’art. 1, comma 75, L.
6 novembre 2012, n. 190, sussiste quando, in assenza di
qualsivoglia minaccia, vengano prospettate, da parte del
pubblico uff‌iciale o dell’incaricato di pubblico servizio,
conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applicazione della
legge, per ottenere il pagamento o la promessa indebita
di denaro o altra utilità (Sez. VI, 3 dicembre 2012, dep. 22
gennaio 2013, n. 3251).
Anzitutto, ciò rende problematica l’affermazione che vi
sia “continuità normativa”, mentre il diverso orientamento
prima citato, postula la continuità normativa piena tra il
nuovo art. 319 quater, comma 1, e l’induzione di cui al
testo originario dell’art. 317 c.p., che anche la decisione
ricordata ritiene un fenomeno non discutibile nella suc-
cessione delle leggi ora in esame.
Se la “induzione” dovesse essere def‌inita nel senso
indicato dal diverso orientamento quale unico e nuovo
“elemento strutturale” del delitto di “induzione indebita”,
saremmo in presenza di un fenomeno di successione di
norme che non potrebbe che comportare ex art. 2, comma
2, c.p.p. una vera e propria “abolitio criminis” per coloro
che siano stati condannati per il delitto di concussione
mediante “induzione” - racchiusa nel vecchio testo dell’art.
317 c.p., e realizzata con un’azione tipica che sinora la giu-
risprudenza ha diversamente def‌inito - tenuto conto che
non si è verif‌icato un mero mutamento di giurisprudenza,
ma è stata introdotta una nuova fattispecie incriminitrice
il cui precetto sarebbe disegnato da signif‌icato diverso da
quello antecedente allo jus novum, tanto da incidere sul
diritto vivente, modif‌icandone i contenuti e le scelte co-
stanti nell’interpretazione del testo previgente. Ciò sen-
za contare che viene a essere emarginato il momento di
rilevanza ermeneutica cruciale anche della nuova ipotesi
di reato, vale a dire l’abuso della qualità e dei poteri e il
metus derivante da tale condotta. Ne potrebbe derivare la
conseguenza che individuata l’ipotesi di reato di cui all’art.
319 quater c.p., nei termini sopra indicati la “prospetta-
zione, da parte del pubblico uff‌iciale o dell’incaricato di
pubblico servizio, di conseguenze sfavorevoli derivanti
dall’applicazione della legge, per ottenere il pagamento o
la promessa indebita di denaro o altra utilità” possa lam-
bire la dinamica corruttiva che - indipendentemente dal-
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l’autore dell’iniziativa - caratterizza il pactum sceleris tra
corruttore e corrotto.
Sembra, dunque che, nell’attuale contesto normativo,
tale soluzione interpretativa rischia di sopprimere la di-
stinzione - che ha basi ontologiche prima che normative
- tra “induzione” e “sollecitazione” (peraltro inclusa, nel
regime previgente, nell’area della induzione), con possibili
interferenze con la “istigazione” alla corruzione da parte
dell’agente pubblico, prevista dall’art. 322, commi 3 e 4,
c.p., vale a dire con la proposta, o che dir si voglia “prospet-
tazione”, a “vendere” l’esercizio della funzione o un “atto
contrario ai suoi doveri o omettere o a ritardare un atto del
suo uff‌icio” per evitare conseguenze “dannose dall’applica-
zione della legge”. Il fatto è che proprio dalla comparazione
tra il testo originario dell’art. 317 c.p., e le innovazioni nor-
mative del 2012 che ha delineato due fattispecie di reato
sovrapponibili solo per taluni prof‌ili (a partire dall’abuso
della qualità e dei poteri, che mantiene in entrambe le
ipotesi di reato un ruolo centrale) emerge come l’induzio-
ne non possa qualif‌icarsi come risultato, surrettiziamente
operando comparazioni con diverse fattispecie (come ad
esempio la previsione dell’art. 377 bis) perchè in ognuna
delle ipotesi considerate l’induzione non può qualif‌icarsi
altrimenti che come condotta, che nell’ipotesi di cui all’art.
319 quater, resta disegnata da un tasso di determinazione
semantica non delimitata da quei contrassegni di compor-
tamenti tipici che ne costruiscono il presupposto. Il tutto
secondo sequenze rispondenti alla nozione di induzione
delineata dal testo previgente dell’art. 317.
In conclusione, l’abuso richiesto per la conf‌igurazio-
ne dei reati di “concussione” e di “induzione indebita”
non può essere - almeno come fenomeno immanente e
comunque quale dato di designazione - identif‌icato nella
“indebita richiesta, rivolta dal pubblico uff‌iciale al privato,
di denaro o altra utilità per evitare conseguenze dannose”.
Infatti, la “sollecitazione” a dare danaro o altra utilità pur
se espressa con la prospettazione di evitare ogni pregiudi-
zio derivante dalla applicazione della legge, mediante un
atto contrario ai doveri d’uff‌icio o una omissione di un atto
del proprio uff‌icio, ancorchè reiterata, integra, di norma,
nel caso sia rif‌iutata, il reato di istigazione alla corruzione
punita dall’art. 322 c.p., commi 3 e 4, e, se accolta, quello
di corruzione consumata, punito dall’art. 319 c.p.. Mentre,
la richiesta di denaro rilevante ai f‌ini della “concussione”
o della “induzione” è quella preceduta o accompagnata da
uno o più atti che costituiscono estrinsecazione del con-
creto abuso della qualità o del potere dell’agente pubblico,
fermi restando i diversi modelli comportamentali in cui si
esprime l’abuso, non rilevanti nel sistema previgente.
É la costruzione letterale e logica delle norme di cui
agli artt. 317 e 319 quater c.p., che prevede l’abuso quale
causa eff‌iciente dell’induzione al pagamento, e non come
avviene nella corruzione, quale risultato dell’azione delit-
tuosa a condurre a una simile conclusione.
1.1. Va dato atto, però, che la pronuncia ora ricordata
- pur non condivisa da questo Collegio nella parte in cui
descrive le modalità dell’azione come risultato della con-
dotta che integra il delitto di induzione indebita - appare
signif‌icativa là dove introduce un “indice sintomatico” della
“induzione indebita”, quale quello “della prospettazione di
conseguenze sfavorevoli da parte del pubblico agente per
ottenere il pagamento o la promessa indebita”; elemento,
però, che non esaurisce di per sè solo le modalità dell’azio-
ne richieste per la conf‌igurazione dell’induzione indebita.
Indice sintomatico, pur ravvisabile nel caso concreto,
di una condotta che - concettualmente a forma libera e se-
manticamente def‌inibile come “pressione psicologica” - si
caratterizza, pure in base all’autonoma fattispecie, come
“persuasione” o “suggestione”, anche tacita, o mediante
“atti ingannatori”, che - ed è questo il punto di rilevanza
ermeneutica davvero cruciale - quali forme di abuso della
qualità o del potere, determinino taluno, pur consapevole
dell’indebita pretesa del pubblico agente, a dare o promet-
tere danaro o altre utilità.
2. Nel caso ora al vaglio della Corte, il giudice d’appello
ha condiviso l’impostazione dell’accusa, secondo cui Tere-
sa Piromalli fu “indotta” a promettere e poi a corrisponde-
re a Ferdinando Pierri la somma di danaro richiestale “per
def‌inire” la situazione debitoria con la “azienda munici-
palizzata acquedotto” dopo avere ricevuto una bolletta di
Euro 5.000, da lei regolarmente pagata, e poi ancora altra
bolletta di pagamento all’ente erogatore di Euro 10.000.
Per tale ragione, Teresa Piromalli si recò negli uff‌ici
dell’ente erogatore e si rivolse a Pierri, addetto al con-
trollo e fatturazione degli importi relativi al consumo
dell’acqua. Pierri, descrive la Corte di merito, ebbe subito
a rendersi conto dello stato di “diff‌icoltà e soggezione”
in cui era Teresa Piromalli per tale ulteriore richiesta di
pagamento e, approf‌ittando di tale stato, ebbe a dirle di
stare “tranquilla” poichè aveva trovato “un santo d’uomo,
disposto così com’era” ad aiutarla; in tale occasione Pierri,
precisa la Corte d’appello, ebbe a formulare la richiesta di
danaro con la “consapevolezza” dello stato di “soggezione”
e “diff‌icoltà” in cui si trovava la vittima.
Nella ricostruzione della Corte di merito appare evi-
dente che, all’esito del primo incontro con Pierri, Teresa
Piromalli “accettò” la proposta e poi denunciò il fatto agli
organi di polizia. La circostanza che vi fu “accordo” discen-
de dal fatto che, nella logica ricostruttiva della sentenza
impugnata, Pierri ebbe a organizzare il successivo incontro
con la Piromalli, con cautele volte a evitare il rischio che
la consegna di danaro potesse essere notata da estranei. Il
danaro fu così consegnato a Pierri che lo tenne per sè solo
pochi minuti prima dell’intervento degli organi di polizia.
Lo sviluppo della vicenda, come delineato nella senten-
za impugnata, da conto che in realtà vi fu “induzione inde-
bita” di Teresa Piromalli a promettere la somma di danaro
richiesta da Pierri per porre rimedio alla def‌inizione della
pendenza debitoria nei confronti dell’ente acquedotto;
pendenza che la Piromalli riteneva ingiustif‌icata nel suo
ammontare e, per tale ragione, era “agitata” e in una con-
dizione di seria “diff‌icoltà” e, pertanto, facilmente “sugge-
stionabile” dalla pretesa di danaro rivoltale da Pierri per
def‌inire al meglio la pratica; pretesa della quale era ben
consapevole che fosse del tutto “indebita”, tanto da rite-
nerla una “tangente”.

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